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Il “lato oscuro” dell’ordine pubblico

L’uomo di 51 anni era rimasto a terra privo di vita, per chi è debole di cuore, morire in seguito a forti emozioni, può succedere . Ma la versione ufficiale non convince i familiari. Gli amici e i familiari di Michele Ferrulli hanno organizzato per venerdì sera una fiaccolata per chiedere che «venga accertata la verità» sul suo decesso. La manifestazione, promossa insieme con il Comitato inquilini Molise-Calvairate-Ponti, il Comitato inquilini via Maspero e altre associazioni di abitanti delle case popolari, partirà alle 21 da via del Turchino, in zona Ortomercato.

L’accusa è per i quattro agenti intervenuti giovedì scorso e iscritti nel registro degli indagati per omicidio preterintenzionale sull’inchiesta capitanata dal pm Gaetano Ruta. I quattro agenti che giovedì scorso hanno eseguito l’intervento in via Varsavia a Milano, durante il quale è morto Ferrulli, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Comparsi davanti al pubblico ministero titolare delle indagini, che li ha iscritti nel registro degli indagati per omicidio preterintenzionale, i quattro si sono richiamati alla relazione di servizio effettuata dopo l’intervento.
Sugli striscioni che sventolavano davanti l’ingresso delle case popolari del quartiere di Michele Ferrulli si può ancora leggere: «Polizia assassina…», «Michele morto ammazzato».
Il tutto riporta alla mente il ricordo della morte di Federico Aldrovandi, Gabriele Sandri, il tifoso ucciso da un agente della stradale o a quello della morte di Stefano Cucchi. Su queste vicende ci sono testimonianze che possono fare la differenza su quella che diventa la “…una mia parola contro la tua”. “Lo hanno picchiato in tanti, e alla fine Michele è caduto a terra” ha risposto Emilian Nicolae, 45 anni, un conoscente della vittima e testimone oculare, alle domande del pm Gaetano Ruta.
L’uomo potrebbe essere stato stroncato da un malore, ma la famiglia denuncia un violento pestaggio. Secondo l’autopsia dell’istituto di medicina legale, vi sarebbero lesioni sui polsi, compatibili con le manette, e lesioni sul costato (compatibili con un massaggio cardiaco) ma non segni di traumi o ematomi che potrebbero far pensare a un pestaggio. I familiari non credono però alla perizia ufficiale.
L’avvocato Fiaba Lovati, legale della famiglia Ferrulli conferma che non sono state riscontrate lesioni agli organi interni ma fratture alle costole e trauma cranico. Ma la vicenda di Michele Ferrulli riporta alla luce la spinosa e inquietante questione del “lato oscuro” dell’ordine pubblico nel nostro paese.

L’ordine pubblico ha un lato oscuro che va portato alla luce

Se l’inizio del terzo millennio ha comportato, tra altre cose, una riedizione di scenari politici “nuovi”, è pur vero che, sulla scena sociale è avvenuto un mutamento nei comportamenti di notevole portata.

Ci riferiamo a quanto sta accadendo nella nostra società in merito ai rapporti sociali e alle leggi che dovrebbero regolare il “convivere” civile tra le diverse componenti presenti nella società.

Negli ultimi mesi ed anni stiamo assistendo, con scarsa coscienza, ad una modifica “in pejus” dei comportamenti da parte delle “forze dell’ordine” (quantomeno da parte di corpi militari e “nuovi” settori militarizzati – come ad es. i vigili urbani e affini), i quali sono chiamati a intervenire in episodi di particolare rilevanza sociale come manifestazioni, partite di calcio con tifoserie agitate, risse e controlli fuori dai locali notturni, assembramenti serali di masse giovanili alla ricerca di svago, “sballo” ecc.., ecc.. .

Nel conteggiare gli episodi accaduti negli ultimi tempi si possono contare un numero elevato di morti sospette, lesioni gravi, fermi e arresti troppo leggeri o senza particolare pericolosità sociale e via di questo passo.

I casi più eclatanti, nei quali le responsabilità delle forze di polizia o di singoli appartenenti alle forze dell’ordine sono indiscutibili, appartengono alla cronaca quotidiana. Si va dal giovane tifoso – Gabriele Sandri – ucciso in un parcheggio autostradale mentre si recava ad assistere ad una trasferta calcistica, al giovanissimo Federico Aldrovandi morto durante il fermo da parte di due volanti fino a uno degli ultimi episodi di cronaca come la morte di Stefano Cucchi, dopo essere stato fermato, arrestato ed imprigionato per il possesso di un piccola quantità di droga leggera,

L’accusa nel caso di Cucchi e in quello di Aldrovandi parla di pestaggio; pestaggio avvenuto -così sembra da testimonianze dirette – al momento del fermo o all’interno dello stesso palazzo di giustizia, più precisamente nelle celle sotterranee attrezzate per la custodia degli imputati sottoposti a processo.

Negli ultimi giorni si segnalano poi ulteriori episodi – come in Val di Susa – nei quali l’intervento delle forze dell’ordine ha procurato diversi ferimenti di notevole entità.

Stiamo, di fatto assistendo ad una (ri)definizione continua ed ininterrotta del nemico pubblico, in un’ostinata ricerca-creazione della situazione di emergenza.

In una società caratterizzata ormai da una quasi “legge della giungla”, dove il libero arbitrio si esercita da parte di numerosi soggetti, siano essi legali o illegali (vedi gli ultimi episodi che stanno accadendo nella città di Roma dove pare sia in corso una “guerra” per il controllo del territorio da parte di soggetti appartenenti a precedenti bande criminali come quella della “banda della Magliana” o simili.), la questione dell’ordine pubblico sembra suscitare scontate dichiarazioni bipartizan di sostegno alle forze del’ordine. Per essere uno stato di diritto a questo scenario mancano ancora molti tasselli decisivi.

