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La voce della rivolta tunisina: cos’è accaduto e che cosa accadrà?

I) Grandi cose

Grandi cose sono accadute in Tunisia.

La più grande cosa è che i tunisini, soggiogati dapprima dai francesi e successivamente da più di mezzo secolo di governo autocratico sottomesso alla Francia e ad altro capitale estero, hanno riscoperto la vita politica in un modo che capita solo in momenti speciali nella storia. Momenti che gettano via passività e le catene dell’abitualità, per prendere in mano il destino del proprio paese. Infatti le masse sono state capaci d’impadronisrsi dell’iniziativa politica in tutto il paese – quante volte è ciò accaduto nel mondo contemporaeneo? – ed imporre cambiamenti che le classi dominanti tunisine, la Francia e gli Stati Uniti possono non essere capaci di accettare ma che di certo non desiderano.

Zidane El Abidine Ben Ali ha governato la Tunisia per 23 anni. Il 14 gennaio 2011 è caduto così inaspettatamente ed improvvisamente che il mondo rimase stordito, inclusi i tunisini stessi. Da allora quest’ultimi hanno destituito due governi successivi e stanno sfidando il terzo. Il paese rimane in uno stato di rara effervescenza.

Boulevard Bourguiba a Tunisi è un maestoso viale in stile francese, con due file di alberi nel mezzo e bar e negozi costosi lungo i marciapiedi. Quasi ogni sera dal 14 gennaio la gente di tutti i ceti sociali s’incontra per discutere e dibattere riguardo le questioni del giorno. Gli assembramenti sono più numerosi al venerdì e nel fine settimana. Gruppi di studenti universitari e lavoratori disoccupati più anziani spesso si ascoltano a vicenda. Di tanto in tanto tutti gridano riguardo a questa o quella proposta governativa, se la gente debba calmarsi, tornare al lavoro e lasciare alle autorità le decisioni, o riguardo all’Islam e al ruolo delle donne nella società. Non è inusuale vedere una donna proclamare rumorosamente le sue opinioni a dozzine di uomini circostanti. Sembra sia una regola che tutti debbano parlare.

Le lingue si sono unite. Quel che uno straniero può sentire ripetere costantemente, da parte di giovani e vecchi, è questo:

“Siamo stati silenziati per tutta la nostra vita. Ora parliamo e nessuno ci farà stare zitti. Ci faremo sentire. Tutti ora ci dovranno ascoltare.”

La gente in piccole città e cittadine abbandonate e polverose dell’interno si riuniscono in piazze e bar dove gli uomini bevono il tè, fumano e discutono da mattina a sera. Vogliono rassicurarsi che il paese li stia ancora ascoltando. Ci sono state svariate violente esplosioni sociali negli ultimi mesi. Giovani disoccupati in almeno due cittadine sono in sciopero della fame, continuando a spedire il messaggio che il giovane venditore ambulante ha trasmesso quando il 17 dicembre si è dato fuoco, innescando la rivolta: preferiscono morire che continuare a vivere in questa maniera.

Dovunque una delle questioni piu’ discusse è se c’è stata una reale rivoluzione. Il governo in carica afferma che c’è stata e di rappresentarla. Le forze armate affermano che c’è stata e di esserne le protettrici. Nelle strade e nei bar, l’opinione è divisa. Un immenso numero di persone sono lungi dall’essere soddisfatte, in particolare i giovani in generale e le classi popolari, e settori delle classi medie, inclusa l’intellighenzia. Quel che hanno compiuto finora ha dimostrato la loro forza potenziale e li ha resi desiderosi di ottenere di più.

La questione ora è questa: potrà quel che il popolo ha ottenuto finora portare il cambiamento radicale che soddisfi le aspirazioni espresse nella rivolta? Oppure i risultati incassati attraverso il loro spirito di sacrificio verranno strappati via?

