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L’“affaire” Bo Xilai e il liberismo all’interno del Partito comunista cinese

In Cina gli animi non si sono ancora placati. Più di un mese dopo la sospensione del dirigente Bo Xilai da tutti i suoi incarichi, l’opinione pubblica cinese continua a seguire con stupore l’evolversi dell’“affaire”, i cui elementi chiave sono: abuso di potere, corruzione, omicidio e spionaggio.

Il dossier Bo Xilai mostra che vi è qualche cosa di fondamentalmente falso in correnti di pensiero, nella disciplina e nel controllo all’interno del Partito comunista cinese.

L’affare ha avuto il suo inizio il 6 febbraio 2012, quando Wang Lijun ha chiesto asilo politico presso il consolato americano della città di Chengdu.

Wang Lijun era il capo della polizia della municipalità di Chongqing, che attualmente conta più di 32 milioni di abitanti.

Il dirigente al vertice del Partito comunista cinese in questa città era Bo Xilai, stella emergente del firmamento politico cinese, membro dell’Ufficio politico alla testa del Partito comunista cinese (PCC), e personaggio più in vista del settore più a sinistra nel PCC.

Per indurre gli Statunitensi ad accordargli l’asilo, Wang Lijun forniva loro delle informazioni confidenziali e riservate riguardanti la provincia del Chongqing e sui maneggi interni del Partito comunista. Ma gli Statunitensi gli rifiutavano l’asilo, senza dubbio perché si erano resi persuasi che, in tal modo, avrebbero inflitto più di un danno al PCC e alla Cina.

Quando Wang abbandonava il consolato, i servizi di sicurezza della capitale lo arrestavano e lo trasferivano a Pechino. Bo Xilai prendeva le distanze di fronte a Wang e dichiarava che aveva commesso un errore, a suo riguardo. 

A Pechino, Wang raccontava alle autorità che si era rifugiato dagli Statunitensi perché temeva per la sua vita.

Il 18 gennaio, si era incontrato con Bo Xilai per esibirgli le prove che la moglie di quest’ultimo, Gu Kailai, era stata coinvolta nella morte del Britannico Neil Heywood.

In primo momento, Bo Xilai avrebbe dichiarato a Wang che poteva proseguire nell’inchiesta criminale nei confronti di sua moglie. Ma, più tardi, egli ritornava sulle sue decisioni.

Il 2 febbraio, Bo Xilai destituiva il capo della polizia e lo trasferiva ad una funzione di vicesindaco responsabile dell’istruzione, della cultura e delle scienze. 

 

Gu Kailai, Bo Xilai e il loro figlio Bo Guagua

La moglie, Gu Kailai, è un avvocato che, in questi ultimi anni, non si è occupata affatto del suo ufficio di avvocati, ma di qualsiasi specie di transazioni commerciali.

Uno con cui aveva frequenti rapporti in questi affari era il Britannico Neil Heywood. Costui veniva ritrovato morto nella sua camera di albergo a Chongqing, il 15 novembre dell’anno scorso.

Wang Lijun dichiarava alle autorità di Pechino che le sue indagini dimostravano che Heywood era stato avvelenato con il cianuro e che Gu Kailai era coinvolta direttamente in questo assassinio.

Il movente del crimine sarebbe stato un contrasto di interessi fra Gu e Heywood a proposito di transazioni economiche finanziarie.

Perciò, la Commissione centrale d’inchiesta del PCC promuoveva un’indagine sulla corruzione che interessava da vicino Gu Kailai, Bo Xilai e tutta la loro cerchia. Di conseguenza, nel corso del mese di marzo, Bo Xilai veniva sospeso dalle sue funzioni di segretario del Partito a Chongqing e di membro dell’Ufficio politico. In seguito, Xilai veniva escluso anche dal Comitato centrale del PCC. Sua moglie è stata incarcerata con l’accusa di avere assassinato Neil Heywood.

