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Roma. Erol è in sciopero della fame, come altri 7000 curdi nel mondo

Erol Aydemir è un compagno curdo di 30 anni, da quattro è in Italia (trascorsi per lo più in Sardegna), precedentemente ha vissuto in diversi paesi europei. Da poco si è trasferito a Roma nel centro di cultura curda “Ararat”. Erol ha l’asilo politico e ha cercato di ottenere il riconoscimento del suo precedente percorso di studi per potersi laureare in agraria.

Erol è uno dei circa 7.000 curdi che hanno deciso di lottare attraverso lo sciopero della fame e lo fa per chiedere il rilascio (o quantomeno la fine dell’isolamento) di Abdullah Ocalan, il leader curdo arrestato nel 1999 in seguito ad una delle riprovevoli azioni del Governo di Massimo D’Alema. L’Italia ha un’enorme debito verso il popolo curdo, ma la memoria del nostro Paese è assai labile quando si tratta di ricordare le proprie responsabilità.

Da vent’anni Ocalan si trova in regime d’isolamento ed è sottoposto ad un trattamento disumano, per questo tanti militanti curdi hanno deciso di optare per un gesto estremo pur di richiamare l’attenzione della comunità internazionale. Infatti i militanti curdi non si illudono di riuscire a muovere a compassione il macellaio Erdogan, ma vogliono provare a risvegliare le coscienze delle masse occidentali.

Erol ci dice che questo sciopero della fame serve a rompere l’isolamento carcerario di Ocalan, ma anche a rompere l’isolamento in cui si trovano i curdi. Quest’ultimo sicuramente non è frutto del caso, ma di fronte a dei compagni pronti a farsi morire di fame, ogni critica inerente la sfera ideologica e geopolitica deve essere adeguatamente collocata: a questi compagni, che hanno una incrollabile determinazione, va data la nostra solidarietà e il pieno appoggio, va tributato rispetto e stima.

Nonostante sia al venticinquesimo giorno di sciopero della fame, Erol è ancora lucido e non risparmia critiche sull’ipocrisia di una sinistra che non ha capacità (o voglia) d’incidere. Descrivendo il contesto attuale, Erol mette in luce i limiti delle forme di lotta fin qui utilizzate tanto dal movimento curdo, quanto dagli altri: ci spiega che per questo ha deciso di provare con lo sciopero della fame. Indubbiamente si tratta di una forma di lotta non usuale nei nostri movimenti (se si fa eccezione per i detenuti), è un qualcosa che un’occidentale fa fatica a comprendere, ma che è perfettamente coerente con la filosofia e la cultura curda.

Erol e tutti i compagni in sciopero della fame amano la vita e vogliono vivere, sanno benissimo quanto sia radicale questa azione. Sarà anche la nostra indifferenza ad ucciderli: non lasciamoli morire, facciamogli sentire la nostra vicinanza!

A questa storia va aggiunta una spiacevole appendice. Per effettuare l’articolo mi sono recato al centro “Ararat” di Roma. Insieme ad altri due compagni italiani – entrambi sostenitori della causa curda – aspettavamo all’ingresso del centro (cioè nella corte interna dell’ex mattatoio) che Erol fosse pronto per l’intervista, nel mentre siamo stati fermati e identificati dai Carabinieri. Si tratta di un fatto inaccettabile per due motivi. Il primo riguarda solo me ed è legato alla sfera professionale: è grave che venga identificato un giornalista mentre svolge il proprio lavoro, la libertà di stampa non può essere compressa da questo genere di azioni. Il secondo motivo è di carattere generale: è intollerabile che vengano fermati e identificati i compagni sull’ingresso di uno spazio sociale. Questo episodio dà la misura dei tempi che corrono.

*autore di “In Donbass non si passa” e “Le parole del terzo settore”

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