II) Com’è successo

Sidi Bouzid, da dove tutto è iniziato

Sidi Bouzid è la cittadina nel centro del paese in cui iniziò la sollevazione. E’ la capitale amministrativa di un’arida provincia isolata dal mondo da strade squallide pur trovandosi a poche centinaia di chilometri dalla costa ed in piano.

Un medico:

“Sidi Bouzid è la peggiore indipendentemente dal parametro utilizzato. Per legge l’assistenza medica dev’essere garantita ad ognuno, ma in questa cittadina è presente solo una piccola clinica mal equipaggiata, ed altre località non ne hanno. Non ho mai sentito di una donna proveniente dalla campagna presentarsi per un controllo prenatale. I dispensari pubblici non hanno farmaci – le forniture sono vendute illegalmente a cliniche private.

“Non ci sono ginecologi/ostetrici. Perché dovrebbe uno specialista venire a vivere in una provincia di 413 mila abitanti senza un singolo cinema? Le persone sono disperse nella campagna e in piccole località. Non c’è l’industria per concentrare la gente, nessuna vita culturale ed è difficile spostarsi fino alle città. Solo il 10% della popolazione è connessa al sistema fognario. Ci sono 140 mila laureati universitari disoccupati in questo paese di 10 milioni di abitanti, ed il 10% di questi (14 mila) si trova in questa cittadina di 45 mila abitanti.”

Un professore di scuola elementare:

“Sono stato uno dei primi a passare di fronte all’edificio dopo che Mohammed Bouazizi si dette dato fuoco, attorno alle 13. Qualche uomo e donna stavano dimostrando, principalmente membri famigliari.

Chiamai i colleghi e gli dissi quel che era successo e come era stata colpa delle autorità. Ci sono circa 6 mila professori qui. Siamo il sindacato più grande, e siamo anche gli intellettuali maggiormente in contatto con i giovani. Altri attivisti arrivarono, inclusi gli avvocati.”

Verso le 10 e mezza del mattino successivo, molta polizia venne da Kasserine (la città più vicina, presso il confine algerino). La battaglia iniziò e continuò per due giorni. Attorno a 8 mila gendarmi furono convogliati da tutta la provincia. Novanta autobus pieni di gendarmi, più le motociclette (squadre da due, uno per condurre e l’altro per picchiare la gente). Tutto la città lanciava sassi e combatteva – donne, giovani, anziani. Non abbiamo bruciato e saccheggiato perché dopo tutto questa è la nostra città.

Al quinto giorno la gente venne dalle altre cittadine e villaggi per dimostrare. Altre località di 5-10 mila abitanti si sollevarono. Si è esteso fino a Gabes sulla costa, e poi indietro a maggiori città dell’interno come Mederine. Poi a Sfax il 12 gennaio, e le altre grandi città della costa. Non siamo andati a Tunisi fino a dopo che Ben Ali scappò, il 14 gennaio…

Un anziano dirigente sindacale della scuola e attivista politico vicino al PT (Partito del Lavoro Patriottico e Democratico – Patriotic and Democratic Labour Party):

La maggior parte della gente in questa regione è composta da piccoli contadini. Allevano il bestiamee coltivano – in particolare pecore, olive verdi ed altre colture. Una parte della terra è irrigata, altra no. Non ci sono grandi proprietari qui. Le famiglie assumono lavoratori stagionali durante la raccolta, per lo più donne dalle aree confinanti. Ci sono alcuni conservifici di pomodori e un’impianto di aria condizionata, ma non molte fabbriche. A parte gli impiegati governativi d’alto rango, gli standard di vita spaziano dal “a posto” fino all’”abbastanza male”. Molti contadini non riescono a vendere i propri prodotti nella città costiere perché non c’è trasporto, e li acquirenti qui li rapinano. I programmi governativi e le altre istituzioni come le coperative sono presiedute da gente corrotta avente legami col regime. Invece di aiutare gli agricoltori li spurgano.