Gli organi del Partito accusano Bo Xilai di abuso di potere e di gravi irregolarità ed infrazioni alla disciplina di partito. La loro inchiesta e quella giudiziaria non sono ancora giunte al termine.  

 

Corruzione

L’affare crea particolari difficoltà al PCC e getta discredito sulla reputazione del Partito, tanto in Cina quanto all’estero. Esso rivela carenze nell’organizzazione e nella forza ideologica del Partito e questo, in un momento in cui le contraddizioni nel mondo e nella stessa Cina non cessano di crescere e in cui la Cina dovrebbe disporre di un Partito comunista disciplinato e stabile, in modo da poter affrontare queste contraddizioni.

I dirigenti al vertice del Partito e del governo, Hu Jintao, Wen Jiabao e Xi Jinping, hanno lanciato un appello per rinforzare la lotta contro la corruzione e per la morale comunista.

Tuttavia, questo genere di appelli, che d’altronde abbiamo già inteso a molteplici riprese negli ultimi trent’anni, come sta a testimoniare l’affare Bo Xilai, non hanno mai prodotto risultati veramente probanti.

Negli anni ’90, Chen Xitong, segretario del Partito per la capitale Pechino, ha dovuto abbandonare i suoi incarichi per corruzione. 

Nel 2005, Chen Liangyu, dirigente del Partito a Shanghai, la seconda città del paese, si è ritrovato in prigione, anche lui per corruzione. 

Ogni anno, con le motivazioni di corruzione, vengono promosse inchieste contro almeno

20.000 funzionari.

Nel 2011, la Banca nazionale di Cina pubblicava un rapporto, secondo cui veniva dimostrato che, fra gli anni ‘90 e il 2008, funzionari del Partito e del governo avevano trasferito all’estero qualcosa come 800 miliardi di yuan (circa 90 miliardi di euro).

Uomini politici di alto livello si servono della loro compagna, dei loro fratelli e sorelle, dei loro nipoti per trasferire illegalmente all’estero il denaro della corruzione.

L’anno scorso, si veniva a conoscere che l’ingegnere alla direzione del ministero delle Ferrovie aveva trasferito in tal modo circa 2,3 miliardi di euro verso gli Stati Uniti e la Svizzera.  

A prima vista, la coppia Bo Xilai e Gu Kailai soffre della medesima malattia.

Bo ha intrapreso la sua scalata politica nel 1992. All’epoca, era divenuto sindaco di Dalian, nella provincia settentrionale di Liaoning. Vi restava in carica nel corso di dieci anni, per poi diventare governatore della stessa provincia di Liaoning.

Durante questo periodo, la coppia aveva intrecciato legami di amicizia con tre stranieri: il Britannico Neil Heywood, l’architetto francese Patrick Henri Devillers e l’uomo d’affari cino-statunitense Larry Cheng.

Con, o tramite la collaborazione di questi tre uomini, Gu Kailai portava a buon fine transazioni commerciali di qualsiasi natura.

Tra il 2000 e il 2003, Patrick Henri Devillers e Horus Kai avevano abitato allo stesso indirizzo nella città balneare britannica di Bournemouth, nel periodo in cui entrambi si trovavano in Gran Bretagna per affari. Horus Kai era il nome spesso utilizzato da Gu Kailai nel corso delle transazioni commerciali all’estero. 

Allo stesso modo, la coppia si era legata di amicizia con due uomini di affari di Dalian: Xu Ming e Wang Jianlin. Xu è un miliardario che dirige il conglomerato societario “Shide Group”. D’altro canto, Wang Jianlin è presidente della società immobiliare “Dalian Wanda Group”.

Xu Ming è stato arrestato il 15 marzo per “crimini economici”. 

Una spia

Nel 2005, quando Bo Xilai veniva promosso ministro del Commercio, la coppia si trasferiva a Pechino. Anche il Britannico Neil Heywood vi si sistemava in una villa nel quartiere più elegante della capitale.

