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“Il socialismo è più che un capitalismo senza capitalisti”

Per la prima parte dell’intervista clicca qui.

Per l’economista Samir Amin, professore onorario, direttore del Forum Del Terzo Mondo a Dakar ed autore di molte opere tradotte in tutto il mondo, “essere marxista implica necessariamente essere comunista, perché Marx non dissociava la teoria dalla pratica: l’impegno nella lotta per l’emancipazione dei lavoratori e dei popoli”. È ciò che fa Samir Amin: nella prima parte di questa intervista, analizza la crisi; qui, affronta la lotta contro l’onnipotenza dei monopoli capitalisti e per un’altra società.

Quali sono le caratteristiche di questo “capitalismo senile” che potrebbe, a suo giudizio, condurre “ad una nuova era di grandi spargimenti di sangue”?
Samir Amin. Non esistono più imprenditori creativi, ma “dei wheeler-dealers” (intriganti). La civilizzazione borghese, con il suo sistema di valori – elogio dell’iniziativa individuale, ma anche dei diritti e delle libertà liberali come della solidarietà sul piano nazionale – ha fatto posto a un sistema senza valori morali. Guardate ai criminali presidenti degli Stati Uniti, ai burattinai e tecnocrati alla testa dei governi europei, ai despoti del Sud; guardate all’oscurantismo (talebani, sette cristiane e buddisti…); alla corruzione generalizzata (nel mondo finanziario in particolare)… Il capitalismo d’oggi può essere descritto come senile e può inaugurare una nuova era di massacri. In un periodo siffatto, le proteste dei movimenti sociali portano a cambiamenti politici. Nella buona e nella cattiva sorte, fascisti o progressisti. La crisi degli anni 1930 ad esempio, ha condotto al Fronte Popolare in Francia, ma anche al nazismo in Germania.

Che cosa significa tutto ciò per i movimenti di sinistra attuali?
Samir Amin. Viviamo un’epoca dove si profila un’ondata di guerre e di rivoluzioni. Le vittime di questo sistema riusciranno a dar vita a un’alternativa positiva, indipendente e radicale? Questa è la sfida politica oggi. Occorre che la sinistra radicale prenda l’iniziativa nella costruzione di un fronte, di un blocco alternativo antimonopolista che comprenda tutti i lavoratori e produttori vittime di questa “oligarchia dei monopoli generalizzati”, di cui faccia parte la classe media, gli agricoltori, le Piccole Medie Imprese…

Lei afferma che la sinistra deve rinunciare a qualsiasi strategia che aiuti il capitalismo ad uscire dalla crisi.
Samir Amin. È tempo di mostrare audacia! Non siamo in un momento storico in cui la ricerca “di un compromesso sociale” tra capitale e lavoro, costituisca un’alternativa possibile come nel dopoguerra con la socialdemocrazia degli Stati assistenzialisti. Alcuni nostalgici si immaginano di poter “fare arretrare” il capitalismo dei monopoli alla posizione di alcuni decenni fa. Ma la storia non permette mai un ritorno al passato.
Siamo in questo momento storico e la sinistra radicale deve essere audace. Parlo della sinistra che è convinta che il sistema capitalista debba essere sostanzialmente superato. Ma anche di una sinistra che non perde di vista il socialismo, che deve essere inventato senza avere necessariamente un modello preesistente. Nei paesi del Nord, ci sono le condizioni oggettive per isolare il capitale dei monopoli. Ciò comincia con un’alleanza sociale e politica che raccoglie la stragrande maggioranza.

Questa audacia esiste, oggi?
Samir Amin. Attualmente la mancanza d’audacia a sinistra è terribile. Vi ricordate come i socialdemocratici erano contenti quando il regime sovietico è crollato e con esso i Partiti comunisti dell’Europa occidentale? Ho detto loro: “Siete stupidi. I prossimi a cadere sarete voi, il capitale ha avuto bisogno di voi soltanto perché c’era la minaccia comunista”. E, anziché radicalizzarsi, al contrario sono scivolati verso destra. Sono diventati social-liberali. Attualmente, il voto socialdemocratico o di destra, è equivalente. Tutti dicono: “Non possiamo fare nulla, è il mercato che decide, le agenzie di rating, il super partito del capitale dei monopoli.”
Si vedono anche segmenti importanti della sinistra radicale che accettano questo, per timore o per confusione. Allo stesso tempo c’è gente che si definisce “comunista”, considerandosi però nulla di più che l’ala sinistra della socialdemocrazia. È sempre la stessa logica di accomodamento del capitalismo. La logica del “meno peggio”, del “ce lo impone l’Europa”, argomentazione per eccellenza. “L’Europa non è buona, ma la distruzione dell’Europa sarebbe ancora peggio”. Ma di meno peggio, in meno peggio, si arriva alla catastrofe. Due anni fa, abbiamo detto ai greci, via! una piccola cura d’austerità e tutto andrà a posto! Si, ma di che giorno del mese? L’ottavo?

