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Rimettiamo al centro il conflitto

Con questo appello vogliamo porre all’attenzione dei compagni e delle compagne alcune nostre riflessioni sul corteo nazionale del 31 marzo, invitando tutti e tutte a partecipare allo spezzone dei lavoratori delle cooperative in lotta.

E’ nostra convinzione che sia assolutamente necessario un impegno collettivo per contribuire all’organizzazione di un fronte di classe sui presupposti della autorganizzazione e dell’unità dei lavoratori a partire dalle situazioni di conflitto reale, ed è per questo che ci sembra importante un corteo che solo dopo qualche giorno dall’approvazione della “riforma del lavoro” provi a mettere insieme in piazza tutto quello che il conflitto sociale esprime su ogni terreno.

Crediamo che questa scadenza possa diventare importante e la facciamo nostra cercando di evidenziare quel percorso di lotte dei lavoratori delle cooperative

che stanno attraversando l’intera area metropolitana milanese e oltre, con picchetti, scioperi, assemblee all’insegna della resistenza operaia all’imposizione dei cicli di riproduzione del capitale.

Un ciclo in ascesa di lotte che giorno per giorno si allarga, estende la solidarietà facendo risaltare l’identità della classe e l’inconciliabilità tra interessi contrapposti.

Da questo punto di vista, abbiamo sperimentato come il modello Marchionne delle relazioni aziendali tra capitale e lavoro, applicato alla fiat e consociate, si sovrapponga perfettamente al modello Caprotti all’ Esselunga, alla TNT traco, alla Sda, alla Gls Executive, alla DHL e ai numerosi padroni e padroncini nelle diversi poli logistici con i quali i lavoratori si scontrano ormai da più di tre anni.

Un modello non solo di relazioni sindacali ma di società nel suo complesso che il governo Monti, emanazione diretta del capitale, sta delineando per permettere al capitale di riprodurre i margini di profitto indispensabili alla propria sopravvivenza rendendo sempre maggiormente precarietà e flessibilità come elementi organicamente strutturali alle nostre vite equiparando cosi, al ribasso, i livelli di reddito e di garanzie tra cosiddetti garantiti e non, nel momento in cui non si pongono più differenze dal punto di vista delle forme di protezione sociale tra il lavoratore fiat di pomigliano o di mirafiori con la lavoratrice di un call center o il lavoratore immigrato di una cooperativa o il lavoratore della piccola fabbrica di qualsiasi comprensorio industriale del nord Italia.

La pratica del conflitto contro poteri sovrapposti economici, politici, consociativistici e spesso anche a carattere mafioso, ha insegnato ai lavoratori a contare solo ed esclusivamente sulle loro forze, sulla loro determinazione, sulla loro autonomia di percorso e sulla loro capacità di autorganizzazione senza deleghe perché, tra le controparti politiche e sindacali hanno imparato a scontrarsi anche con il pacchetto confederale cgil + cisl che molte volte ha rappresentato il primo ostacolo nello svolgersi della lotta.

Su questi presupposti saremo in quel corteo, per rimettere al centro il conflitto in ogni sua forma ed è per questo che siamo critici nei confronti della genericità di molte parole d’ordine a partire da quella, per molti centrale del NO Debito.

Intendiamoci, comprendiamo bene come possa essere qualcosa di utile la formulazione di questa parola d’ ordine per un utilizzo agitatorio e propagandistico se vogliamo far intendere quale e quanta sia la pressione sulle nostre vite per un carico di debiti non certamente contratta dalle classi subalterne.

Siamo contrari, invece, a quanto viene evocato come soprattutto ai presupposti di analisi di questa formula, nel momento in cui oggettivamente rimanda ad una lotta mirata contro la finanziarizzazione del capitale, invece speculativo per sua stessa natura, allo strapotere delle banche e delle agenzie di rating additate come responsabili di una crisi, al contrario strutturale, del modo di produzione capitalistico, quantomeno delle potenze economiche a capitalismo avanzato del vecchio occidente.

Il puntare il dito contro gli “eccessi” speculativi, ripetiamo invece connaturati con l’essenza stessa del sistema capitalistico, immette nel ragionamento la possibilità di una sua possibile emendabilità, di una sua ottenibile riformabilità in senso più “democratico” per una maggiore redistribuzione del reddito e del benessere, quando invece i segnali di un suo decadimento complessivo economico, politico e sociale sono evidenti sotto gli occhi di tutti senza bisogno di scomodare l’analisi marxiana della caduta tendenziale del saggio di profitto.