La spia britannica Neil Heywood. Per venti anni, amico della coppia Bo Xilai e Gu Kailai.

La relazione di amicizia fra la coppia Bo e Gu e Heywood è durata per vent’anni. Durante tutto questo tempo, Heywood aveva lavorato per conto del servizio di spionaggio britannico Secret Intelligence Service, meglio conosciuto sotto la denominazione di MI6. Dapprima direttamente per il MI6, poi, quando alla fine degli anni ’90 venne fondata l’impresa Hakluyt & Company, al servizio di questa compagnia.

Hakluyt consiste in un servizio di spionaggio privato messo in piedi su iniziativa di MI6 e con funzionari di MI6. Al tavolo del Consiglio di amministrazione della casa madre di Hakluyt ritroviamo l’ex segretario della NATO, Javier Solana, l’ex Capo di stato maggiore dell’esercito britannico, Lord Linge, l’ex presidente della Shell, Peter Holmes, e Frank G. Wisner, l’ex ambasciatore degli Stati Uniti e grande amico dell’ex dittatore egiziano Hosni Moubarak.

Hakluyt non è roba di poco conto, ma un apparato da “caccia grossa”.

Attraverso la coppia Bo e Gu, la spia Heywood si era infiltrato in profondità nell’ambito del PCC. Gu è la madrina di uno dei bambini di Heywood. A sua volta, Heywood aveva fatto sì che Bo Guagua, il figlio di Bo e di Gu, potesse iscriversi al prestigioso Balliol College dell’università di Oxford.

È particolarmente stucchevole che i servizi interni di sicurezza del Partito e il contro-spionaggio della Repubblica popolare abbiano lasciato fare nel corso di vent’anni. Questo suggerisce un’incompetenza totale o un lassismo decisamente profondo. 

Nell’ottobre 2011, nel corso della sessione annuale del Comitato centrale, il segretario generale Hu Jintao ha tenuto un discorso nel quale ha messo in guardia contro “gli accaniti tentativi dell’Occidente per infiltrasi all’interno della Cina e del nostro Partito.”

Ma qualcuno del controspionaggio presta veramente ascolto, quando vengono espresse tali preoccupazioni?  

 

Offensiva neoliberista

I dirigenti di alto livello delle istituzioni cinesi non sembrano veramente rendersi conto del fatto che il liberalismo, il lassismo e l’indifferenza si sono incuneati in seno al Partito, tutto a favore del neoliberismo che, a partire dall’economia privata e da certi centri accademici e politici, conosce un successo di continuo crescente.

Il neoliberismo intende propagare un’ideologia che afferma come il Partito non sia più nelle condizioni di perseguire la realizzazione del miracolo socioeconomico di questi ultimi trent’anni.

L’affare Bo sembra dare ragione ai neoliberisti. Laddove l’affare Bo e l’ideologia dei neoliberisti si vanno a sommare, l’autorità del Partito crolla.

E, malgrado ciò, i neoliberisti possono intensificare la loro azione in tutta impunità e continuare a fare fuoco a palle incatenate sul socialismo. 

 

Nel febbraio, veniva pubblicato un rapporto di 470 pagine della Banca mondiale: “La Cina nel 2030 la realizzazione di una società moderna, armoniosa, creativa e ad alto reddito”.

 

Ecco qualche estratto:  

“Il governo deve limitare il suo ruolo nel mercato, nella concessione delle risorse, sia nella produzione che nella distribuzione. Deve concentrarsi sul finanziamento dei servizi pubblici, sulla protezione dell’ambiente e sulla predisposizione dell’ambiente favorevole allo sviluppo del settore privato.”

