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Turchia: studenti in carcere

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Cosa hanno in comune un ombrello con su scritto “no alla violenza contro i medici”, una sciarpa palestinese, il “Capitale” di Marx, la partecipazione ad una manifestazione per l’8 marzo e la foto del leader di un ex partito della sinistra rivoluzionaria turca? La risposta è semplice. Tutte queste cose possono diventare improvvisamente delle “prove” di azioni terroristiche armate.

Purtroppo non si tratta di uno scherzo. E’ quello che è successo a numerosi studenti della Turchia che ora si trovano agli arresti preventivi in attesa di una sentenza del tribunale. Secondo il ministero della Giustizia sono un centinaio, per l’Associazione dei giuristi contemporanei (Çağdaş Hukukçular Derneği – ÇHD) oltre 500. Qualcuno si trova dietro le sbarre da tre anni.

“E’ molto difficile riuscire a ottenere una lista dei nomi di tutti gli studenti che si trovano nelle carceri del Paese”, afferma il ÇHD che lo scorso novembre ha diffuso un rapporto sull’argomento. “Stabilire il numero reale degli studenti detenuti soprattutto all’Est e nel Sudest del Paese è reso alquanto difficile a causa delle ondate di arresti che avvengono quasi quotidianamente nella zona. Considerate anche le regioni di Siirt, Van, Hakkari riusciamo a dedurre che solo in Anatolia sudorientale il numero degli studenti in stato di arresto rappresenta la metà del numero complessivo della Turchia”.

Ciò che rende possibile questo stato di cose sono alcuni articoli della Legge sulla lotta al terrorismo e del Codice penale turco. Come spiegano gli esperti, la Legge sulla lotta al terrorismo ha un ambito di applicazione estremamente vasto e dipende dai giudici decidere quali sono gli elementi concreti che determinano un’“azione terroristica”.

“In molti casi il problema nasce perché il diritto ad avere un processo equo viene seriamente compromesso attraverso decisioni e conferme di arresti effettuati automaticamente”, afferma il prof. Ahmet İnsel, presidente della Facoltà di Economia all’Università Galatasaray, aggiungendo che esistono proprio dei “crimini da catalogo” in questo senso.

Interpellato sulla questione, il ministero della Giustizia ha inizialmente detto che presenterà al Consiglio dei ministri una proposta di modifica sui tempi di detenzione, ma di fronte a pressioni provenienti dai media conservatori ha cambiato rotta affermando di voler accelerare solo i tempi dei processi, quando invece il problema deriva proprio dalle decisioni di detenzione.

“I giudici tendono a escludere provvedimenti di controllo giuridico diversi dalla detenzione per prevenire l’eventuale fuga dell’imputato. La probabilità di fuga non viene valutata in modo realistico. Si sostiene che le persone detenute da mesi, e anche anni, potrebbero insabbiare le prove anche quando il processo è ad uno stadio avanzato”, aggiunge İnsel.

Cihan Kırmızıgül, studente al terzo anno di ingegneria all’Università Galatasaray di Istanbul è detenuto preventivamente da 22 mesi. Il 20 febbraio 2010 attendeva alla fermata dell’autobus con la sua sciarpa palestinese (kefiah) al collo. E’ stato fermato dalla polizia perché aveva addosso lo stesso tipo di sciarpa che, secondo alcuni testimoni, portavano i membri di un gruppo che poche ore prima avevano lanciato un petardo in un supermercato vuoto di quella zona.

L’accusa per Kırmızıgül è quella di aver partecipato per conto del KCK (Unione delle comunità del Kurdistan) ad un attacco terroristico, ma non c’è alcun altro indizio a riguardo e non si sono trovate le sue impronte digitali sul petardo. Durante il processo il testimone segreto che lo aveva inizialmente identificato con uno del gruppo dinamitardo ha ritirato la propria dichiarazione, mentre il procuratore della causa ha chiesto che il ragazzo venisse dichiarato innocente per mancanza di prove. Il tribunale ha però rifiutato la richiesta. La prossima udienza con il nuovo procuratore che chiede una pena fino a 45 anni di carcere si terrà il 23 marzo.

