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Rivolta araba e tagli alle spese militari

Chi invece, come il quotidiano di Confindustria, deve seguire con preoccupazione anche il flusso degli ordinativi all’industria nazionale, deve permettersi di indicare problemi che altri possono bellamente ignorare. Riportiamo perciò questo articolo di paolo Migliavacca, apparso oggi sul giornale della Marcegaglia.

da “IlSole24Ore” del 21 marzo 2011

La Libia cambia la geopolitica delle armi

La Libia, alle prese con una vera e propria guerra civile sempre più cruenta e sotto pressione delle Nazioni Unite, sta dando fondo ai suoi arsenali bellici. Aerei, carri armati, artiglieria leggera e “katiushe”, armi contraeree e kalashnikov giacciono in quantità sempre crescenti ai bordi delle strade. E andranno prima o poi rimpiazzati.

Ma questo non sembra il momento più propizio per i “mercanti di armi”. La democrazia, raggiunta o agognata, esige i suoi prezzi. Uno dei più frequenti da pagare è proprio la necessità di privilegiare gli investimenti sociali rispetto alle spese militari. A questa regola non sfuggono ovviamente i paesi del Nordafrica e del Medio Oriente, sia quelli come Tunisia ed Egitto che si stanno avviando verso governi espressione della sovranità popolare (e in cui i problemi della disoccupazione, dell’istruzione e della sanità prevalgono sulla sicurezza esterna), sia quelli, ancora autoritari e dittatoriali, che cercano con stanziamenti sociali straordinari, anche a spese degli armamenti, di riconquistare il favore delle masse.

Se questo assunto è corretto, tutti i paesi della regione appaiono destinati a sacrificare quote anche consistenti dei loro bilanci militari alla necessità di “consenso sociale”. L’entità di questi tagli varia ovviamente da caso a caso.
La Libia risulterà probabilmente il paese più sacrificato, poichè su di essa è calata la scure delle sanzioni internazionali emesse per colpire il regime di Muhammar Gheddafi. Misura peraltro non nuova, se si pensa che Tripoli, dal 1988 (anno dell’attentato contro il jumbo della PanAm caduto su Lockerbie) fino al 2003, era stata soggetta a un altro drastico embargo. Cosa che aveva provocato la necessità di rimpiazzare un intero arsenale arrugginito tra le sabbie del Sahara, scatenando una concorrenza internazionale serrata.

La Russia è la vittima più illustre del nuovo embargo: la stima dei contratti che Mosca perderà in tutto il Nordafrica e Medio Oriente è di ben 10 miliardi di dollari, di cui da 4 a 6 con Tripoli, da 2 a 3 con l’Algeria, un altro paio con la Siria e il resto con Kuwait, Giordania e Yemen.

La Russia, che nel 2010 aveva raggiunto il livello record di 8,6 miliardi di esportazioni belliche, stava infatti vendendo alla Libia addestratori e aerei da caccia di ultima generazione, missili antiaerei, elicotteri d’attacco, carri armati e, forse, sottomarini, seguita da Italia (1 miliardo di dollari tra caccia-mine, vedette veloci ed elicotteri), Francia (400 milioni di missili anticarro e sistemi di comunicazione), Gran Bretagna e Germania.

Altri candidati a tagli (tra il 10 e il 15% almeno dei budget) o a significativi rinvii di spesa appaiono l’Egitto e tutti i paesi della riva sud del Golfo. Tra questi ultimi, il forte aumento delle entrate petrolifere (almeno 70 miliardi di dollari in più attesi nel 2011 rispetto all’anno precedente, secondo le stime del Dipartimento Usa per l’energia) potrebbe rendere più lievi i sacrifici (anche se Kuwait e Oman dovrebbero registrare tagli più sensibili). Tuttavia gli Emirati Arabi Uniti sembrano aver avuto un ennesimo ripensamento circa il contratto da un miliardo di euro per l’acquisto di 48 addestratori Aermacchi M-346 , con un ritorno di fiamma verso il sudcoreano T-50.

Ma è sulla sponda meridionale del Mediterraneo che gli arsenali non dovrebbero riempirsi come al solito. Tunisia (circa 500 milioni di dollari di spese militari stimate) e Marocco (2,8 miliardi) possono compiere sacrifici senza troppi rischi, specie quest’ultimo che vedrà lo storico nemico (l’Algeria) puntare su un grandioso piano di opere pubbliche da 156 miliardi di dollari nel decennio, che cercherà così di dare impiego anche alle grandi masse di giovani disoccupati.

Tra le pieghe dei contratti che sono a rischio figurano anche novità quasi sconvolgenti per gli equilibrii strategici regionali. Un paio di settimane fa Anatoly Isaykin, amministratore delegato del monopolista russo per l’esportazione Rosoboronexport, ha ammesso l’esistenza di un contratto «per decine di milioni di dollari» per esportare armamenti non meglio specificati in Arabia Saudita.

Ma le citate perdite nei confronti di altri clienti tradizionali dell’Occidente, come Giordania e Kuwait, confermano il profondo mutamento dei rapporti di forza globali in atto, che vedono gli Stati Uniti in generale ritirata su tutti gli scacchieri.

21 marzo 2011

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