Il contesto è quello in cui tutto che può risultare sovversivo, incomprensibile, dunque non controllabile del tutto, viene additato come pericoloso e temibile per tutta la popolazione, per i cittadini, per l’ordine democratico, per la “civiltà”, per la “libertà” e la “sicurezza”!!.

Di fatto viene alimentata anche tra le forze dell’ordine una logica che vede tutti coloro che non appartengono al proprio “corpo di appartenenza” come nemici da combattere sempre e comunque, a torto o a ragione.

 

Le leggi d’emergenza sono rimaste come “norma”

Nel nostro paese è ancora vigente non solo il codice Rocco e i successivi decreti speciali introdotti a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, ma anche la Legge Reale (n.152 del 1975/05/22) che diede l’avvio definitivo a quello che si può definire diritto speciale, legislazione “d’emergenza”, la quale amplia a dismisura i casi in cui sia legittimo l’uso di arma da fuoco da parte delle forze dell’ordine. In secondo luogo stabilisce, nei casi in cui si possa parlare di abuso dell’arma stessa, un regime giuridico di favore per l’imputato: le indagini non saranno condotte dal giudice competente, ma dal procuratore generale presso la Corte d’Appello che potrà poi decidere di affidare il processo alla Procura della Repubblica. Il caso dell’uccisione di Gabriele Sandri va inquadrato, sia nello svolgimento dei fatti che nell’iter giudiziario, dentro questa cornice giuridica.

In pratica, anche qualora sia evidente l’abuso di arma da fuoco da parte di un funzionario dell’ordine pubblico, il colpevole viene garantito e tutelato da un procedimento giuridico particolare. Non si può certo non sottolineare come questa legge rappresenti palesemente una licenza speciale a sparare che rappresenta non solo una legittimazione ingiustificabile per le forze dell’”ordine”, ma anche una grave violazione dei diritti ed un pericolo per l’incolumità di chi si può trovare dall’altra parte del mirino. E può capitare, anzi è capitato, che siano cittadini niente affatto minacciosi per l’ordine pubblico.

A testimonianza di ciò forniamo alcuni dati sconcertanti raccolti in 685, un libro pubblicato nel 1990 dal centro Luca Rossi di Milano, in esso sono catalogati i casi di “morti da Legge Reale”.

Solo nei primi quindici anni di applicazione della legge si contano seicentoventicinque vittime – più di tre al mese, ovvero una ogni dieci giorni – da parte delle forze dell’ordine.

Di esse 208 non stavano, nè erano in procinto di commettere reati di alcun tipo. In ben 625 casi si ricorre alla giustificazione del “colpo accidentale”, magari per un mancato stop ad un posto di blocco.

 

Qui di seguito alcuni episodi emblematici:

– Caso n. 206, 07.01-1981, Roma: Laura Rendina 28 anni, accosta l’auto su cui trasportava alcuni parenti; sfortunatamente nella zona in cui si è fermata vivono alcuni politici e la famiglia Moro. Sente bussare al finestrino e vede una pistola puntata a pochi centimetri dal suo volto; pensa ad un’aggressione, colta dal panico mette in moto e tenta di fuggire, ma viene raggiunta da una raffica di proiettili.

– Caso n. 622, 27/06/1989, Nave (BS): Claudio Ghidini 19 anni viene fermato con degli amici in auto per un controllo. Un milite gli intima di salire sulla sua auto, ma Ghidini rifiuta: viene picchiato e ucciso con colpo alla testa.

 

– Caso n. 338, 06/02/1984, Torino: Renato Cavallaro 44 anni sta uscendo da una cabina telefonica mentre al semaforo un poliziotto all’inseguimento di un latitante scende dalla sua auto e inizia a sparare all’impazzata. Cavallaro viene colpito e perde la vita.

 

Il “patrolling”

A fronte di questa realtà, che sta via via modificando i comportamenti sociali, in Italia, oltre alla giustizia ordinaria non ci sono forme o strutture di tutela e di difesa o di controllo dall’operato delle forze dell’ordine nelle loro funzioni di controllo o sorveglianza, di servizio di ordine pubblico durante lo svolgimento di manifestazioni politiche o raduni di massa per assistere ad eventi sia essi sportivi che musicali o quant’altro.

Negli anni ’60 negli Stati Uniti, la crescita di influenza del Partito delle Pantere Nere (il Black Panther Party) avvenne anche sulla base della proposta di pattugliamento e di sorveglianza (patrolling) nei quartieri sull’operato della polizia statunitense, particolarmente brutale ed aggressiva nei confronti della popolazione nera o latina dei ghetti.

Le “pattuglie” del BPP giravano nei “ghetti” delle metropoli statunitensi armate della sola costituzione americana, la quale garantiva e tutelava alcuni diritti che erano invece calpestati dalle forze di polizia.

In Italia la proposta di sorveglianza o il “pattugliamento” è attualmente in mano solo a settori della destra. La Lega ha proposto, anche se con scarso successo, le “ronde padane”, per controllare gli extra-comunitari; negli stadi sono presenti gli “stewards” per il controllo e la eventuale denuncia di tifosi “particolarmente agitati”. Ma non esiste niente che consenta ai cittadini di controllare e di tutelarsi dai funzionari dell’ordine pubblico qualora siano costoro a rappresentare una minaccia alla sicurezza o alle libertà individuali e collettive.

Nel nostro paese è presente, nella Costituzione Italiana, l’art.13 che recita così:

La libertà personale è inviolabile.

Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge .

In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.

E` punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.

La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.

 

E’ forse arrivato il momento di costituire dei comitati di controllo popolare fondati sull’art.13 della Costituzione?

 

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