I contadini poveri s’indebitano per acquistare dei piccoli camion o altro materiale, e spesso non possono ripagare i prestiti. Gli interessi sono alti. Finiscono in bancarotta e sono obbligati a lasciare il paese. Quando qualcun’altro compera la loro terra – e qui ci sono pochi grandi capitalisti e ancora meno investitori stranieri – la irriga e pianta colture per l’esporto come uva, lattuga, peperoni, cocomeri e meloni. Siccome ci troviamo molto a sud, le colture sono pronte per il mercato precocemente, molto prima dell’Europa e perfino del nord della Tunisia.

Non c’è un singolo grande negozio. Ci sono molti bar perché non ci vuole molto capitale per aprirne uno e perché non c’è nient’altro da fare che bere tè al bar. Qualcuno compra e vende alcolici illegalmente.

Prima d’ora quasi nessuno era interessato alla politica, la società o la cultura. Gli eventi tradizionali e folkloristici erano organizzati dal regime per i propri fini politici. Le relazioni tribali stanno morendo perché molti giovani si stanno spostando nelle grandi città. In alcune località della provincia il 50-90% della popolazione si è trasferita per cercare lavoro a Sfax, Monastir e Tunisi, o immigrata illegalmente in Italia o Francia.

Quel che abbiamo qui sono molte scuole – 313 scuole elementari, 170 scuole medie e varie scuole superiori. L’educazione è obbligatoria e gratuita. Tra le altre ragioni, i contadini mandano i propri figli a scuola perché non possiedono abbastanza terra da dividere tra tutti i figli. Non c’è altro da fare per i giovani che andare a scuola. Ma le scuole sono in condizioni terribili e non hanno molto equipaggiamento moderno.

Le strade sono così pessime, in particolare le strade di campagna, che i ragazzi che vengono in città per frequentare la scuola superiore non possono commutare e sono costretti a trovare un alloggio qui. Per frequentare l’università si spostano nelle città costiere. Molti giovani finiscono per vivere in cinque o sei in un garage. Bevono vino, come la maggior parte dei giovani.

Isolati dalle loro famiglie e connessi al mondo dalla televisione ed internet, bramando uno stile di vita moderno che la disoccupazione e la mancanza di sviluppo non gli permettono di avere, si distanziano dalle loro famiglie e tradizioni. Questa è una società patriarcale, ma loro non riconoscono l’autorità dei loro genitori. Non permettono nemmeno ai loro padri di trovargli le mogli. C’è una grande rottura generazionale.

Mio figlio ha due anni di università tecnica. Ha 29 anni. Gli dico “Voglio che tu abbia una moglie e dei bambini come me”. Lui risponde ”Non posso, papà. C’è un peso troppo grande, troppa responsabilità”. Alcuni hanno 40 anni e non hanno ancora una loro famiglia.

Oltre tutto ciò sta il fatto che i giovani non avevano il permesso di parlarsi liberamente e nessuno li avrebbe ascoltati. La politica e la vita politica erano per loro vietate. La polizia stava nei bar per impedire che la gente parlasse.

Ci sono state delle esplosioni sociali nel 2006, 2008 e 2010 nelle aree minerarie del sud e vicino ai confini con la Libia e l’Algeria. La soluzione del governo è stata la polizia e questo aggravò la situazione. Alcuni coraggiosi, in particolare gl’insegnanti, furono condannati a lunghi periodi carcerari. La situazione economica peggiorò; venditori ambulanti con merce contrabbandata divennero numerosi. Lo stato d’animo generale tra i giovani fu molto pessimistico e ci sono stati dei suicidi.

Mohammed Bouazizi fu un’esempio tipico di questi giovani. Non era un laureato universitario come detto dai media. Era un carrettiere vendente frutta e verdura. Non aveva un permesso, e dunque un agente municipale gli confiscò la merce. Senza la merce, non poteva guadagnarsi da vivere. Si lamentò alle autorità, ma nessuno lo ascoltò. Un agente municipale donna gli dette un colpo in faccia.

