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Istanbul: il Newroz infiamma le strade. Una testimonianza

Newroz, festività antichissima, di origine zoroastriana, celebrata dall’alba dei tempi da molte popolazioni asiatiche e mediorientali, coincide con l’equinozio di primavera e il consenguente arrivo della bella stagione, il suo etimo infatti riporta al significato di ‘Nuovo Giorno’. Per i Kurdi che vivono in territorio turco, un modo per riaffermare ogni anno la propria identità nazionale. L’autorizzazione ai festeggiamenti risale solo al 2000, e rientra nei tentativi del governo Erdoğan, allora al suo primo mandato, di aprire sul fronte del riconoscimento delle peculiarita’ culturali della popolazione kurda, per non cedere d’altro lato di mezzo metro sulla possibilita’ di una riconoscıuta autonomia territoriale nel sud-est del paese. Da decenni pertanto questa giornata rappresenta molto più di una semplice commemorazione di usi e costumi (come pure il governo vorrebbe, al punto che si é provato ad assorbire il Newroz tra le festivita’ nazionali), e non sono rari negli anni i casi di proteste e incidenti verificatisi per l’occasione, caso emblematico nel ’92 quando decine di manifestanti persero la vita negli scontri con la polizia.
Con questo quadro generale in mente, ci svegliamo domenica mattina per raggiungere il quartiere di Kazlıçeşme, nel distretto di Zeytinburnu, uno dei 39 che compongono la municipalita’ di Istanbul. Li’ sono previste oggi le celebraizioni per il Newroz, le quali dovrebbero richiamare centinaia di migliaia di persone da tutta l’area per questo anticipo di festa che tradizionalmente si festeggia il 21 del mese, ma che, sfruttando la domenica, quest’anno nelle maggiori localita’ del paese e’ stata convocata in anticipo. Cambio di programma che pero’ non e’ andato giu’ al governo, il quale due giorni fa ha emanato un divieto definitivo per ogni celebrazione in giorni precedenti la data usuale. Ne vediamo glı effetti quando il tram si ferma a meta’ percorso e viene comunicato ai passeggeri di uscire. Ma la voglia di raggiungere la meta non manca, e cerchiamo un autobus che ci conduca in zona. Niente, gli autisiti ci informano che oggi la linea 83 non effettua corse, a una richiesta di spiegazioni iniziano a riscaldarsi. Un’amica piu’ mattiniera ci chiama per darci la notizia: la polizia ha effettivamente innalzato transenne in tutta l’area e la piazza principale e’ chiusa. Come immaginabile, gli scontri tra chi era venuto per una giornata di festa e le forze dell’ordine sono infine gia’ cominciati. Gira che ti rigira arriviamo alla stazione della metro, saliamo sperando nel miracolo che ci porti fino a destinazione, e che fortunamente si avvera, perche’ probabilmente i disagi comportati da un’interruzione di un’arteria tanto importante sarebbero equivalsi a regalare un primo punto ai dimostranti curdi. Arrivati alla stazione piu’ vicina, lo scenario si presenta da se’, quello che vediamo e’ il luogo di uno scontro appena avvenuto. I fuochi sparsi non appaiono esattamente come quelli che si prevede di accendere in occasione del Newroz. Iniziamo a porre domande ai ragazzi curdi che si rilassano sul prato, indossando ancora i colori giallo verde e rosso della loro bandiera, ma che non appaiono del’umore festoso che avrebbero sperato di avere. Tra il nostro turco stentato e il loro inglese accennato otteniamo comunque conferma di quanto ormai e’ chiaro sia successo, chiarendoci che gli scontri sono cominciati dopo che la forze dell’ordine hanno cercato di disperdere la folla con gli idranti. Ma ci dicono anche che a Diyarbakır, la capitale ideale del Kurdistan turco, la folla ha avuto la meglio e nonostante l’enorme dispiegamento di agenti le celebrazioni sono cominciate ugualmente. 
Nel tentativo di addentrarci nel distretto fino a Kazlıçeşme, non ci fermano tanto le parole di chi ci sconsiglia di proseguire, quanto l’inaspettato arrivo di una folla che all’improvviso smette di cantare ‘Il Newroz e’ la nostra indipendenza’ per iniziare invece a correre. Ne comprendiamo il motivo quando poco dopo, oltre il primo isolato segue di corsa un plotone di polizia che lancia proiettili di gas lacrimogeni contro i manifestanti. La vera rivolta si ha solo ora, e iniziano a volare sassi contro gli inseguitori, mentre un drappello di coda lascia il parco del capolinea dei mezzi distrutto in pochi minuti, per poi dedicarsi alla stazione del tram. Chi non partecipa agli scontri, cerca rifugio nella fermata della metro. 
Quando le acque si calmano, riusciamo finalmente a procedere. Zeytinburnu e’ diventato per oggi il quartier generale dei Kurdi di Istanbul, che si sono organizzati in capannelli eterogenei formati di uomini di tutte le eta’, armati di bastoni e disperazione, a ogni angolo, in ogni vicolo, per un’area ampia molti chilometri, per difendere il loro territorio, nel caso la polizia avesse intenzione di tornare. Oggi Zeytinburnu canta l’orgoglio di essere Kurdi.
Questo e’ lo sciopero metropolitano. Se alle nostre longitudini lo invochiamo, qui e’ realta’ gia’ bella e fatta. Senza bisogno che venga ufficialmente convocato, in una giornata di festa e di riposo, la popolazione di un’intera periferia si mobilita contro una citta’ in cui vive, ma alla quale non appartiene, poiche’ esclusa. L’estensione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo dal luogo di lavoro all’intero tessuto urbano, che ad esso si conforma e che delle sue contraddizioni si alimenta, unito alle rivendicazioni di classe che si intrecciano con una questione etnica tale da impedirti l’entrata nel mercato del lavoro di seria A se la tua carta di identita’ riporta la dicitura ‘curdo’, fanno della miscela una polveriera esplosiva. Se, il giorno dopo, tutto cio’ verra’ definito violenza da buona parte dei media, i ragazzi curdi ci chiedono allora come si vorrebbe definire quella perpetrata da uno stato nei confronti di un intero popolo neppure autorizzato a decidere autonomamente la data del proprio capodanno, ma obbligato a restare entro i recinti che qualcuno ha stabilito per loro, larghi quel tanto che non disturbino i piani di sviluppo e profitto di una sola fetta di popolazione, stretti quel che basta per spremerne le forze fintanto che sia utile a quel porgetto.

