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Alle origini della crisi: ovvero dell’insostenibilità del capitalismo

– Le ragioni della crisi

Dal 2008 la crisi è entrata nelle nostre vite. Da allora politici e banche si sono rimpallati la responsabilità di quello che sta succedendo; gli uni danno la colpa alla “finanza cattiva”, gli altri alla inettitudine dei governanti. Nessuno però mette in discussione la bontà di fondo del sistema. La crisi ci viene presentata come un incidente di percorso, che presto verrà risolto per tornare a “crescere”.

Noi invece riteniamo che la crisi sia una conseguenza necessaria, sul lungo periodo, dell’attuale modo di produzione, il capitalismo, e che sia destinata a ripetersi nel tempo a meno che le cose non cambino radicalmente. Daremo ora una sintetica ricostruzione degli eventi che hanno portato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla situazione attuale, partendo dall’idea che il profitto delle imprese tenda a scendere a causa della concorrenza a livello globale e della necessità di investire in macchinari che migliorino la produzione e la circolazione delle merci; una dinamica che porta inevitabilmente alla crisi e al conseguente impoverimento che stiamo sperimentando qui come altrove nel mondo. Alla fine vedremo come il capitalismo sia un modo folle di mandare avanti l’economia, gestito da veri e propri psicopatici.

– In principio era l’auto…

Nel secondo dopoguerra inizia il declino relativo degli USA, che all’epoca detenevano da soli metà del PIL mondiale e John Ford aveva un patrimonio pari a sette volte quello di Bill Gates. L’industria dell’auto era il settore più importante del capitale americano.

Dagli anni ’50 e con il suo apice negli anni ’80, i giapponesi della Toyota iniziano a fare una seria concorrenza al settore automobilistico americano. Le ditte statunitensi, per rispondere ai nipponici, dovettero, sul momento, aumentare gli investimenti rinnovando i loro macchinari, per essere più produttivi, quindi più competitivi.

Per bilanciare le spese nei macchinari, il capitale americano dovette fare ricorso alla contromossa più rischiosa: quella che nei tg chiamano volgarmente “finanza cattiva”. In realtà non c’è una finanza “buona”: la finanza è semplicemente capitalistica, e serve a mettere in circolazione soldi quando non ce ne sono. Insomma, quando i profitti calano, irrompe la finanza. È una sorta di “magia” di questo sistema economico, magia che, prima ancora di essere “nera”, o “bianca”, è molto rischiosa.

– Nel mentre, nel resto del mondo…

In Cina, nel 1977, hanno inizio quelle riforme di “apertura” che chiusero la pagina delle politiche tipiche della gestione statale dell’economia portata avanti da Mao (che impropriamente venne chiamato “socialismo”) e si dette inizio a quell’economia di mercato che porterà la Cina ad essere ciò che oggi è. Queste riforme svilupparono, come una lunga miccia, quei fattori che portarono alla fine della divisione del mondo in due blocchi e all’affermarsi di un mercato globale. Lo sviluppo dei paesi asiatici e del “Made in China”, infatti, aveva bisogno di trovare nuovi mercati.

Mentre gli anni ottanta si avviavano verso la fine, i tempi erano ormai maturi, dalle parti della cancelleria di Berlino Ovest, per ricongiungersi con la sua dolce metà. Il muro di Berlino cadrà e la Russia, insieme all’intero ex-blocco sovietico, entrerà in ballo  come capitalismo di “libero” mercato, uscendo dal periodo di “rigida” gestione dell’economia da parte dello stato, come lo era stata da Stalin a Gorbacev (e nota come “socialismo reale”, che di socialista aveva solo il nome).

La Germania riunificata torna alle sue origini e si butta nella prima sezione del capitale: le macchine per produrre i macchinari, ovvero l’acciaieria pesante. Dalla riunificazione gli ci sono voluti soli 23 anni per tornare al primo posto come numero d’affari interni e fare impallidire la, sempre temutissima, Cina. La concorrenza si fa sempre più spietata. Ma facciamo un passo indietro…

– Tornando in USA 

Davanti all’avanzata delle “tigri asiatiche”, la finanza sembrò l’unica arma in mano all’occidente per rimanere in gioco e salvare i profitti: Reagan, divenne presidente degli USA supportato da un influente gruppo di banchieri (i rappresentanti del quale in un suo intervento gli sussurrano all’orecchio “stop” per indicargli di concludere un comizio di fronte a migliaia di persone – come vediamo nel film “Inside Job”); l’ex attore divenuto l’uomo politico più importante del mondo si sbizzarrì a creare potenti strumenti finanziari per bilanciare i costosi investimenti delle industrie, costrette dalla concorrenza a rinnovare i propri macchinari; questi strumenti finanziari arrivarono anche in Europa passando per le isole britanniche.