Non ero presente quando il 17 dicembre si è appiccato il fuoco davanti all’edificio amministrativo. La sua famiglia organizzò una protesta, e diffuse la voce ad altre località grazie a relazioni tribali. Il 18 e 19 abbiamo organizzato delle dimostrazioni. Vi parteciparono insegnanti e impiegati governativi, e presto la maggior parte della popolazione cittadina scese in strada. I nostri slogan accusarono il regime di essere il responsabile della morte di Bouazizi. La polizia accerchiò tutta la città. Ci incontrammo negli uffici dell’UGTT (la federazione sindacale). La polizia non ci permise di uscire da lì per manifestare in strada.

Quindi i giovani iniziarono protestando nei loro quartieri. Si scontrarono con la polizia, in particolare di notte quando le macchine fotografiche della polizia non potevano scattare foto.

I nostri primi slogan furono “Il lavoro è un diritto” e “Banda di ladri – dov’è il nostro diritto al lavoro?” Poi il governo centrale mandò i gendarmi. Cantammo slogan per la libertà di espressione e manifestazione e per la parità di sviluppo.

I media non nominarono niente di tutto ciò. Ci fu un totale blackout per i primi giorni, nonostante le proteste si diffusero alle città vicine. Molte cittadine furono bloccate dalla polizia e dai gendarmi. Registrammo dei video con i nostri telefonini e postato online.

“Lasciateci raccontare come abbiamo fatto la rivoluzione”

Studente universitario, Tunisi

“Sono un membro del Partito Comunista dei Lavoratori Tunisini (PCOT). Sono stato un’attivista studentesco dal 2000, quando fummo arrestati per aver indetto una manifestazione a scuola. Venivamo sempre manganellati dalla polizia.

Quando Bouazizi si è dato fuoco, gli studenti e i membri del sindacato degli insegnanti delle scuole superiori di Tunisi andarono a Sidi Bouzid. Il regime cercava di calmare la gente. Ben Ali dette del denaro alla madre di Bouazizi. Paralizzammo la città e utilizzammo i nostri cellulari per diffondere le notizie. A molti compagni fu sparato in testa mentre combattevano la polizia. Alcuni di noi rimasero lì; altri ritornarono a Tunisi per lavorare su Facebook e mostrare alla gente cosa stava succedendo a Sidi Bouzid e Kasserine.

Le manifestazioni iniziarono a raggiungere Tunisi il 28 dicembre (quando protestarono gli artisti e i liberi professionisti, in particolare gli avvocati), ma non con grandi numeri fino all’11 gennaio, quando ci fu una grande protesta in un sobborgo vicino alla capitale.

Il giorno successivo ci fu una manifestazione a Beb El Khader, circa un chilometro dal centro cittadino. Un giovane venne ucciso in un’altra manifestazione il giorno successivo. Sette di noi compagni andarono lì. Il 14 caricammo il suo corpo per tutta la città fino a viale Bourguiba, chiamando le persone alla rivolta. La gente in strada fu molto rispettosa nei nostri confronti. Attaccammo la polizia. Non volevamo avere solamente un’altra manifestazione e poi tutti a casa. Eravamo stanchi di vedere giovani picchiati.

Uno studente del terzo anno:

Per un lungo periodo credevo fossi il solo a pensare in una certa maniera. Iniziammo ad usare Youtube e Facebook perché era il solo modo con cui potevamo comunicare liberamente. Poi due bloggers furono arrestati a metà 2010, e tutti si spaventarono.

Quando gli amici chiamarono e ci dissero cosa stava succedendo a Sidi Bouzid e Kasserine, ed i media non stavano dicendo niente, impazzimmo. Dovevamo esprimerci. Circa un centinaio di noi utilizzarono Facebook per organizzare la prima manifestazione nel centro di Tunisi. Il 13 gennaio la polizia mi arrestò assieme ad altri bloggers e mi tenne in custodia per circa tre ore. Ero stato manganellato prima, ma mai arrestato. Mi chiesero perché stavamo manifestando; risposi a causa dell’ingiustizia.

