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Droni. Pensati per uccidere

Armi di ultima generazione: i droni killer, senza pilota, marchingegni infernali per una guerra senza confini. Ecco le nuove frontiere della tecnologia di guerra.

 

Vengono definiti con il termine “LAR” (Lethal Autonomous Robotics). Si tratta dei sistemi d’arma robotizzati che, una volta attivati, possono selezionare e colpire un obiettivo in piena autonomia, esautorando l’operatore umano da ogni intervento. Droni killer e spia, siluri e minisommergibili, fanti-robot che fulminano con raggi laser. Marchingegni infernali che segnano l’ultima frontiera delle tecnologie di guerra: la mente e la coscienza umana che lasciano il passo alleintelligenze artificiali di processori e terminali. Il potere di decretare la vita e la morte in mano a computer, teleobiettivi e satelliti.

“Se utilizzati, i LAR possono avere conseguenze di vasta portata sui valori della società, soprattutto quelli riguardanti la protezione della vita, e sulla stabilità e la sicurezza internazionale”. A richiamare l’attenzione della comunità internazionale sui nuovi sistemi di distruzione di massa automatizzati è il Consiglio per i Diritti Umani dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che il 9 aprile 2013 ha pubblicato uno specifico rapporto. “Raccomandiamo agli Stati membri di stabilire una moratoria nazionale sulla sperimentazione, produzione, assemblaggio, trasferimento, acquisizione, installazione e uso dei LAR, perlomeno sino a quando non venga concordato internazionalmente un quadro di riferimento giuridico sul loro futuro”, scrive il relatore Christof Heyns. “Essi non possono essere programmati per rispettare le leggi umanitarie internazionali e gli standard di protezione della vita previsti dalle norme sui diritti umani. La loro installazione non comporta solo il potenziamento dei tipi di armi usate, ma anche un cambio nell’identità di quelli che li usano. Con i LAR, la distinzione tra armi e combattenti rischia di divenire indistinto”.

Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite spiega come l’odierna proliferazione di guerre asimmetriche e conflitti armati non-internazionali, anche in ambienti urbani, è un ulteriore elemento che dovrebbe scoraggiare l’uso di armi-robot, proprio perché è ancora più difficile in questi scenari la distinzione tra “non combattenti” (bambini, donne, anziani, ecc.) e obiettivi “legali”. Ciononostante si progettano e sperimentano LAR sempre più indipendenti dal controllo umano, mentre le ultime dottrine strategiche prefigurano la totale estromissione dei militari in carne ed ossa dalle catene decisionali in tempo di guerra. Un vicolo cieco che non potrà che condurre all’esplosione di conflitti sempre più disumanizzati e disumanizzanti, sancendo una cesura irreversibile con la Storia dell’umanità e la visione cosmica della responsabilità, della concezione stessa della pace e della guerra, della vita e della morte.

Il processo di transizione dall’uomo agli automi nella gestione dei conflitti è sempre più facilitato dalla riduzione dei tempi di risposta e dalla velocizzazione delle informazione e dei comandi trasmessi dai sistemi militari (computer, satelliti ecc.). In effetti il confine tra guerra pienamente automatizzata e guerra sotto il potenziale comando e controllo umano è già labilissimo, impercettibile. Alcuni sistemi d’arma sono già in grado ad esempio di individuare i sistemi bellici “nemici” in avvicinamento e di rispondere automaticamente per “neutralizzare” la minaccia. E quando è prevista la possibilità di un intervento umano per modificare i piani di azione dei computer esso può essere esercitato solo in una manciata di secondi.

Secondo alcuni esperti, la ricerca nel campo dei LAR è talmente avanzata  che i “killer robot” (armi che sceglieranno in piena autonomia gli obiettivi ordinando la loro distruzione senza alcun apporto dell’uomo) potrebbero essere sviluppati entro 20-30 anni. Il Dipartimento della difesa spende annualmente non meno di 6 miliardi di dollari per finanziare la sperimentazione e la produzione di sistemi da guerra senza pilota. La Unmanned Systems Integrated Roadmap FY2011-2036, il documento di politica militare che delinea il cronogramma per la “progressiva riduzione del livello di controllo umano” parallelamente allo sviluppo delle “assunzioni decisionali” da parte “della porzione automatizzata della struttura armata”, punta ad acquisire un’ampissima gamma di sistemi senza pilota da utilizzare nelle operazioni terrestri, aeree, navali e subacquee.

In ambito aeronautico è stato elaborato l’USAF Unmanned Aircraft Systems Flight Plan 2009-2047, il piano che definisce gli obiettivi strategici da perseguire entro metà secolo. Tre le tappe chiave: la prima, fissata per il 2020, vede la progressiva sostituzione dei cacciabombardieri con gli aerei senza pilota. La seconda, nel 2030, in cui i droni saranno i padroni assoluti dei cieli, teleguidati in “sciami” da un manipolo di superefficienti tecnici militari. L’ultima data, quella che celebrerà la follia dell’apocalisse bellica, nel 2047, quando gli attacchi convenzionali, chimici, batteriologici e nucleari saranno decisi in assoluta autonomia da sofisticati computer che riprodurranno artificialmente l’intelligenza umana.

