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Chi assedia chi?

Una nota sulla manifestazione di sabato 19 ottobre scorso,  per la casa e il lavoro, il diritto alla città e contro le Grandi opere inutili, nel ricordo di un’altra  manifestazione che tentò di cambiare la nostra storia ma fu arrestata dal terrorismo dei “servizi deviati” dello Stato.
Sono stati migliaia i corpi che, attraverso un lungo serpentone colorato, sabato 19 ottobre, hanno assediato tre specifici edifici statali che molto a che fare hanno avuto e dovrebbero avere con la “casa”: il Ministero dell’ Economia che dovrebbe pensare alle risorse con cui rendere possibili programmi abitativi; il Ministero delle Infrastrutture che questi programmi dovrebbe progettare e rendere realizzabili; la Cassa Depositi e Prestiti, oggi usata come un bancomat per far tornare il bilancio dello stato ricorrendo alla dismissione di quell’ingente patrimonio pubblico che potrebbe, anche se usato solo in piccola parte, risolvere il problema dell’emergenza abitativa.
I luoghi ministeriali di Roma sono la precisa traduzione in pietra del modello proprio alla costruzione capitalistica dello spazio della città. Tre edifici ben piantati nel’asse “direzionale” di cui, dopo il 1870, il nuovo stato italiano si era voluto dotare aprendo, a partire dal Quirinale, lal via del proprio apparato: il ministero della Guerra, dell’Agricoltura, delle Finanze e, subito dopo la Porta, quelle dei lavori Pubblici. Terreni a ridosso della zona in cui, solo qualche anno più tardi (1883) con la lottizzazione Ludovisi, la rendita immobiliare si esibirà nei primi devastanti esercizi di rendita.
Il corteo, quasi un paradosso per i tanti oggi esclusi dal diritto all’abitare, ha toccato così, nel suo dipanarsi, le case che quei ministeri, atterrando da Torino con l’unità d’Italia, si portarono appresso, circondando i massicci ingombri volumetrici degli uffici con le altrettante massicce volumetrie residenziali. I “casermoni” (con questo termine fu ribattezzata dai romani quella tipologia a loro estranea) possenti, con il cortile interno, dove alloggiare il personale chiamato a dar vita alla macchina amministrativa del nuovo Stato. pUna macchina cresciuta su se stessa che ha barattato, da allora, la propria espansione priva di regole e la conseguente rendita dei proprietari di terreni e edifici da riconvertire, con la rinuncia a quell’ipotesi di delocalizzazione dei ministeri che, “pensata” nella seconda metà del 900, con la realizzazione di un sistema esterno al centro storico (S.D.O.), avrebbe interrotto quella bulimia espansionistica e la conseguente scomparsa, dalla parte antica della città, di un sempre più massiccio numero di abitanti. pLa giornata del 19 ottobre, ma anche quella del giorno prima con la manifestazione del sindacalismo di base, si è mossa a partire dalle sofferenze dell’abitare nella crisi alimentata giorno dopo giorno dal dominio del capitale finanziario. Per questo il corteo radicale, ma certo non violento, capace anzi come si è visto di auto tutelarsi, ha detto chiaramente che le risorse per l’abitare non possono essere sottratte e indirizzate alle banche. Questo chiede il popolo delle occupazioni che a macchia d’olio si stanno espandendo nel paese. Ovunque nascono numeri di una strana urbanistica .

Le oltre diecimila persone che vivono nelle 60 occupazioni romane (abitative e culturali) per esempio, sono in realtà gli abitanti di un quartiere che non c’è, ma che è capace spandendosi nel costruito del corpo della città, di porre una richiesta di partecipazione, che nasce dalle forme precarie di vita in cui si costretti a vivere, per un’idea di città diversa. Non è un caso che la forte presenza al corteo dei migranti (significativo il cartello innalzato da molti di loro: ci dispiace non siamo affogati!) ha significato proprio che occupare non è solo una forma di risarcimento, ma piuttosto una riappropriazione per tendere con una nuova forma di welfare al diritto alla città. Accanto a loro la miriade di reti sociali dove questo già avviene, e i tantissimi lavoratori precari: nei servizi, nel commercio che, con il diritto all’abitare intendono dire no alle politiche di austerità che si intende costruire intorno alla vita di tutti noi.

Martedì prossimo questo movimento incontrerà insieme ai Sindaci delle città dove più forte è l’emergenza abitativa, il ministro Lupi che intanto, ha trovato il modo di mettere in pratica il suo ben noto credo urbanistico consegnando ad un super fondo pubblico un consistente pacchetto di “immobili di stato” per far cassa e ridurre così il debito pubblico. Una devastante risposta che vede i “ragionieri” contabilizzare in sei miliardi di euro entro il 2017 i possibili incassi, ma a non considerare che cosa accadrà nelle nostre città e nei nostri territori pAncora una volta i tre edifici di cui sopra hanno deciso di non parlare tra loro anche se sarebbe sufficiente, data la loro ubicazione, farlo aprendo le finestre . A nessuno di loro è venuto in mente che questi immobili liberati e consegnati al mercato avranno l’effetto devastante di altrettante bombe, minando con gli altrettanti cambi di destinazione d’uso che chi compra vorrà vedersi assicurato, la definitiva possibilità di poter parlar ancora di una città pubblica. E’da questi palazzi consegnati al capitale finanziario che verrà l’assedio alla nostra vita. pLa manifestazione del 19 ottobre ha voluto dare anche questo segnale richiedendo, insieme al blocco degli sfratti, l’interruzione del piano di dismissione di questo patrimonio e della sua riconversione residenziale esprimendo un diritto di cittadinanza che è il diritto alla città. A farla finita con il rincorrere il mito delle grandi opere come hanno gridato i tanti NOTAV presenti, a non cedere la sovranità del nostro territorio agli americani per trasformarlo in casa del loro grande orecchio indagatore, come ha gridato lo spezzone del corteo dei NO.Muos .
I più anziani tra noi sabato pomeriggio si sono commossi. Non certo per i lacrimogeni che non ci sono stati, ma ripensando che proprio una manifestazione come questa, nel 1969 aveva dato vita con primo sciopero generale sulla casa a un movimento capace di togliere dalle città l’infamia delle abitazioni precarie (baracche), aprire una stagione di edilizia popolare, a parlare di abitare prima di parlare di costruire.
Siamo stati capaci, allora, di rompere l’assedio del “blocco edilizio” riusciremo, oggi, a fare altrettanto con quello del blocco “ finanziario immobiliare”.

* urbanista, Roma

(foto di Patrizia Cortellessa)

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