“La Cina deve adattare la sua strategia di sviluppo, mentre sta entrando in una nuova fase di crescita economica. L’adeguamento interessa in primo luogo una modifica del suo ruolo nei confronti del mercato, del settore privato e della società nel suo insieme. Il governo deve ritirarsi dalla produzione, dalla distribuzione e dalla gestione delle materie prime e della mano d’opera. Deve concentrarsi sulla creazione di un quadro che permetta ad altri di assumere le decisioni sullo sviluppo economico.”

“Nel corso dei due prossimi decenni, la Cina dovrà affrontare numerose sfide, la principale fra queste è la trasformazione del ruolo delle autorità: da protagoniste attive della vita economica, verso un quadro istituzionale che sia al servizio del mercato e della concorrenza.”

 

Il lettore l’avrà sottolineato: si tratta di un’arringa in difesa del capitalismo libero, come noi lo conosciamo in Occidente, secondo cui le autorità funzionano da valletti del settore privato, governando la popolazione con la frusta.

Il rapporto è una lunga arringa neoliberista. Afferma che la Cina non avrà avvenire se non lascerà cadere il suo attuale modello e non adotterà quello del libero mercato.

Oggi, che la Cina sta evolvendo rapidamente da una società di produzione di massa di prodotti di limitato valore tecnologico, verso una società innovatrice, nella quale il settore dei servizi gioca un ruolo sempre più importante, “l’intervento dello Stato nell’economia può ostacolare la crescita. È per questo che la politica deve essere orientata a far assumere un ruolo più decisivo al settore privato. Si deve partire dal principio che il mercato è sufficientemente adulto e maturo per ripartire le risorse disponibili in modo efficace e che le imprese private sono sufficientemente forti ed innovatrici per concorrere sul piano internazionale nei settori tecnologicamente avanzati”. 

 

Qui, però, dobbiamo segnare una pausa. In particolare, sulla descrizione di “mercato adulto”.

L’individuo che si è dimostrato decisivo nella stesura di questo rapporto è Robert Zoellick, il presidente della Banca mondiale.

Prima di essere nominato presidente nel 2007, Zoellick era stato vice-ministro per gli Affari esteri sotto Bush padre. Ma era stato anche direttore generale della “Goldman Sachs” – la banca statunitense che annovera altri ex suoi servitori ad occupare posti politici negli Stati Uniti e in ambito dell’Unione europea. Inoltre, Zoellick è stato un ex vice-presidente di “Fannie Mae”, la grande compagnia assicurativa di mutui ipotecari degli Stati Uniti.

Goldman Sachs e Fannie Mae sono due attori importanti del “mercato adulto” e, in quanto tali, due detonatori essenziali della crisi finanziaria del 2008, che ha condotto alla miseria finanziaria ed economica, che, oggi, induce in Grecia le persone al suicidio e che, secondo una recente inchiesta del giornale Le Monde, provoca in Italia un rapido aumento del lavoro minorile.

Se Zoellick, rampollo dei principali centri di approfittatori finanziari degli Stati Uniti, fornisce consigli economici e finanziari a coloro che prendono le decisioni politiche in Cina, è di obbligo una qualche prudenza! 

Zoellick ha fatto parte anche della scuderia del PNAC, acronimo di “Project for a New American Century” (Progetto per un nuovo secolo americano), una società fondata nel 1991, che ha operato in favore dell’egemonia degli Stati Uniti nel mondo e che ha dato forma alla politica guerrafondaia dei Bush, padre e figlio.

Ecco dunque l’uomo che sta dietro le quinte del rapporto della Banca mondiale sulla Cina. Un borghese ultraliberista e aggressivo, pronto per assestare il colpo alla nuca al socialismo cinese e, almeno, il più presto possibile.

Eppure …Eppure, questa relazione della Banca mondiale è stata redatta in collaborazione con il Development Research Center (DRC) of the State Council, il Centro di ricerche e sviluppo del Consiglio di Stato, una commissione di esperti del… governo cinese! Pardon? Andate ad informarvi!.

