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Giungla d’asfalto e rifiuti. Il disastro della Bre-be-mi

Attraverso i campi coltivati tra Chiari e Urago d’Oglio, nebbia e poco altro. La Brebemi, la nuova autostrada che unirà Brescia, Bergamo e Milano, ennesima grande ed inutile opera da 2,4 miliardi di euro che divorerà novecento ettari di territorio agricolo, è a poche decine di metri da noi, ma riusciamo ad intravederne solo la sagoma.

Per capire l’impatto di quest’opera percorriamo in macchina, accompagnati da Valentina Bazzardi, responsabile Legambiente Bassa Bresciana, le strade di campagna per raggiungere i piloni che si ergono a pochi metri dalla riva del fiume Oglio. Queste terre sono, o forse sarebbe meglio dire erano, il feudo elettorale di Franco Nicoli Cristiani, vicepresidente (Pdl) della consiglio regionale della Lombardia, arrestato insieme al costruttore-cavatore Pierluca Locatelli e ad altre otto persone per lo scandalo dei rifiuti tossici sepolti sotto il manto stradale.
Percorrendo il perimetro dell’infinita area di cantiere, raggiungiamo la Brebemi. L’autostrada corre sopra di noi. Valentina ci spiega che da mesi, come Legambiente, stanno portando avanti una strenua battaglia «non solo contro la Brebemi, ma contro tutte le opere, grandi e piccole, annesse e connesse all’autostrada, che stanno distruggendo la nostra terra». Il riferimento è soprattutto ai poli logistici di Calcio e di Chiari. Due enormi distese di cemento sotto forma di capannoni industriali, uno proprietà Italtrans (345mila mq), l’altro Auchan-Sma (164mila mq). «Oggi sorgono in mezzo al nulla o quasi, fra i campi, ma domani saranno a pochi metri dalla Brebemi». È il cosiddetto “effetto Brebemi”.
Rientrati a Chiari dallo “speculation tour”, al caldo di un bar, Valentina ci mostra il video che – di nascosto – ha girato con Andrea Mihaiu, giornalista locale, questa estate negli stessi cantieri tra Fara Olivana e Cassano d’Adda oggi avvolti dalla nebbia. «Siamo entrati accompagnati da un responsabile di cantiere letteralmente schifato dal modo in cui procedevano i lavori». Nel video si vede benissimo come la loppa d’altoforno, materiale di scarto nella produzione della ghisa e teoricamente perfetto per costruire il manto stradale, è per nulla trattata. Per non parlare della qualità del materiale: «Per legge, il manto stradale dovrebbe essere composto al massimo dal 2% di asfalto, mentre in questi cantieri arriva ben oltre il 90%». E ancora, legna, plastica, idrocarburi, laterizi, scarti di acciaieria pieni di cromo esavalente.
Guardando un altro video di un altro cantiere, quello di Bariano (Bergamo), si vedono chiaramente dei tubi che dalle vasche del cantiere pompano fuori acqua che, anziché essere conferita (come si vede nella fotografia) in vasche di decantazione per essere trattata, finisce direttamente nel fiume Serio. «Queste sono le immagini di un disastro ambientale» spiega Valentina. Ma dell’acqua contaminata ancora non se ne parla, né nelle procure, né sui media. «La magistratura sta indagando solo per la questione relativa ai rifiuti, come se la contaminazione delle acque fosse un problema secondario. Ma noi siamo qui, e il nostro video pure, a disposizione degli inquirenti».
Quel che fa più rabbia «è proprio l’attesa dell’illecito, del reato, per vedere finalmente i media occuparsi di cose che si sapevano da tempo: semplicemente, che la Brebemi avrebbe distrutto il nostro territorio». E ora, scoppiato lo scandalo dell’autostrada “dei veleni” nel quale la società Brebemi si ritiene parte lesa? L’opera andrà avanti o si fermerà? Sono queste le domande che si pongono i media locali. Domande che, per la “cittadinanza attiva” della Bassa Bresciana, una risposta già ce l’hanno e prescinde dalle inchieste della magistratura. «I cantieri della Brebemi sono partiti il 22 luglio 2009 senza la chiusura dell’iter di finanziamento» racconta