I ragazzi con i libri di Marx

Un altro processo simbolo che ha creato una grande mobilitazione dell’opinione pubblica è quello di Hopa in cui sono imputati 28 giovani di cui 22 erano in stato di arresto preventivo. Lo scorso 9 dicembre si è tenuta infatti ad Ankara la prima udienza del processo e il giudice ha deciso che tutti ragazzi saranno processati a piede libero.

Il gruppo, composto per la maggior parte da studenti universitari, l’estate scorsa a Hopa, sul Mar Nero, aveva partecipato ad una manifestazione per protestare contro il brutale intervento delle forze dell’ordine durante una dimostrazione precedente in cui un insegnante era morto d’infarto.

Sebbene gli studenti siano accusati di far parte di un’organizzazione terroristica armata dell’estrema sinistra, tra le prove del reato non si trovano né armi né bombe. Compaiono invece un ombrello, uno striscione con la scritta “Collettivi studenteschi”, un’altra sciarpa palestinese, i libri di Marx, Engels e Lenin, qualche rivista “rivoluzionaria” e un poster contro l’aumento dei prezzi dei mezzi di trasporto.

“A leggere l’atto d’accusa anch’io sono il classico terrorista” ironizza nel suo commento su Radikal Özgür Mumcu, “Ho l’ombrello, nell’armadio da qualche parte ho anche la sciarpa palestinese, e anche dei libri. Meno male che il giorno della manifestazione non mi trovavo ad Ankara!”

Limoni, i pomodori e i cetrioli, ecco la bandiera curda

Gli studenti “sospetti” si distinguono spesso per avere una posizione politica non allineata col governo, per far parte dei collettivi studenteschi e perché manifestano nelle piazze, frequentano case popolari, leggono libri e riviste della sinistra rivoluzionaria. Come Berna Yılmaz e Ferhat Tüzer che sono stati in prigione per 19 mesi per aver esposto lo striscione: “Vogliamo un’istruzione gratuita e ce la prenderemo” durante una conferenza del premier Tayyip Erdoğan. O come la studentessa curda dell’Università di Kocaeli Ayla Şimşek, arrestata lo scorso giugno assieme ad altri 13 compagni, che dalla prigione scherza su come evitare di accostare per sbaglio i colori della bandiera curda: “Quando andate al mercato fate molta attenzione. Non mettete assolutamente i limoni, i pomodori e i cetrioli uno accanto all’altro, altrimenti finisce che vi ritrovate prima fermati, poi di fronte al procuratore e alla fine in prigione quali membri del KCK”.

Ma cosa insegna a questi ragazzi portare via mesi e anni della loro vita con prove prive di qualsiasi consistenza? Rispondono gli studenti di Hopa liberati dopo 6 mesi di detenzione: “Se hanno pensato di mandarci dentro affinché capissimo come funziona il mondo si sono sbagliati. Sappiano che non l’abbiamo capito. Saremo di nuovo sul fronte opposto, faremo da portavoce alla popolazione povera, reagiremo al carovita e continueremo a lottare per una Turchia democratica”.

La risposta politica dell’opposizione

In collaborazione con alcuni docenti universitari un rapporto sulla questione l’ha redatto anche il deputato del Partito repubblicano del popolo (CHP) Hüseyin Aygün, recentemente al centro dell’attenzione per le dichiarazioni sui fatti di Dersim . “Questi ragazzi sono accusati per una metà di far parte di gruppi terroristici armati illegali e per l’altra di fare parte del KCK. Sono studenti abbandonati a se stessi, non vengono menzionati nemmeno nei rapporti dell’Unione europea”, afferma Aygün, aggiungendo che “gli arresti si sono intensificati a partire dal 2007, dopo alcuni discorsi del premier e dei suoi ministri che prendevano di mira le manifestazioni studentesche. Lo stato d’arresto è un’eccezione. Ma in Turchia si è trasformata in regola. E’ necessario mettervi fine”.

“Se il ministero della Giustizia e il governo oltre a velocizzare i tempi processuali non correggeranno al più presto le decisioni sulle detenzioni sulla base delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, nella lista sui diritti umani del Consiglio europeo resteremo ultimi assieme alla Russia” afferma invece il Prof. İnsel, aggiungendo che “non sarà cosa onorevole vincere questa gara.”

Istanbul, 22 dicembre 2011. Fonte: www.balcanicaucaso.org

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