Queste, per molti e molte compagni e compagne, scontate riflessioni servono però a farci dire che l’impostare il corteo nazionale sulla parola d’ordine del NO debito possa anche essere un errore involontario, compiuto nello sforzo di cercare forme di comunicazione più semplice e più diretta, ma che in ogni caso un errore rimane perché indica una falsa traiettoria da seguire.

Uno eventuale sciopero, ad esempio, nel pagamento di bollette, affitti o trasporti potrebbe comunque essere inquadrato e sostenuto da un’analisi sul caro vita, sui costi della crisi e comunque con un approccio diverso.

Da diversi punti di vista lo si guardi il concetto di no debito rimane comunque troppo generico e senza sbocchi nel momento in cui purtroppo già esistono evidenti tendenze a porre pannicelli caldi – varie proposte di welfare alternativo – contrattualità senza alternativa – come toppe alle falle del capitalismo ponendo il conflitto oggettivamente su un terreno di compatibilità economica e politica.

La nostra forte convinzione è che un movimento d’opinione non possa in alcun modo sostituire un movimento di classe, che la genericità di parole d’ordine appunto scientemente più generiche per “attrarre massa critica” si trasformi in un boomerang che ci possa legare mani e piedi, che la nostra responsabilità collettiva, di quelle migliaia di compagni e compagne, lavoratori e lavoratrici che scenderanno in piazza sabato 31 marzo, è quella di lavorare all’interno di scenari i più ampi possibile ma con il tentativo di porre all’interno di questi la centralità dello scontro capitale lavoro, unica condizione di superamento dell’esistente.

Non crediamo però in una fantomatica ora x, non crediamo in un crollo meccanicistico dell’ organizzazione capitalistica del lavoro, ne in una trasformazione indolore di un sistema capitalistico senza una spinta di una soggettività collettiva e di un nuovo protagonismo di classe.

Crediamo invece sia nostra responsabilità praticare ogni forma di conflitto provando a costruire contemporaneamente rapporti di forza senza i quali ogni prospettiva è impossibile.

A questo proposito crediamo che dopo il 31 marzo possa e debba essere avviata una fase di confronto su come avviare processi ricompositivi tra i diversi settori di classe.

Provare a ricomporre sul terreno di obiettivi unificanti e sulla pratica del conflitto, i settori di classe che la trasformazione dell’economia capitalista ha scomposto in mille rivoli atomizzati, parcellizzati e individualizzati.

Salario sociale, recupero di salario indiretto, welfare, contro ogni privatizzazione dei servizi della scuola e della sanità, casa, cultura, socialità non mercificata, sono tutti terreni di scontro sui quali va avviato un ragionamento complessivo in quanto condizioni che riguardano trasversalmente ogni lavoratore o lavoratrici quale sia la sua mansione o la sua tipologia di contratto.

E crediamo che questo tipo di ragionamento sia ormai venuto a maturare per un confronto serrato all’ interno e con ogni struttura dell’autorganizzazione sociale e sindacale. Ma ognuno di questi elementi deve essere all’interno di una nuova rigidità operaia all’interno dei luoghi di lavoro contro precarietà e flessibilità, unica condizione per non perdere un riferimento complessivo di trasformazione radicale dell’esistente.

Il corteo nazionale del 31 gennaio indetto trasversalmente da ampio arco di strutture sindacali e sociali, può contribuire a sviluppare questi elementi di ragionamento e queste proposte di confronto e di pratica come altre ed altre ancora.

Senza accantonare differenze ma verificandole nel confronto e nella pratica.

Una giornata di mobilitazione e di opposizione al governo del capitale che dia, seppur ancora minoritario, un segnale evidente e capace di evidenziare autonomia di contenuti e pratiche condivise.

L’importante è che questo sforzo collettivo si ponga su un terreno di trasformazione reale dell’esistente, senza permettere che assumere su noi stessi l’esigenza di una rappresentanza delle classi subalterne sia più forte della volontà di far viaggiare il conflitto sul terreno dell’incompatibilità politica e questa, crediamo, rimanga la condizione necessaria per tentare l’improcrastinabile estensione e generalizzazione

del conflitto.

Per l’autorganizzazione e l’autonomia della classe !

Contro il governo diretto del capitale !

Invitiamo tutti e tutte i compagni e le compagne a partecipare allo spezzone di lotta dei lavoratori delle cooperative.

I compagni e le compagne del Cento Sociale Autogestito Vittoria

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