Il resoconto della giornata contera’ 106 persone tra fermi ed arresti, compresi alcuni parlamentari, dopo una manifestazione popolare alla quale hanno preso parte non solo kurdi, ma anche associazioni per la conquista dei diritti, sindacati e partiti ufficiali quali il BDP (Partito per la Democrazia e la Pace), l’ÖDP (P. della Liberta’ e della Solidarieta’) e l’SDP (P. Socialista per la Democrazia).
Quando nel tardo pomeriggio ci incamminiamo nuovamente verso la metro, lo scenario ci spiega la morale del racconto che ha preso vita oggi. Le vetrate lasciate cadere lunga la corsia preferenziale dei metrobus, gli autobus veloci, vengono rimosse per permettere a una dozzina di mezzi di ripartire. L’ultimo blocco alla circolazione di merci e persone viene cosi’ estinto. Un mendicante lacero, seminudo e dalle gambe monche ritorna sullo stesso ponte a vivere le conseguenze di una societa’ basata sulla legge del piu’ forte, che sull’esclusione poggia i pilastri stessi delle possibilita’ del suo sviluppo. In un’atmosfera surreale, alcuni bambini sudici si reimpossessano delle attrazioni del parco, mentre gli ultimi fumi neri e densi si dissolvono al vento. E ci interroghiamo a proposito di noi stessi: verso quale direzione andra’ l’altalena della nostra storia? Sapranno i vari Occupy, No Tav, le lotte operaie, i movimenti per la casa, per i beni comuni, essere validi strumenti per la nostra autodeterminazione o le leggi del mercato ci dicono che questo, ad oggi, é l’unico modello di progresso che la BCE possa regalarci?

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