Menu

Diritto del lavoro o dei lavoratori?

Dagli anni Novanta lo sciopero è stato “normato” fino a diventare inefficace se non nella sua forma più estesa ed intensa.

Quasi in tutto il mondo si fa risalire la nascita del “diritto” al periodo dell’impero romano, dal 753 a.c al 410 d.c. Già duemila anni fa, infatti, erano state descritte ed elaborate le varie branche del diritto, per esempio quello del matrimonio, dell’eredità, dei contratti, della proprietà, del
possesso, ecc. L’unica branca che nel diritto romano non esisteva era quella del diritto del lavoro. Ai lavoratori non era riconosciuto alcun diritto.
Il diritto del lavoro nel diritto romano non esisteva se non come proprietà sullo schiavo. In sostanza, il lavoratore era paragonato ad un attrezzo, ad una macchina di lavoro, che il padrone poteva disporre a suo piacimento ed arbitrio. Lo poteva usare, spostare, abbandonare e vendere come voleva.
Anche dopo l’impero romano la condizione di schiavitù è continuata senza che ai lavoratori fosse riconosciuto alcun diritto da tutte le legislazioni del mondo.
Solo dal 1750 si sono registrati sporadici interventi per frenare alcune situazioni schiavistiche mentre le prime elaborazioni di diritto del lavoro sono nate tra il 1800 ed il 1865.
In tale periodo si era diffuso lo sviluppo industriale con numerose conseguenze.
Le condizioni di vita e di lavoro degli operai di fabbrica furono molto pesanti, anche per l’assoluta mancanza di ogni tutela dei loro diritti e per il divieto imposto dai governi di associarsi per ottenere miglioramenti salariali.
La giornata lavorativa era di quattordici ore e spesso fu portata a sedici.
La disciplina in fabbrica era ferrea: le macchine dovevano lavorare a un ritmo  continuo e veloce e non c’era spazio per riposarsi, né per le pause.
Allontanarsi dal proprio posto o parlare con un compagno venivano considerate mancanze gravi e costavano pesanti sanzioni fino al licenziamento.
Era l’uomo a doversi adattare alla macchina e non il contrario. Al lavoratore si chiedeva di svolgere un ruolo meccanico e non attivo o intelligente.
I salari erano bassissimi perché i disoccupati erano così numerosi che un operaio se scontento poteva essere sostituito in qualsiasi momento.
Particolarmente grave fu la condizione dei bambini e delle donne che, essendo pagati meno, venivano utilizzati in gran numero. Costavano meno perché ricevevano un salario più basso e rendevano allo stesso modo. Nelle fabbriche della Scozia nel  1816 su 10.000 operai, 6.850 erano fra donne e bambini. In nessun paese esistevano leggi per tutelare i bambini, nemmeno quelli più piccoli.
Dopo le prime lotte lo stato inglese approvò la prima legge nel 1819 che prevedeva il limite di età di assunzione di bambini da dieci anni in poi e il limite dell’orario giornaliero stabilito in dieci ore. Non c’era, però, alcuna legge o autorità che prevedeva il controllo. Quindi la legge sul lavoro minorile non è stata mai applicata.
Dal 1800 era enormemente aumentata l’esasperazione dei lavoratori causata non solo dallo sfruttamento ma anche dalle ripercussioni lavorative consistenti in moltissimi morti sul lavoro, malattie professionali, infortuni, miseria, sopraffazioni sulla persona. I lavoratori non erano solo schiavi ma anche carne da macello.
Gli interessi delle due classi, borghese e proletaria, sono inconciliabili. La borghesia ritiene che qualunque sia la sorte dell’operaio, non è compito del padrone migliorarla.
Gli operai possono contare solo sulle loro forze per migliorare le proprie condizioni di vita. Solo unendosi e lottando insieme gli operai possono fare pressioni sui padroni affinché migliorino le loro condizioni. Impresa difficile perché i padroni hanno dalla loro parte anche i governi i quali
rappresentano le classi più elevate e si schierano con i padroni e non con gli operai.
I governi hanno sempre vietato l’associazione dei lavoratori ed impedito le forme di lotta. In Germania, addirittura, nel 1845 ogni interruzione del lavoro era severamente punita anche con la pena di morte.
I lavoratori hanno creato varie situazioni di opposizione e di protesta, prima spontanee e frammentate, poi organizzate con insubordinazioni, rifiuto del lavoro, sabotaggi e scioperi. Gli operai non avevano strumenti per far valere le loro ragioni, l’unico modo era creare sabotaggi e distruzione delle macchine.
Gli operai si servirono del sabotaggio e del danneggiamento delle macchine come mezzo per costringere gli imprenditori a fare concessioni salariali o di altro genere.
Onde evitare la distruzione delle macchine e delle attrezzature, il padronato ha permesso la figura dello sciopero in modo che i lavoratori si astengono dal lavoro ma non ricevono il salario.