Che in dieci anni di attività in Cina, la Banca mondiale abbia realizzato buone cose, nessuno può negarlo. La Banca è alla base di una importante messa a dimora di alberi nell’altipiano desertico di Loess, grande quanto la Francia. Ha fornito eccelenti servizi nell’estirpare la tubercolosi, nel finanziare piccole scuole rurali, in progetti ambientali.

Ma è tutta un’altra questione quando una commissione di esperti del governo cinese raccoglie e fa sua un’esaltazione incondizionata del capitalismo, che non sarebbe fuori luogo in un manuale di Friedrich von Hayek.

[Friedrich August von Hayek (Vienna, 8 maggio 1899 – Friburgo, 23 marzo 1992) è stato un economista e filosofo austriaco naturalizzato britannico, tra i più importanti economisti del XX secolo. Esponente storico del liberismo, è stato uno dei più importanti rappresentanti della scuola austriaca ed uno dei maggiori critici dell’economia pianificata e centralista.

È considerato uno dei maggiori avversari delle politiche interventiste classiche del pensiero di John Maynard Keynes, nonché uno dei più importanti difensori delle teorie liberiste del XX secolo.]

Ed è un’altra questione quando quadri superiori dell’amministrazione governativa cinese elaborano a quattro mani un documento della Banca mondiale tutto improntato sull’ideologia liberista.

Nell’autunno scorso, Jin Liqun, un quadro del DRC ed ex vice-ministro delle Finanze, si è coperto per sempre di ridicolo dichiarando, nel corso di una intervista concessa alla catena televisiva Al-Jazeera, che la crisi finanziaria ed economica in Europa occidentale era dovuta alla pigrizia della popolazione, poco laboriosa.

Nel 2010, Liqun aveva dichiarato in un video pubblicitario della Banca mondiale che “le realizzazioni cinesi non sarebbero mai state possibili senza l’intervento della Banca mondiale”, cambiando di fatto le carte in tavola sul fatto che l’architetto del successo socio-economico cinese non era la Banca mondiale, ma bensì il Partito Comunista.

Anche il segretario generale del DRC, Lu Mai, così si è pronunciato: “La Banca mondiale sta aiutando la Cina a implementare un’economia di mercato, che trasformerà completamente la Cina.

Lu Mai sembra non rendersi conto molto bene che la Cina ha un’economia socialista di mercato, che è tutt’altro che una “economia di mercato a tutto campo” (sottinteso: libero).

In un’economia di libero mercato, l’economia e lo Stato devono sottostare agli interessi delle più grosse imprese private e l’insieme della popolazione deve vivere e lavorare per ciò che è necessario a che le grandi imprese private possano risultare vincenti nella battaglia della concorrenza.

Nell’economia socialista di mercato, lo Stato e le grandi imprese dello Stato dirigono le diverse forme di proprietà economiche ( proprietà statali, collettive, individuali, private, estere) e le autorità stimolano lo sviluppo dell’economia privata in un quadro di obiettivi economici e sociali stabiliti dalle autorità tramite una pianificazione a breve e a lungo termine.

In un’economia di libero mercato, le crisi sono inevitabili, in quanto ciascun capitalista comprime i salari dei suoi lavoratori, fattore che provoca a lungo andare la condizione per cui la popolazione finisce di disporre di un reddito insufficiente per potere acquistare i prodotti che vengono fabbricati. Di qui il fatto che, sotto il capitalismo, il tasso di crescita è stato ridotto negli ultimi anni quasi a zero, mentre in Cina, attualmente, il tasso di crescita si posiziona fra l’8 e il 10 per cento.

Tuttavia, è decisamente sconcertante vedere come, in molti circoli intellettuali cinesi, un’analisi dei sistemi economici non vada a fondo delle questioni, tanto che si tratti del proprio sistema che di quello capitalista occidentale. Questo conduce a discorsi neoliberisti alla Jin Liqun sulla pigrizia dei lavoratori occidentali.

