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La giornata della memoria… corta

Trieste senza memoria

Nella Giornata della Memoria dei crimini del nazifascismo, dobbiamo purtroppo nuovamente constatare come questa memoria nella nostra città non riesca a trovare spazio.

Parliamo dell’annosa vicenda dello stabile di via Cologna 6-8, nel quale ebbe sede, tra l’autunno del 1944 ed il 1° maggio del 1945, uno dei corpi di repressione più feroci che la nostra storia ha conosciuto: l’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza, comandato dall’ispettore generale Giuseppe Gueli, ed il cui squadrone della morte era guidato dal commissario Gaetano Collotti.

E “banda Collotti” era il nome con cui questo squadrone della morte era tristemente noto, non solo a Trieste, ma in tutta l’allora Venezia Giulia dove operava. Istituito come forza autonoma di polizia per la repressione antipartigiana nel 1942, operò rastrellamenti, violenze e torture efferate anche sui civili, deportazioni (solo nel periodo dal 24/2/43 al 7/9/43 furono internati per ordine di Gueli 1.793 “ribelli e parenti dei ribelli”: gli uomini a Cairo Montenotte, in provincia di Savona e le donne a Fraschette di Alatri, in provincia di Frosinone), esecuzioni sommarie; dopo l’8/9/43, in sinergia con i nazisti, continuò l’attività di repressione degli antifascisti, ma si prodigò anche nella ricerca degli Israeliti da rinchiudere in Risiera e poi inviare nei lager germanici, e spesso gli agenti e gli ufficiali si appropriavano dei loro beni (motivo per cui, ad esempio, furono arrestati dai nazisti due dirigenti che avevano fatto la cresta sui beni degli arrestati, invece di consegnarli integralmente agli occupatori).

Dall’estate del 1944 furono centinaia gli arrestati che passarono per le mani degli agenti dell’Ispettorato speciale, che in quel periodo si trasferì dalla vecchia sede di via Bellosguardo (una villa che era stata sequestrata alla famiglia israelita degli Arnstein, riparati negli Stati Uniti) alla caserma dei Carabinieri di via Cologna, dopo lo scioglimento dell’Arma voluto dalle autorità militari del Reich, da cui dipendevano le forze armate e di polizia locali.

Di almeno un centinaio di questi arrestati (partigiani e civili) si sa che hanno perso la vita, uccisi al momento dell’arresto o per la cosiddetta ley de fuga, internati in Risiera o nei campi nazisti dove persero la vita, condannati a morte e fucilati, alcuni (come l’anziano Mario Maovaz, corriere del Partito d’Azione, ed il giovane Bruno Kavcic, partigiano comunista), addirittura il 28 aprile 1945, quando già il torturatore Collotti era stato ucciso dai partigiani veneti che avevano fermato la fuga sua e dei suoi più fedeli accoliti.

Nelle celle di via Cologna furono rinchiusi centinaia di prigionieri, partigiani e civili, uomini, donne anche giovanissime, ragazzini, anziani; nelle stanze i prigionieri venivano torturati selvaggiamente e ridotti in condizioni pietose, dalle finestre dello stabile si gettarono due prigionieri, uccidendosi, perché non sopportavano più le torture: una partigiana di Servola ed un aviere del CLN triestino.

Nel dicembre del 2010 abbiamo fatto un sopralluogo di memoria con alcuni ex detenuti, che rientrando nelle stanze che avevano visto la loro sofferenza, e ricostruendo l’inferno che avevano attraversato, ci hanno fatto conoscere un pezzo di storia infame della nostra città.

All’epoca la Provincia di Trieste, proprietaria dello stabile, lo aveva messo all’asta, per “fare cassa”. Noi avevamo raccolto un migliaio di firme chiedendo che lo stabile rimanesse di proprietà pubblica e diventasse una Casa della Memoria, dove raccogliere gli archivi degli istituti storici triestini, dare una sede alle associazioni dei partigiani e degli ex deportati, realizzare una biblioteca tematica ed una sala convegni, allestire una mostra che racconti la storia del fascismo e dell’antifascismo, dell’occupazione nazista e della Resistenza, che ricordi quanto costò, e quanto i suoi valori siano preziosi ancora oggi, la lotta per la libertà e la dignità dei popoli.