Quando mi rilasciarono andai a casa nel mio quartiere operaio. Attraverso il web ho saputo che altri bloggers furono stati arrestati. Dicemmo ad ognuno di scendere in strada il giorno seguente. Quella sera Ben Ali tenne un gran discorso dicendo che non si sarebbe dimesso. Alcuni – nessuno sa chi fossero – andavano in giro in automobili senza targa sparando alla gente a casaccio. Ebbi paura ad uscire. Un coprifuoco era stato imposto, ma alcuni ebbero il permesso di venire nel viale Bouguiba per applaudire il presidente. Sentimmo che la Francia e l’UE si preparavano a mandare degli aiuti a Ben Ali. Pensai che la rivolta stesse per finire.

Il mattino seguente, alle 8 e 30, ero nel viale. C’erano tre o quattro migliaia di persone davanti al Teatro Municipale. Tutti portarono bandiere della Tunisia e cartelli di protesta. Per una volta, non stava piovendo. Per le 10 o 11 il viale fu riempito; non c’era più spazio nemmeno per una persona aggiuntiva. Non credevo la polizia potesse attaccare, perché eravamo così in tanti e la stampa internazionale stava guardando. Non stava succedendo nulla, e poi d’improvviso vennero lanciati lacrimogeni. Le prime file davanti al Ministero degli Interni cercò d’indietreggiare. Pensai fosse stato tutto lì per quel giorno e che saremmo ritornati il giorno seguente. Fu un momento indimenticabile – la gente piangeva mentre cantava l’inno nazionale. Gli anziani, i bambini e qualche donna si ritirarono. Tutti gli altri rimasero a combattere. Lottammo tutto il giorno.

Membri e dirigenti sindacali, quartier generale dell’UGTT nel sobborgo industriale di Ben Arous:

Questa città ha mezzo milione di persone. Ha industrie chimiche, una raffineria e molte fabbriche come ad esempio fabbriche di assemblaggio di componenti elettronici per compagnie automobilistiche straniere e trasformazione alimentare. E’ considerata attraente per gl’investimenti esteri per via dei suoi educati e specializzati lavoratori e tecnici e buone infrastrutture. La maggior parte dei lavoratori sono originari di questa regione.

Non siamo mai stati un sindacato “normale”. L’UGTT è stato fondato durante la lotta di liberazione negli anni ’30. Abbiamo svolto attivismo politico per anni, in particolare nella regione mineraria del sud. La dirigenza nazionale supportava Ben Ali, ma le dirigenze regionali e locali erano opposte a ciò. Siccome i partiti politici erano vietati, i partiti di sinistra erano attivi prevalentemente attraverso i sindacati, assieme alle organizzazioni per i diritti umani e le ONG.

E’ vero, come dice la gente, che la rivoluzione fu fatta per la libertà, non per il pane, ma è anche vero che mentre eravamo soffocati dalla mafia di Ben Ali, la gente dell’interno soffriva di estreme diseguaglianze regionali e disoccupazione.

Abbiamo tenuto la nostra prima manifestazione qui il 5 gennaio, principalmente membri sindacali ed altri lavoratori. La polizia circondò i nostri uffici. Dopo di ciò tenemmo una riunione di massa per decidere il da farsi, ed indetto uno sciopero generale regionale per il 14 gennaio dalle 10 alle 12.

Ben Ali chiuse le scuole a causa della sollevazione. Gli studenti vennero per riunirsi nei nostri uffici perché non avevano nessun altro posto – l’associazione studentesca ufficiale era gestita dal regime. Finì che non ci furono scioperi perché molte fabbriche quella mattina nemmeno aprirono. Semplicemente tutto si fermò. Quindi gli studenti e altra gente andarono a manifestare nel centro di Tunisi. Quella sera Ben Ali di dimise.

Da A World to Win News Service (Maggio 23, 2011)

Traduzione a cura della redazione di Contropiano

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