Dario Balotta, responsabile trasporti di Legambiente Lombardia, che continua nel suo lavoro di denuncia nonostante le diffide giunte dai legali della società Brebemi. La Corte dei Conti, infatti, non ha ancora registrato la delibera del Cipe del 5 maggio scorso con la quale veniva approvato il secondo atto aggiuntivo della convenzione tra la Concessionaria autostrade lombarda e la società Brebemi. «E considerato che la delibera, una volta approvata, dovrà essere recepita da un decreto interministeriale (Infrastrutture ed Economia, ndr) e che ad oggi non c’è ancora il progetto esecutivo della Tem (la Tangenziale esterna milanese nella quale dovrà intersecarsi la Brebemi una volta giunta a Milano, ndr) si capisce come il tutto sia in alto mare». Ma intanto i cantieri sono partiti.
E mentre i primi disastri – ovviamente ambientali – sono già storia, «per la Brebemi si continua a ricorrere a prestiti ponte in attesa del finanziamento della Tem». Solo allora, infatti, le banche che siedono nella società di progetto Brebemi, Intesa San Paolo, Banca innovazione infrastrutture e sviluppo (sempre gruppo San Paolo), Ubi, Banco di Brescia, Credito Bergamasco, Banca di credito cooperativo di Treviglio, e quelle che dovranno finanziare l’opera, San Paolo (con 390 milioni), Unicredit (con 290), Monte Paschi Siena (con 200), Ubi (con 200), Credito bergamasco (con 200) e la pubblica Cassa depositi e prestiti (che contribuirà con ben 760 milioni di euro, pari al 40% del costo totale), avranno le condizioni tecniche e quindi le garanzie economiche per far partire il finanziamento dell’autostrada. E così, un’opera che da sempre si sostiene verrà costruita per la collettività ma con fondi privati – dietro la concessione ventennale dell’autostrada alle società che compongono Brebemi – usufruirà per quasi un terzo del suo costo di finanziamenti pubblici.
Come spiega ancora Balotta, «la questione del finanziamento dimostra che la Brebemi è un’opera ritenuta valida solo dai soggetti promotori ma non dai finanziatori che invece stanno attendendo garanzie che si chiamano Tangenziale esterna di Milano. Un’opera senza la quale la Brebemi non ha ragion d’essere». Per questo, stante la difficoltà di partire con i 24 chilometri di Tem da Agrate a Cerro al Lambro, «ci si è inventati un “arco Tem” di 6 chilometri per evitare che le auto provenienti da Brescia finiscano la loro corsa nei campi del Parco Agricolo Sud». Ciliegina sulla torta: consapevole che la concessione ventennale sarà insufficiente a ripagare gli investimenti fatti per la Brebemi (il calcolo fatto da Legambiente parla di un rientro di 1,6 miliardi a fronte dei 2,4 spesi), il ministro alle Infrastrutture Corrado Passera – ex amministratore delegato Intesa San Paolo, istituto presente sia tra i finanziatori che nella società Brebemi e quindi tra i futuri gestori dell’autostrada – ha inserito nel decreto “Salva Italia” un articolo, il 42 commi 4 e 5, che modificando gli articoli 3 e 143 del Codice dei contratti, stabilisce che in caso di nuove concessioni «di importo superiore a un miliardo di euro» la durata «può essere stabilita fino a cinquanta anni» al fine di garantire «il rientro del capitale investito». È bastato un decreto per salvare il piano finanziario della Brebemi, opera altrimenti insostenibile economicamente.
Intanto i due cantieri “dei rifiuti” dove operava la ditta Locatelli restano sotto sequestro. Un terzo, quello di Urago d’Oglio, è fermo su decisione del consorzio Brebemi. In tutto, ad appena sedici mesi dall’inaugurazione dei cantieri proprio in quel di Urago d’Oglio, in pompa magna e alla presenza dell’ex premier Silvio Berlusconi e degli ex ministri Matteoli e Bossi, sono ben 36 sui 62 totali i chilometri di cantiere fermi. Anche questo è il sistema grandi opere all’italiana.

Da Liberazione del 3 dicembre 2011

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