La “rivoluzione strategica” nelle guerre aeree ha un suo primo protagonista, l’MQ-1 Predator, il drone da ricognizione e attacco missilistico che l’US Air Force e la CIA utilizzano quotidianamente nei principali scacchieri di guerra internazionali (Afghanistan, Pakistan, Yemen, Somalia, regione dei Grandi Laghi, Mali, Niger, ecc.) con un crescente sacrificio di vite umane. Nonostante sia dotato di sofisticatissime tecnologie d’intelligence e telerilevamento, ilPredator non è in grado di distinguere i “combattenti” nemici dalla popolazione inerme e così è oggi uno dei sistemi bellici più stigmatizzati dalle organizzazioni non  governative umanitarie e dallo stesso Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.

Mentre cresce internazionalmente il dibattito sulla legittimità dei droni a livello giuridico, sociale, culturale, religioso, ecc., in Italia il tema è quasi del tutto ignorato da media, forze politiche e associazioni. Eppure proprio i famigerati droni-killer delle forze armate Usa vengono ospitati dallo scorso autunno nella stazione aeronavale siciliana di Sigonella. “La presenza temporanea di sei MQ-1 Predator è stata autorizzata dal Ministero della difesa italiano e ha fondamentalmente lo scopo di permettere alle autorità americane il loro dispiegamento qualora si presentassero delle situazioni di crisi nell’area nordafricana e del Sahel”, spiega l’Osservatorio di Politica Internazionale, un progetto di collaborazione tra il CeSI (Centro Studi Internazionali), il Senato della Repubblica, la Camera dei Deputati e il Ministero degli Affari Esteri.

Nei piani delle forze armate Usa e Nato la base siciliana è però destinata a fare da capitale mondiale dei droni, cioè in centro d’eccellenza per il comando, il controllo, la manutenzione delle flotte di velivoli senza pilota chiamati a condurre i futuri conflitti globali. Oltre ai Predator, dall’ottobre 2010 Sigonella ospita pure non meno di tre aeromobili teleguidati da osservazione e sorveglianza RQ-4B Global Hawk dell’US Air Force. Lunghi 14,5 metri e con un’apertura alare di 40, questi droni possono volare in qualsiasi condizione meteorologica per 32 ore sino a 18,3 km d’altezzae a migliaia di km dalla loro base operativa. Un modello più avanzato degli aerei-spia è in via di acquisizione da parte della Marina militare statunitense che, ovviamente, utilizzerà prevalentemente Sigonella per il loro schieramento avanzato.

Alla iperdronizzazione delle guerre si preparano pure i paesi membri dell’Alleanza Atlantica. Entro il 2017 sarà pienamente operativo il programma denominato Alliance Ground Surveillance (AGS) che punta a potenziare le capacità d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento della Nato. L’AGS fornirà informazioni in tempo reale per compiti di vigilanza aria-terra a supporto dell’intero spettro delle operazioni nel Mediterraneo, nei Balcani, in Africa e in Medio oriente. Il sistema AGS si articolerà in stazioni di terra fisse, mobili e trasportabili per la pianificazione e il supporto operativo alle missioni e da una componente aerea basata su cinque velivoli a controllo remoto RQ-4 “Global Hawk” Block 40 che verranno installati anch’essi a Sigonella. Conti alla mano, entro un quinquennio i grandi aerei-spia in Sicilia saranno non meno di una ventina a cui si aggiungeranno “stormi” di Predator armati di missili aria-terra e aria-nave.

L’Italia non intende però limitarsi a fornire un mero supporto alle azioni di first strike dei partner Usa. Così, dopo aver acquistato per 70 milioni di dollari sei velivoli-spia versione “RQ-1B” e due “MQ-9”, l’Aeronautica militare ha chiesto al Congresso degli Stati Uniti l’autorizzazione ad armare iPredator con missili e bombe a guida laser. I droni killer saranno consegnati agli avieri del 28° Gruppo Velivoli Teleguidati “Le Streghe” di Amendola (Foggia), il primo reparto militare in Europa ad avere utilizzato sistemi di guerra a pilotaggio remoto.

*Articolo pubblicato in Mosaico di pace, n. 7 luglio 2013

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1 Commento


  • Asterix

    Ottimo articolo, ben dettagliato. Manca solo il fatto che con i drone si evita di utilizzare gli esseri umani, con strumenti meno costosi di interi aerei, navi o sommergibili. Ho qualche dubbio sull’automazione totale degli stessi. C’è sempre un pilota e un navigatore, a terra, che li controllano e li utilizzano. Questi potrebbero essere acquistati al posto dei dipsendiosi e non proprio funzionali F35.

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