Negli stessi anni, insieme alla finanza, per ostacolare la lenta, e comunque relativa, caduta dei profitti americani, venne avviato anche il mercato informatico, latente per decine di anni e tenuto nel congelatore (la scoperta della wi-fi è del 1942, il computer, l’Olivetti ELEA fu inventato a Pisa nel 1957 e quattro anni dopo svenduto alla General Electric, il primo touchscreen del 1965…). Il tutto per cercare di (ri)conquistare il mercato; ma, evidentemente non bastarono nemmeno il sorgere di Apple e Microsoft a distanza di 10 mesi per risollevare  i profitti a stelle e strisce (del resto oggi Bill Gates è un “pezzente” confrontato a Ford, e la cinese Lenovo, che ha comprato l’IBM, si è recentemente piazzata al primo posto come profitti nel mercato informatico, superando ormai Microsoft, Apple, Dell, Hp, Samsung). Per gli americani, dunque, la finanza era ormai l’unica salvezza.

I “giochi di prestigio” di Reagan sono alla base del perverso sistema di credito che abbiamo imparato a conoscere coi nomi di titoli tossici, “derivati” e subprime. La crisi del 2008 è stata la manifestazione ultima dell’esplosione di un complesso sistema creditizio messo in piedi dalle banche che coinvolgeva, nel percorso che va dal creditore al debitore, molti nodi della società, e culminava con il coinvolgimento di un bene primario per tutti: la propria casa. In questo sistema, come si vede nelle interviste che animano il documentario “Inside Job”, c’è chi ammette candidamente di aver speculato sui fallimenti delle aziende, “scommettendo” che fallivano e arricchendosi a dismisura sulla pelle altrui. Il tutto a scapito di chi, a causa delle insolvenze delle agenzie creditizie, ha finito per rimetterci la propria casa. La crisi che inizia con il fallimento di alcune banche americane porta a bruciare migliaia di miliardi in tutte le borse del mondo: dalla necessità di trovare un tetto, perso a causa dei mutui folli, negli Usa nasce il motto “occupy!”.

– “I told you I was right!…about capitalism”

La si è chiamata finanza “cattiva”, si è dato la colpa al “sistema americano”, se ne sono dette tante, ma che sia la finanza, “cattiva” o “buona”, che sia il sistema preso in considerazione, “americano”, “greco”, o “spagnolo”, le conseguenze di quella crisi, scoppiata nel 2008 e tutt’ora in atto, le stiamo pagando tutti. La realtà è che il sistema non si può considerare “americano”, “greco”, “portoghese”, o “irlandese”: il sistema capitalistico ha sviluppato il mercato globale, e le sue crisi, di conseguenza, non possono che essere globali.

L’esplodere di questi strumenti finanziari è stato quindi del tutto random, casuale, se si isolano i singoli fenomeni, ma se si guarda alle dinamiche generali del capitalismo, che si regge su un equilibrio del tutto precario, ci rendiamo conto che tende a sviluppare, ciclicamente, crisi internazionali. Nessuno ha la palla di vetro, ma se si pensa che negli USA i mutui “rischiosi” erano già nel 1998 il 25% del totale dei mutui… forse era possibile, quanto meno, non cadere nella “psicologia del diniego”, una vera e propria psicosi che affligge chi governa il mondo e ammessa dalla crème degli economisti della London School of Economics.

Questi ultimi, alla domanda stizzita della Regina: “come mai non avete previsto la crisi?”, hanno semplicemente risposto: “in ogni momento di questa fase qualcuno faceva affidamento su qualcun altro e tutti pensavano di fare la cosa giusta”. Il che significa negare (psicologia del diniego, per l’appunto) l’evidenza. Forse è giunto il momento di guardare in faccia la realtà.

da inventati.org/cortocircuito

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