Quali potrebbero essere le parole d’ordine “dell’alleanza sociale e politica” che propone?
Samir Amin. L’idea generale è la creazione di un blocco antimonopolista. Occorre un progetto globale che rimetta in discussione il potere “dei monopoli generalizzati”. Non possiamo sognare che gli individui possano cambiare il mondo solo con il miracolo della loro azione individuale, idea che si trova in molti movimenti socialisti ed in filosofi come Toni Negri. Questo blocco antimonopolista comincia col spiegare che esistono alternative alle politiche di austerità, in forma divulgativa, rompendo il discorso del capitale “di competitività e moderazione salariale”. Perché non dire l’opposto, cioè che i salari non sono sufficienti e i profitti troppo grandi?

 

Nel migliore dei casi, ciò conduce ad una leggera riduzione delle disuguaglianze…
Samir Amin. Non è naturalmente abbastanza. Una sinistra autentica deve ribaltare il disordine sociale prodotto dai monopoli. Strategie per garantire la massima occupazione e garantire salari adeguati, che procedano parallelamente alla crescita. È semplicemente impossibile senza espropriare i monopoli. I settori chiave dell’economia devono dunque essere nazionalizzati. Le nazionalizzazioni sono, in un primo momento, statalizzazioni, il trasferimento della proprietà del capitale privato allo Stato. Ma l’audacia consiste qui “nel socializzare” la gestione dei monopoli nazionalizzati. Prendiamo questi monopoli che controllano l’agricoltura, le industrie chimiche, le banche e la grande distribuzione. “Socializzare” significa che gli organi di gestione comprendono rappresentanti degli agricoltori, dei lavoratori dei monopoli preesistenti, certamente, ma anche delle organizzazioni di consumatori e degli enti locali (concernenti l’ambiente, ma anche la scuola, la casa, gli ospedali, l’urbanistica, il trasporto…) Un’economia socialista non si limita alla socializzazione della sua gestione. Il socialismo non è solo il capitalismo senza i capitalisti. Deve integrare la relazione tra l’uomo, la natura e la società. Continuare sulla forma che il capitalismo propone, significa ritornare a distruggere l’individuo, la natura ed i popoli.

 

Cosa si fa di Wall Street e della City?
Samir Amin. Occorre “una definanziarizzazione”. Un mondo senza Wall Street, per riprendere il titolo del libro di François Morin. Ciò implica imperativamente la soppressione pura e semplice dei fondi speculazioni e dei fondi pensione, diventati operatori principali nella finanziarizzazione. L’abolizione di quest’ultimi deve essere realizzata a vantaggio di un sistema di pensioni per ripartizione. Occorre riconsiderare interamente il sistema bancario. Negli ultimi decenni, il sistema bancario è diventato troppo centralizzato e solo alcuni giganti dettano legge. Di conseguenza, si potrebbe concepire “una banca dell’agricoltura”, o “una banca dell’industria” nelle quali i consigli di amministrazione eletti siano composti dai clienti e dai rappresentanti dei centri di ricerca e dei servizi per l’ambiente.

 

Come vede il ruolo di movimenti come Occupy, degli Indignati e dei Sindacati, nella lotta contro i monopoli?
Samir Amin. Che ci sia negli Stati Uniti un movimento come Occupy Wall Street è un segnale magnifico. Che non si accettino più quelle ingiunzioni come “non ci sono alternative” e “l’austerità è obbligatoria”, è molto positivo. Idem per gli Indignati in Europa. Ma sono movimenti che restano deboli, che non ricercano sufficienti alternative. I sindacati svolgono un ruolo importante, ma devono ridefinirsi. Le parole d’ordine di cinquanta anni fa sono superate. Cinque decenni fa, quattro lavoratori su cinque avevano un’occupazione sicura e stabile, e la disoccupazione non esisteva quasi del tutto. Oggi, solo il 40% ha un lavoro stabile, il 40% lavora con un contratto precario e il 20% è disoccupato. La situazione è radicalmente diversa. I sindacati non possono dunque limitarsi a rivendicazioni che riguardano soltanto la metà della classe dei lavoratori. È assolutamente necessario che si tenga conto del diritto dei disoccupati e dei precari. Si tratta spesso di gente d’origine immigrata, di donne e di giovani.

 

Come vede la relazione tra la lotta di classe nel Nord e nel Sud
Samir Amin. I conflitti capitalismo/socialismo e nord//sud, non sono dissociabili. Il capitalismo è un sistema mondiale e le lotte politiche e sociali, se vogliono essere efficaci, devono essere condotte simultaneamente in ambito nazionale e su piano mondiale. Questo Marx voleva dire con “proletari di tutti i paesi, unitevi!”. Essere comunista vuole anche dire essere internazionalista.