Le concezioni neoliberiste costituiscono una corrente minoritaria. Sono sempre esistite, e questo, sin dagli anni ‘80, ai livelli superiori dell’apparato del Partito e di governo. Ad ogni evento cruciale, tornano alla superficie e cercano di guadagnare terreno.

Un avvenimento di questa importanza è il diciottesimo Congresso del Partito, organizzato per il prossimo autunno. Oggi, nelle province e nelle regioni autonome, si stanno tenendo i Congressi locali del Partito nel corso dei quali sono designati i delegati che parteciperanno al Congresso nazionale. I neoliberisti hanno tutta l’intenzione di farsi sentire e di pesare su questo processo. Sul piano economico, hanno due obiettivi: il ruolo dello Stato in economia e l’esistenza stessa delle grandi imprese di Stato. 

Patrocinatori del capitalismo

Nel periodo di pubblicazione del rapporto della Banca mondiale, “La Cina nel 2030”, si è tenuta a Davos (Svizzera) la “messa solenne” annuale del Foro economico mondiale, un incontro di oligarchi, di circa duemila eminenti personaggi delle multinazionali, delle banche e dei partiti politici. Quest’anno, è stato invitato anche un gruppo di Cinesi.

Costoro, al momento del pranzo del 27 gennaio, hanno organizzato una conferenza stampa.

Il Wall Street Journal (evidentemente, chi altro?) riferiva :

Questi Cinesi hanno dichiarato con toni severi che le riforme in direzione di un libero mercato sono state bloccate e che la partecipazione dello Stato all’economia non cessa di crescere. (…)

Una ben nota portavoce degli ambienti favorevoli alle riforme, Hu Shili, ha qualificato il fatto che queste riforme sono rimaste al palo come il più grande pericolo per l’economia cinese.

Il professor Zhang Weiying, dell’Università di Pechino, si è messo al passo affermando: ‘Noi abbiamo bisogno di uomini politici favorevoli alle riforme e di imprenditori privati.’(…)

John Zhao, il titolare del fondo cinese di investimenti privati, Hony Capital, ha spiegato che rimaneva molto fiducioso e che sperava che i dirigenti cinesi avrebbero ripreso da capo il filo delle riforme. La questione resta di sapere se ne avranno il coraggio, ha aggiunto.  

 

Il 25 marzo, nella città di Guangzhou (sud-est), si è tenuto il forum annuale di Lingnan. Si tratta di una riunione di economisti organizzata dall’università Sun Yat-Sen e dal giornale Caixin, portavoce degli imprenditori privati.

Wu Jinglian vi ha tenuto una relazione. Wu è un signore anziano che negli anni ’90 è stato consigliere economico del primo ministro Zhu Rongji. Attualmente, è consigliere del Development Research Center (DRC) del Consiglio di Stato, lo stesso centro che ha collaborato alla stesura del rapporto della Banca mondiale.

In questi ultimi anni, Wu Jinglian è divenuto un entusiasta patrocinatore del capitalismo.

A Guangzhou, ha concionato in favore del ritiro dello Stato in economia.

A questo forum era presente anche Xu Xiaonian. Un mese prima, costui era intervenuto anche a Davos. Xu è professore alla “China Europe International Business School” (Scuola Affari internazionali Europa-Cina) di Shanghai. La sua cattedra gli viene pagata dalla Banca spagnola di Santander. In precedenza, Xu Xiaonian aveva lavorato come economista direttore della Banca d’affari statunitense “Merrill Lynch”.

A Guangzhou, ha dichiarato: “La cosa più importante che lo Stato possa fare è di occuparsi meno di economia!”   

Tre giorni più tardi, il giornale Caixin pubblicava un editoriale non firmato che affermava che, nel caso in cui le grande imprese di Stato dovessero essere proposte in vendita al settore privato e agli investitori esteri, il loro valore si aggirerebbe sui 30.000 miliardi di yuan.