Una struttura che possa servire sia agli storici che alla cittadinanza, con particolare riguardo alle giovani generazioni.

Nonostante la dichiarazione di interesse storico da parte del Ministero dei beni culturali, nonostante fosse stato nominato un Comitato scientifico per questo progetto, oggi nuovamente la Provincia ha messo all’asta via Cologna, perché, ci è stato detto, non ci sono soldi per realizzare una Casa della Memoria come avevamo proposto noi, semplici cittadini antifascisti, a volte anche cercando di forzare un po’ la mano alle organizzazioni che dovrebbero gestire, secondo la nostra idea, la struttura.

Non ci sono soldi per l’Istituto di Storia del Movimento di Liberazione, non ci sono soldi per la Sezione storica della Biblioteca nazionale slovena, non ci sono soldi per riordinare i loro archivi che raccolgono la storia della lotta di liberazione delle nostre terre assieme alle testimonianze dei crimini del nazifascismo, non ci sono soldi per dare loro una sede decorosa, né per assumere i ricercatori ed i curatori che potrebbero dedicarsi a questo lavoro.

Dove una struttura del genere potrebbe essere gestita da un consorzio di Enti pubblici, dai Civici musei all’Università, con contributi europei (sono previsti per questo tipo di iniziative di memoria delle deportazioni e delle repressioni commesse dal nazifascismo) e la Regione potrebbe (se ha soldi da regalare alle associazioni di cui parleremo fra un po’) contribuire anch’essa per un progetto culturale che arricchirebbe tutta la città, sia in senso culturale che di posti di lavoro, dato potrebbero essere istituiti dei dottorati di ricerca in modo da dare lavoro a laureati precari o disoccupati, ed anche a personale di supporto per servizi di segreteria ed altro. Progetto nel quale potrebbe trovare spazio anche il riordino dell’archivio del defunto professor Diego de Henriquez, i “diari”, le fotografie, i documenti ed i testi da lui lasciati alla città.

Ma di fronte alla chiusura della Provincia di Trieste, viene da pensare che i soldi che non si trovano sono quelli per la cultura antifascista, dato che ci sono altre strutture in città che godono di finanziamenti anche piuttosto cospicui. Pensiamo innanzitutto al cosiddetto Museo della civiltà fiumana, istriana e dalmata, che ha sede in un palazzo prestigioso completamente restaurato allo scopo, un museo che non ha nulla di scientifico, salvo un po’ di oggettistica etnografica, ma in compenso trasuda razzismo nei confronti di Sloveni e Croati, ed oltre a mistificare la storia con uno pseudo-elenco di “infoibati”, espone lo spaccato di una “finta foiba”, all’insegna del pessimo gusto più deteriore.

Eppure per questo museo i fondi si sono trovati e si trovano ancora, evidentemente, dato che senza finanziamenti non potrebbe sopravvivere.

Sempre a Trieste la Regione Friuli Venezia Giulia ha stanziato recentemente una serie di contributi ad associazioni varie, tra le quali troviamo: Euro 210.000 all’Associazione profughi istriani e dalmati, Euro 90.000 all’Istituto Regionale per la Cultura Istriana, Euro 20.000 alla Lega Nazionale, Euro 20.000 all’Associazione Novecento (quella che negli anni ha organizzato svariate iniziative con la presenza di ex nazisti e di neofascisti, ultima in ordine di tempo la presentazione del libro del neofascista Stefano Delle Chiaie, presentazione a cui alla direttrice di questo periodico è stato “consigliato” di non insistere per assistervi, in quanto ritenuta persona non grata agli organizzatori, presente la créme de la créme della vecchia eversione fascista), Euro 30.000 all’Associazione Panzarasa, il museo memoriale dei reduci della Decima Mas, peraltro gestito in collaborazione con la Novecento.

In totale fanno 370.000 Euro: mica spiccioli, governatore Tondo. Quanti ne occorrerebbero per iniziare i lavori per sistemare via Cologna e dare una sede dignitosa agli archivi che abbiamo citato prima?

