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Usb: “L’accordo della vergogna”

Ad una prima sommaria lettura, il Patto sulla Rappresentanza nei luoghi di lavoro (in allegato) sottoscritto tra Confindustria e CGIL CISL e UIL non si discosta dalle anticipazioni già circolate e che molto allarme avevano già giustamente sollevato nelle settimane scorse, tanto da indurre il Forum Diritti/Lavoro a convocare una prima Assemblea pubblica di discussione sulla questione. La definizione di “governissimo sindacale”, utilizzata da molti per definire questo Patto che va ben oltre la definizione di criteri di verifica della rappresentanza sindacale, e’ assolutamente adatta a definire la volontà delle parti sottoscrittrici di escludere qualsiasi altro soggetto dalla rappresentanza del mondo del lavoro e di costituire un blocco di potere da proteggere da ogni eventuale incursione del conflitto, mettendo assieme in una innaturale alleanza padroni/lavoratori in un  “Patto tra i produttori” utile solo a garantire pace sociale di fronte ai sempre più avanzati processi di riorganizzazione produttiva.
Sul piano pratico si stabilisce che possano partecipare alla contrattazione nazionale di categoria solo quelle organizzazioni, aderenti alle confederazioni firmatarie dell’accordo -che diventa pertanto il primo ostacolo da superare: o sottoscrivi o neanche partecipi – che abbiano almeno il 5% degli iscritti e il 5% dei voti alle RSU. Sembrerebbe la fotocopia della normativa già esistente nel pubblico impiego ma non è così. Infatti nel settore privato non a tutte le organizzazioni sindacali e’ consentito ottenere dalle aziende il diritto alle ritenute sindacali in busta paga, essendo questo privilegio riservato, dopo i disastrosi Referendum del 1995, alle sole organizzazioni sindacali firmatarie di CCNL applicati in azienda. Quindi ad esempio la USB e’ fuori dalla possibilità di far pesare le adesioni alla propria organizzazione sindacale in quanto ai nostri iscritti non vengono operate le ritenute sindacali in busta paga ma siamo costretti ad operare il tesseramento attraverso strumenti non riconosciuti dall’accordo. In tal caso la USB per dimostrare di avere il 5% medio tra iscritti e voti dovrebbe ottenere il 10% dei voti perché impossibilitata a far valere i propri iscritti che non possono essere certificati dalle aziende all’INPS, ente che sembrerebbe deputato alla raccolta dei dati, in quanto non operate dalle stesse e comunque non rientranti nella categorie “ritenute sindacali” che è la dizione precisa utilizzata nell’accordo.
Il tratto centrale dell’accordo riguarda però “l’esigibilità degli accordi”. I sottoscrittori hanno individuato una formula che impedisce a chiunque di mettere in discussione gli accordi sottoscritti dal 50% +1 delle organizzazioni ammesse alle trattative e validate  dal 50%+1 dei lavoratori interessati. Quale sarà lo strumento attraverso cui si farà la verifica del gradimento dell’accordo e’ demandato alle categorie (sic!). Le sanzioni e le clausole che riguarderanno questo punto ( per semplificare, le punizioni per chi oserà contestare l’accordo) saranno anch’esse stabilite sul piano delle categorie, probabilmente commisurate al tasso di conflitto che ogni categoria esprime, più pesanti ad esempio nei trasporti e meno nei tessili e così via. Ogni organizzazione firmataria del Patto dovrà garantire il pieno rispetto di tutti i suoi contenuti e quindi qualunque organizzazione sindacale abbia intenzione di partecipare alle RSU, e per farlo dovrà sottoscrivere l’accordo, acconsentirà automaticamente all’auto limitazione della propria autonomia di giudizio sull’accordo raggiunto e quindi ad intraprendere eventuali iniziative di lotta per contrastarlo, pena l’applicazione delle sanzioni stabilite dalle categorie (ovviamente di CGIL CISL e UIL).
È altamente probabile che questo continuo rimando alle categorie sia il tributo che la CGIL ha dovuto pagare per avere il placet anche della FIOM che condividendo alla fine questo orrendo accordo, si garantisce il rientro in pompa magna tra gli attori sindacali “graditi” ai padroni e volta pagina rispetto al tanto sbandierato conflitto, molto spesso evocato, quasi sempre affidato alla magistratura.
È evidente che questo accordo cerca di evitare che sia una legge a stabilire regole certe per tutti, non scritte “pro domo sua” da chi ha tutto l’interesse a garantirsi ancora e per sempre il monopolio della rappresentanza sindacale, per definire un quadro che rispetti la Costituzione italiana e le sue previsioni in tema di libertà sindacale.
La cosa più grave e’ che questo accordo prescinde totalmente dal concetto delle garanzie e delle libertà democratiche per le lavoratrici e i lavoratori nei luoghi di lavoro e ancora una volta affronta il problema delle regole della rappresentanza unicamente dal punto di vista delle organizzazioni. Lo tsunami che ha travolto la politica evidentemente non è stato sufficiente a far capire a Camusso, Angeletti, Bonanni, Landini e Squinzi che non è più tollerabile la privatizzazione della democrazia e della rappresentanza, sia essa politica o sindacale.
Toccherà alle lavoratrici e ai lavoratori ricordarglielo dando vita anche nella sfera del mondo del lavoro ad una vera e propria rivolta.

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