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L’export di Berlino e i rapporti con gli altri. Una cura all’eurofollia

 Ricordiamo che dal varo dell’euro nel 1999 i parametri sono stati violati più volte proprio per iniziativa di Parigi e Berlino.
E’ successo nel 2002, l’anno in cui entrava in circolazione la nuova moneta, con tanto di annuncio formale da parte dei due pessimi amici, giustificato dalla recessione statunitense e dall’emergenza causata dall’11 settembre che aveva letteralmente travolto i mercati finanziari. Il rientro nei parametri e la volontà di imporli anche agli altri sono a loro volta collegati al successo nella dinamica delle esportazioni. Un ulteriore abbandono dei parametri riguardo il deficit pubblico si è ripetuto nel 2008, quando la Germania mise in cantiere un vasto programma di spesa per rilanciare l’economia.
Ogniqualvolta il dettato dei trattati è in conflitto con i propri interessi, Berlino sceglie sempre, con ragione, quest’ultimi e volutamente impedisce con ogni mezzo agli altri paesi della zona dell’euro di fare altrettanto. In tal modo la Germania coniuga il potere oligopolistico delle suo capitalismo al monopolio istituzionale acquisito al livello europeo. Quest’ultimo è andato rafforzandosi sebbene l’Unione europea sia passata dai 12 stati del 1992 ai 27 attuali.
A tale rafforzamento corrisponde l’indebolimento politico degli altri paesi, dell’Italia e della Francia in particolare (gli unici che possano contrastare l’egemonia tedesca in Europa), in misura maggiore del divario economico che li separa dalla Germania. L’accordo franco-tedesco siglato dai 17 paesi dell’eurozona, con l’aggiunta di 9 firmatari fuori all’Unione monetaria, non risolve la crisi bancaria, appunto perché si concentra sul debito pubblico. I buoni del tesoro sono una componente importante del capitale bancario europeo e dopo due anni di sistematico attacco tedesco sono ormai ad alto rischio.
Il contagio sta lambendo anche i titoli di Berlino i quali, essendo considerati sicuri, hanno un basso rendimento. Tuttavia un numero crescente di investitori istituzionali ora lo ritiene troppo piccolo. Infatti, in quanto appartenenti al paese che sta segando il ramo su cui è seduto (l’Unione europea), i titoli di Berlino vedono crescere l’incertezza circa la loro solidità (soprattutto se si conferma il calo della crescita tedesca). Come osserva John Authers sul Financial Times, per la Bce diventa impossibile aiutare le banche, erogando loro denari, senza sostenere i titoli pubblici. Ma è proprio ciò che Berlino e la Bundesbank – che non ha esitato un attimo a comperare i bund dopo il fallimento della recente vendita – non vogliono che venga fatto.
Le banche intendono evitare una massiccia svalutazione dei titoli pubblici in loro possesso e quindi continuano a liberarsene creando così un circolo vizioso. Da Bruxelles non è arrivata nessuna indicazione rassicurante in tal senso, pertanto, a breve termine, lo stato dei titoli pubblici non migliorerà, mentre si sta aggravando la crisi bancaria franco tedesca: la Commerzbank, le seconda in Germania, è con l’acqua alla gola. Non resta quindi che augurarsi il fallimento della strategia dell’export di Berlino – come forse indica il calo dell’export tedesco su base mensile per il mese di ottobre sebbene su base annua la dinamica sia ancora alquanto positiva ad eccezione delle esportazioni verso l’eurozona – sperando che agisca da cura all’eurofollia.

da “il mnifesto”

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