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25 marzo: Minniti e l’Unione dei razzisti europei

Come buona parte della nostra sedicente «classe dirigente», Marco Minniti è troppo analfabeta della democrazia per sapere che non inventa nulla quando mette in campo i suoi strumenti di controllo politico e sociale del territorio. La concezione delle città, intese come focolai esplosivi di rivolta sociale, è così radicata nella storia delle classi, che persino la bella e monumentale Parigi, con le sue larghe vie è figlia della necessità di tenere a bada un popolo che aveva più volte rovesciato regimi. Nell’Italia crispina e poi fascista, per lunghi, lunghissimi anni, le relazioni mensili dei prefetti sullo stato dell’ordine pubblico hanno fatto riferimento a provvedimenti pensati per colpire coloro che in qualche modo deviavano dal «comune sentire» liberale e fascista. Ciò, per non parlare delle infamie repubblicane.
Il 25 marzo, come ai tempi della venuta di Hitler in Italia, gli «europeisti» alla Minniti, ministro di un governo coloniale insediato da Draghi, saluta la Troika in un clima che rinnega in una sola volta Spinelli e lo spirito della Resistenza europea al nazifascismo, da cui nacque l’Unione Europea da tempo pugnalata alla schiena dagli ospiti che si preparano a far festa a Roma.

 

Com’è sempre accaduto quando un’idea nobile finisce nelle mani ignobili del capitale finanziario, anche stavolta i tutori di un ordine eversivo e violento, si preparano a colpire «sovversivi», dissidenti e chiunque canti fuori dal coro dell’integralismo razzista dell’UE, un mostro che ormai non ha nulla da spartire con i popoli che ha sottomesso. La procedura è identica a quella già altre  volte sperimentata: ammanettare anche solo l’idea del conflitto sociale, colpire tutto ciò che somigli al pensiero critico, zittire tutti con le buone o con le cattive, innocui mormoratori, personaggi sospetti, poveracci o figure incompatibili con il pensiero ordoliberista. Tutti potremo incappare nella trappola di sanzioni che, per rapidità di procedura, discrezionalità di irrogazione e assenza di sensibilità umana, fanno carta straccia della Costituzione repubblicana e diventano il manganello pronto a colpire e a imporre olio di ricino a volontà, per togliere dalla circolazione «gli elementi manifestatisi pericolosi per la sicurezza pubblica e l’ordine sociale». Le parole sono di un Prefetto fascista, ma vanno benissimo per il progetto del nostro democratico governo europeista.

 

Minniti non lo sa ma grazie a lui l’idea di «ordine pubblico» che governa la repubblica antifascista è ora una fotocopia della nota n. 1888 del 5 marzo 1934 sulla «disurbanizzazione di immigrati privi di possibilità di lavoro»; una «nota» preziosa per i suoi colleghi fascisti, che «rimpatriavano» famiglie scomode, tutti assieme, marito, moglie e persino bambini, rastrellavano «minorenni traviati», prontamente accolti in barbari istituti correzionali, colpivano i braccianti che si ostinavano a non capire le ragioni dei padroni e osavano protestare, i poveri, i vagabondi, gli omosessuali, i dissidenti e persino  gli esponenti della Chiesa Battista, quando si azzardavano a far festa attorno all’albero di Natale. Fu la nota 1888, che oggi potremmo ribattezzare «nota Minniti», l’arma che indusse i malcapitati protestanti a occuparsi – pena il confino – di «argomenti» tesi a «valorizzare il regime» e la sua superiore «civiltà romana». Agli Imam oggi minacciamo l’espulsione, ma in tutta onestà non cambia poi molto.

In questo clima di paura e tensione, qualcuno può davvero sinceramente credere che il 25 marzo Altiero Spinelli festeggerebbe l’Unione Europea di Minniti? Qualche democratico in buona fede può immaginare Ernesto Rossi, esponente della Resistenza romana, ucciso dai fascisti della «Banda Koch», che saluta amichevolmente gli esponenti dell’Unione Europea alleata del fascista Erdogan e azionista di maggioranza del nazismo ucraino? C’è chi può onestamente illudersi che l’antifascista tedesca Ursula Hirschmann e il suo sogno federalista potrebbero convivere con gli assassini del loro progetto, in una Unione Europea che nega i diritti e si è ridotta a fortilizio della barbarie capitalista, responsabile del genocidio mediterraneo e della tragedia ucraina? No. Il 25 Spinelli, Colorni, Ursula Hirschmann ed Ernesto Rossi sarebbero in piazza con la «sinistra populista». Al delirio razzista dell’olandese Dijsselbloem, Rossi opporrebbe la sua fede nell’uomo e la sua concezione della vita. Io, direbbe, trovo «inspiegabile tutto quello che vediamo in questo porco mondo. Crepare un po’ prima o un po’ dopo non ha grande importanza: si tratta di anticipi di infinitesimi, in confronto all’eternità, che non riusciamo neppure ad immaginare. Io ho non ho paura della morte, ma ho sempre avuto timore della ‘cattiva morte’». Così direbbe a chi lo ha definito alcolista e puttaniere, poi sfilerebbe in corteo, sfidando Minniti e quella polizia che, non avendo numeri identificativi e il freno di una legge seria sulla tortura, quando vogliono i ministri europeisti, si comporta come a Genova nel 2001.

Sabato a Roma i democratici antifascisti saranno nelle piazze proibite. Gli antieuropeisti, invece, gli autentici populisti, se ne staranno eroicamente nascosti dietro le zone rosse, presidiate della polizia. A dimostrazione del fatto che gli uomini della Troika non hanno nessuna intenzione di ascoltare i popoli, di rispettare la nostra Costituzione antifascista, di modificare, cancellare e riscrivere trattati imposti con la violenza. La Grecia massacrata è sotto gli occhi di tutti.

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