È assolutamente indispensabile integrare la questione del clima, delle risorse naturali e dell’ambiente nel conflitto Nord-Sud. La proprietà privata di queste risorse e l’uso improprio del pianeta, mettono in pericolo il futuro di tutta l’umanità. L’egoismo degli oligopoli nel Nord è stato brutalmente espresso da Bush, che ha dichiarato “the American way of life is not negotiable” (lo stile di vita americano non è negoziabile). Quest’egoismo ritorna a negare al Sud l’accesso alle risorse naturali (80% dell’umanità). Credo che l’umanità non possa impegnarsi seriamente nella costruzione di un’alternativa socialista se non si cambia questo “way of life” nel Nord, cosa che non vuole dire che il Sud debba solo pazientare. Al contrario, le lotte nel Sud riducono le rendite imperialiste e indeboliscono la posizione dei monopoli nel Nord, cosa che rafforza le classi popolari del Nord nella loro lotta per la socializzazione dei monopoli. La sfida nel Nord è che allora l’opinione generale non debba limitarsi alla difesa dei suoi privilegi a scapito dei popoli del Sud.

 

Le economie di paesi emergenti come la Cina, il Brasile, la Russia e il Sudafrica, non minacciano già un po’ il potere “dei monopoli generalizzati”?
Samir Amin. Dal 1970 il capitalismo predomina il sistema mondiale con cinque vantaggi: il controllo dell’accesso alle risorse naturali, il controllo della tecnologia e della proprietà intellettuale, l’accesso privilegiato ai media, il controllo del sistema finanziario e monetario e, infine, il monopolio delle armi di distruzione di massa. Chiamo questo sistema ” apartheid su scala globale” (segregazione su scala mondiale).

Implica una guerra permanente contro il Sud, una guerra iniziata nel 1990 dagli Stati Uniti e i suoi alleati della NATO in occasione della prima Guerra del Golfo. Ma i paesi emergenti, soprattutto la Cina, sono intenti a decostruire questi vantaggi. Per primo, la tecnologia. Si passa dal “Made in China” al “Made by China “. La Cina non è più l’officina del mondo per le filiali o i soci del grande capitale dei monopoli. Controlla la tecnologia per svilupparsi. In alcuni ambiti in particolare, quello del futuro dell’automobile elettrica, del solare, ecc., possiede tecnologie d’avanguardia in anticipo sull’occidente. D’altra parte, la Cina lascia che il sistema finanziario mondializzato, si distrugga. E finanzia anche la sua autodistruzione attraverso il deficit americano e costruendo in parallelo mercati regionali indipendenti o autonomi attraverso “il gruppo di Shanghai”, che comprende la Russia, ma potenzialmente anche l’India ed il Sud-est asiatico. Sotto Clinton, una relazione della sicurezza americana prevedeva anche la necessità di una guerra preventiva contro la Cina. E’ per farvi fronte che i cinesi hanno scelto di contribuire alla morte lenta degli Stati Uniti, finanziandone il deficit. La morte violenta di una bestia di questo genere sarebbe troppo pericolosa.

 

Ed i paesi dell’America del Sud?
Samir Amin. Le democrazie popolari in America latina hanno certamente indebolito la rendita imperialista. Ma avranno difficoltà ad andare più lontano nel loro sviluppo finché culleranno l’illusione di uno sviluppo nazionale capitalista autonomo. Lo si vede chiaramente in Bolivia, in Ecuador o in Venezuela. Lo si vede meno in Brasile perché è un paese molto grande, che ha risorse naturali gigantesche. Hanno iniziato la cooperazione tra loro con l’ALBA. Ma l’ALBA resta finora modesta in confronto alla cooperazione militare, economica e diplomatica del gruppo di Shanghai, che si stacca dall’economia mondiale dominata dai monopoli occidentali. Ad esempio, nulla è pagato in dollari o in euro. Il Sud America può anche “sganciarsi” dal capitalismo dei monopoli. Ha le possibilità tecniche e risorse naturali per fare commercio Sud-Sud. Cosa che era impensabile molti decenni fa.

Versione ridotta di un’intervista di Samir Amin tratta da Etudes marxistes n° 99. La prima parte di quest’intervista è stata pubblicata su Solidaire n°38 e la trovate anche in www.ptb.be/nieuws/artikel/interview-samir-amin-1-le-capitalisme-entre-dans-sa-phase-senile.html

Vedi anche Samir Amin, Uscire dalla crisi del capitalismo o uscire dal capitalismo in crisi?, Il Tempo delle ciliege, 2009.

  * Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

 

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