“Attualmente, questa ricchezza sta nelle mani di 200 capitani di impresa di Stato. (…) Le imprese di Stato non sono di loro proprietà. Le imprese di Stato appartengono al popolo. La riforma delle imprese di Stato deve diventare l’oggetto di una discussione aperta e non può essere rigettata solo da considerazioni ideologiche.” 

Riforma politica

Naturalmente, nel corso del diciottesimo Congresso del Partito, la privatizzazione delle imprese di Stato non avrà alcuna fortuna. Per considerazioni ideologiche. E perché, senza le imprese di Stato, il socialismo cinese è minacciato di morte.

Nell’ambito dei circoli dirigenti del Partito e del governo, è in corso effettivamente un’analisi dei sistemi approfondita, sia del capitalismo contemporaneo che del socialismo con caratteristiche cinesi. Questa analisi si traduce nella linea conseguente, come viene pubblicata da Qiushi, il giornale teorico del Partito:

I neoliberisti hanno posto la mano invisibile di Adam Smith tanto in alto, da credere che possa risolvere qualsiasi problema economico. Pensano che lo Stato non abbia alcun ruolo economico da svolgere. Salvo quello di creare l’ambiente migliore possibile in modo che questa mano invisibile possa operare. Tuttavia, la crisi finanziaria in Occidente prova che questi neoliberisti hanno torto. Risulta molto importante per noi respingere pienamente questa convinzione, quando parliamo delle funzioni del mercato.

È per questo, si può leggere in un altro articolo, che noi abbiamo votato nel 2008 la legge sulle imprese di Stato, legge in cui viene stipulato che queste imprese occupano il ruolo centrale nella nostra economia nazionale.

Il problema sta che queste analisi e posizioni non si riversano verso il basso, o solo in maniera frammentaria e che, appena sotto i più alti livelli politici, posizioni anti-marxiste stanno già guadagnando in termini di impatto, senza incontrare una forte opposizione.

La direzione del Partito parla sempre più con insistenza di riforme politiche, a proposito di quello che segue: ci dovrebbe essere un maggiore coinvolgimento dei quadri sottostanti nell’elaborazione delle politiche, in modo che gli elementi della complessa analisi marxista si sviluppino verso l’alto e verso il basso, e che il contenuto di ciò che il Partito definisce come “modello scientifico di sviluppo” penetri sempre più in fondo.

Se questo non viene fatto, nell’ambiente e nelle condizioni in cui si trova la Cina di oggi, si otterrà un processo spontaneo d’imborghesimento sul piano delle idee e delle concezioni politiche, e la corrente neoliberista guadagnerà in forza sempre più.

Ed ecco l’Occidente incoraggiare questa corrente, arruolando numerosi effettivi e mettendo loro a disposizione risorse!

 

Fonte : Infochina

http://www.michelcollon.info/L-affaire-Bo-Xilai-et-le.html?lang=fr


Peter Franssen (Belgio, 1952) è stato segretario di redazione del settimanale belga Solidaire (www.solidaire.org) dal 1981 al 2004.

Dal 2004, si dedica completamente allo studio e all’analisi della realtà cinese. Ha creato il sito internet www.infochina.be (in fiammingo e francese).

Nella primavera del 2012 verrà pubblicato un suo nuovo libro sulla costruzione del socialismo in Cina, sulle ragioni e i contenuti della “cinificazione” – la traduzione del marxismo nella realtà della Cina – sul carattere del Partito comunista cinese, e sull’influenza della Cina nella decadenza dell’imperialismo nel mondo.

Per entrare in comunicazione con Franssen: franssen.peter@gmail.com.” data-mce-href=”mailto:franssen.peter@gmail.com.“>franssen.peter@gmail.com.

(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

26 aprile 2012


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