E non possiamo fare a meno di stigmatizzare come anche a Roma, dove il Museo della Resistenza di via Tasso è da anni a rischio chiusura per mancanza di fondi, il 1° febbraio prossimo “l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia – Presidenza nazionale e Comitato provinciale di Roma –, la Società di Studi Fiumani e l’Associazione Nazionale Dalmata firmeranno il protocollo d’intesa con Roma Capitale che sigla la concessione di un immobile posto nel cuore del centro storico e in luogo di grande valenza artistico- architettonica, nei pressi dei Fori imperiali. L’atto avrà luogo nell’ambito delle celebrazioni del Giorno del Ricordo, che come ogni anno viene commemorato alla presenza delle più alte cariche civili e militari di Roma Capitale e della cospicua comunità degli Esuli residenti. La Casa del Ricordo ospiterà la sede di rappresentanza delle tre associazioni della Diaspora, nonché della Sede nazionale Anvgd, la quale conserva comunque la sua base operativa in Via Leopoldo Serra” (dal comunicato dell’Anvgd).

Claudia Cernigoi (fonte: diecifebbraio.it)

 

Quanti conoscono la parola “Porrajmos”?

Porrajmos nella lingua dei Rom significa “divoramento” e indica la persecuzione e lo sterminio che il Terzo Reich attuò nei loro confronti.

Sui Rom morti durante la Seconda Guerra Mondiale (di Vania de Gila-Kochanowski)

Se io testimonio oggi che la “soluzione finale” per i rom era stata progettata da Hitler fin dal 1933 (cf: “MEIN KAMPF”) e questo piano mostruoso è stato attuato con un genocidio di 7.500.000 di noi, allora io avrò assolto al mio dovere affinchè dopo 100 anni o addirittura 50 anni tutta questa pagina della storia rom non sia definitivamente cancellata. Si tratta di un “olocausto” regolarmente dimenticato…o volontariamente occultato e la sua valutazione merita alcune spiegazioni.
Prima della guerra c’erano circa 25 milioni di rom dispersi attraverso l’Europa, di cui soltanto 10 milioni si riconoscevano ufficialmente come rom. Dunque la maggioranza degli studiosi dei rom, amici come nemici, sono d’accordo per stimare una ecatombe del 75% che corrisponde ad un genocidio di circa 7.500.000 di individui.
Si è lontani dalle 500.000 vittime- cifra spesso usata per quantificare il genocidio rom nel suo insieme. Io, come anziano prigioniero dei campi di sterminio nazisti, sono stato invitato a testimoniare nel processo intentato contro il negazionista francese Robert Faurisson.
Gli archivi messi a mia disposizione, provenienti da Germania, Polonia, Cecoslavacchia, Bulgaria, ecc., permettono di ritenere che i 500.000 rom morti nei diversi campi di concentramento si riferiscono agli individui di ogni sesso e di ogni età che sono serviti per gli esperimenti etnici e biologici dei tecnici e dei medici criminali nazisti.
Simon Wiesenthal, il cacciatore di nazisti ben conosciuto, indica la cifra di 2 milioni per l’olocausto del rom nei campi e nelle prigioni. Ma tutti gli altri? Le testimonianze delle popolazioni europee sotto il nazismo abbondano nel descrivere esecuzioni di massa: nei campi, nelle foreste, nelle strade, ecc.. E, come dimenticare, tutti i rom morti nelle armate regolari o fra i partigiani? E i giovani rom arruolati a forza nelle SS o nella Wermacht, evasi, ripresi e fucilati.

tratto da: PARLONS TSIGANE Histoire, culture et langue du peuple tsigane – pag. 21-22 – Editions l’Harmattan Paris di Vania de Gila-Kochanowski trad. Alessandro Bellucci 

Vania de Gila-Kochanowski, sociologo e linguista rom, nato nel il 6 agosto 1920 in Polonia, ex deportato, diventato poi dal 1959 cittadino francese si divideva tra la lotta per i diritti dei rom, gli studi e la scrittura. E’ stato uno dei primo rom ad ottenere due lauree, una agli inzi degli anni ’60, in studi linguistici e la seconda in etno-sociologia. Diventato professore, ha contribuito in maniera unica e significativa a diffondere la storia e la cultura dei rom per affermarne il valore. E’ morto a Parigi il 18 maggio 2007. I suoi libri non sono mai stati tradotti in Italia

 

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