In agricoltura c’era già stato una specie di sabotaggio e sciopero agli inizi del  XIX secolo quando un ex prete di Grottaglie, Ciro Annicchiarico, con la sua organizzazione minacciava i braccianti delle campagne pugliesi per non  coltivare le terre dei padroni lasciandole incolte forzatamente.
Anche per ciò, ancora oggi in alcune zone del  Salento la terra incolta viene chiamata “annicchiarica”.
Per evitare i continui danni che subivano con i sabotaggi, i padroni hanno fatto le prime concessioni riconoscendo i primi diritti ai lavoratori.
Il diritto del lavoro nasce, quindi, in conseguenza della violenza e della lotta attuata dai lavoratori in danno dei padroni. Il diritto del lavoro non nasce dal riconoscimento delle istituzioni verso i lavoratori ma come protesta della classe lavoratrice di ottenere tutele, rispetto, dignità e libertà. 
Prima della lotta violenta attuata dagli operai il diritto del lavoro non esisteva ed i lavoratori non avevano alcun beneficio ed erano paragonati agli schiavi, alle attrezzature di lavoro, agli oggetti.
Mai lo Stato ha emanato norme di diritto del lavoro di sua iniziativa ma solo in conseguenza di battaglie portate avanti duramente dai lavoratori.
Ecco perché nel linguaggio giuridico il diritto del lavoro è definito come “elemento che resiste e che restringe lo sviluppo economico””.
Pertanto, il diritto del lavoro non è mai riconosciuto come una delle tante branche giuridiche ma come la forza dei lavoratori di rivendicare la tutela dei loro interessi. E’ evidente che la sua esistenza dipende dall’espressione di tale forza. Quando la classe lavoratrice smette di attuare la lotta violenta, il diritto del lavoro sarà sempre limitato fino ad essere abolito.
Finché esiste la società capitalista, lo strumento in mano ai lavoratori per ottenere la conquista di propri diritti è stato sempre il sabotaggio, il danneggiamento delle ricchezze padronali. Con questa pratica il padrone subiva dei danni ed i lavoratori nessuno. Ma il piano di rivendicazione giungeva chiaro alle orecchie dei padroni i quali hanno dovuto poi riconoscere e preferire lo sciopero quale forma di lotta pacifica ed incruenta perché colpisce il padrone ma costa sacrifici anche ai lavoratori
che la mettono in pratica in quanto non vengono pagati per la giornata che scioperano.
Lo sciopero danneggia il padronato quando è generale e duraturo al punto che blocca la produzione e l’incasso di profitti.
Lo sciopero, cioè, è utile ed ha successo solo se crea disagi, quale pressione sociale sui governi, e danni, quale pressione politica diretta. In sostanza, lo sciopero è utile solo se crea le stesse conseguenze del sabotaggio.
Per questi motivi i padroni cercano sempre di reprimere lo sciopero con la polizia, di ostacolarlo con l’invio di soldati in funzione di crumiraggio, di impedirlo con la militarizzazione dei lavoratori dei servizi pubblici.
Dicevamo che nel 1845 in Germania lo sciopero era punito anche con la pena di morte. Oggi negli Stati Uniti d’America è sostanzialmente vietato ed i lavoratori sono repressi con la forza.
Oggi in Italia il diritto di sciopero è fortemente limitato. E’ permesso di scioperare solo raramente ed esclusivamente in condizioni, tempi e modi da non recare fastidio al padrone, non creare disagi, non provocare danni.
Lo sciopero “legale” in Italia non ha più forza contrattuale. Anzi, chi sciopera rischia il licenziamento, multe e denunce penali. Emblematico quanto è successo nel dicembre 2003 agli autoferrotranvieri di Milano che hanno scioperato secondo le “”regole e legalmente”” per sette volte senza mai ottenere alcun risultato e neppure attenzione sociale. E’ bastato un solo sciopero vero, “”selvaggio””, per conquistare considerazione.
Successivamente, grazie alle leggi volute dalla sinistra, sono stati condannati dal Giudice penale.
In precedenza i lavoratori dei trasporti di Roma promotori di un’assemblea sindacale di base sono stati licenziati e denunciati da Rutelli.
In Italia il diritto di sciopero è sostanzialmente abolito e vietato e quanti vi partecipino e l’organizzino sono perseguitati.
Proprio come avveniva secoli fa e come si ripeteva durante il regime fascista. Ed il reato di sciopero previsto dal codice fascista non è stato mai abolito.
Tutto ciò grazie anche alla legge che lo limita, la n. 83 del 2000, voluta ed emanata dal governo di centro sinistra e mai contrastata dai sindacati confederali della triplice, né da Rifondazione Comunista.
In pratica, con la fine dello scontro di classe, con l’arresto della lotta dei lavoratori avvenuto a partire dal 1980, il padronato, con la complicità della sinistra istituzionale e dei sindacati confederali, si è ripreso quanto aveva dovuto concedere.
Se vogliamo liberarci dalla schiavitù in cui stiamo sprofondando dobbiamo ritornare alla storia.

* Avvocato del lavoro

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *