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Grandi opere inutili. Il caso dell’autostrada Pontina

L’inutilità e la costosità di tante “grandi opere” volute, imposte e finanziate da governi e poteri forti. Stavolta a dirlo non sono solo i comitati che si battono contro le devastazioni ambientali dei territori ma l’Istituto Nazionale di Urbanistica. Non è solo il caso della Tav in Val di Susa. La vicenda emblematica dell’Autostrada Roma-Latina. Qui di seguito l’analisi dell’Inu segnalataci dal Comitato No Corridoio.

 

Autostrada Pontina, l’Inu: “Un progetto gravemente sbagliato e senza pianificazione”

Sulla recente approvazione da parte del CIPE del progetto di autostrada Pontina, l’INU Lazio ritiene importante esprimere una propria valutazione. Già la sezione se ne occupò nel 2006 e con esiti positivi: la giunta regionale, anche grazie alla nostra pressione, modificò radicalmente il precedente progetto della giunta Storace su un’area completamente nuova prevedendo invece la prevalente sovrapposizione del nuovo percorso all’attuale (quindi con ridotto consumo di suolo e impatto ambientale) e il contestuale potenziamento della linea ferroviaria regionale da S. Palomba a Pomezia attraverso una connessione, in parallelo con la nuova autostrada pontina, con la linea FR1 verso l’aeroporto di Fiumicino (con nodo di scambio a Vitinia con la metro Roma Ostia). 

Ora il progetto approvato dal CIPE e che va in gara per tratte, prevede soltanto l’autostrada, da Latina alla A12, insieme alla Cisterna – Valmontone e ad altre opere di viabilità minore per le connessioni locali. Non prevede alcun prolungamento né potenziamento delle linee del ferro.

La maggiore efficienza del sistema della mobilità autostradale produrrà, in assenza di un incremento di competitività del sistema di trasporto su ferro, un incremento del traffico di auto verso Roma. La quota dell’attuale traffico sulla Pontina è diretta, nelle stime attuali di Roma Capitale, per l’81% verso Roma. Il restante 19% è diretto sul GRA, per metà ad est e per metà ad ovest. Il 10% diretto ad ovest si stima prosegua per metà (5%) sul GRA e per metà (restante 5%) si diriga verso la A12 per Fiumicino/Civitavecchia. La realizzazione del collegamento diretto con la A12 (con impatti ambientali devastanti – parco litorale, parco decima malafede, contiguità con l’abitato di Tor de’ Cenci) non porterebbe dunque alleggerimenti sostanziali nel traffico in entrata su Roma (meno 5% e più precisamente sul GRA), che anzi in valori assoluti dovrebbe aumentare vista la maggiore portata della nuova autostrada e l’assenza di alternative. Questo collegamento sembra invece rimandare al progetto presentato recentemente da Anas, e non approvato dalla Provincia di Roma, della bretella di collegamento A1 – A12, il cosiddetto raccordo anulare bis. La sua realizzazione, che produrrebbe effetti anch’essi devastanti sull’ambiente e sull’assetto complessivo della mobilità, del tutto fuori da qualsiasi pianificazione della mobilità regionale, troverebbe e darebbe una giustificazione aggiuntiva all’esistenza del collegamento RomaLatina – A12.

Ancora una volta quindi, in nome delle messa in sicurezza, si apre uno scenario tutto orientato a privilegiare il trasporto su gomma. Se l’obiettivo fosse stato quello di non aumentare il traffico degli autoveicoli, dirottando il previsto incremento di spostamenti sul ferro, l’obiettivo della messa in sicurezza si sarebbe potuto risolvere anche mantenendo l’attuale configurazione a due corsie per senso di marcia della via Pontina, aggiungendo la corsia di emergenza e riducendo la velocità massima consentita con controlli sistematici. Con costi quindi enormemente inferiori, spostando le risorse sul potenziamento appunto del ferro.

Visto in questo quadro, il problema della Via Pontina non riguarda evidentemente solo la pericolosità e il sovraccarico di traffico di una strada importante del Lazio meridionale. Bensì il futuro dell’intero territorio regionale, lo sviluppo della sua economia e la qualità del suo ambiente.

Osserviamo di nuovo come decisioni di questa portata, che riguardano il futuro di tutti, vengano prese senza una pianificazione territoriale matura e condivisa. Per valutare in maniera consapevole fra le differenti soluzioni alternative bisogna avere chiari i problemi che si vogliono risolvere e avere strumenti e procedure di valutazione adeguati. E questo è il compito di una pianificazione, aperta e trasparente, scientificamente fondata e socialmente condivisa. Senza queste condizioni fondamentali c’è un problema di democrazia, perché una democrazia effettiva deve essere informata e partecipata. La Regione Lazio si è ora impegnata alla redazione del nuovo Piano Regionale della mobilità, dei trasporti e della logistica entro pochi mesi, ma intanto l’avvio della realizzazione della Roma – Latina si presenta come una precondizione pesantissima, al di fuori di ogni valutazione globale (la Cisterna – Valmontone, altro percorso compreso nelle opere approvate dal CIPE, è almeno coerente con i precedenti atti pianificatori).

Dietro questa vicenda manca la pianificazione. La giunta Marrazzo ha adottato nel 2006 le linee guida per la redazione di un nuovo Piano regionale della mobilità, dei trasporti e della logistica, che prevedevano, fra gli altri obiettivi, il trasferimento verso la modalità ferroviaria del trasporto di persone e merci. Ma alle linee guida non ha fatto seguito niente. La nostra Regione non deve più prendere una decisione del genere senza un quadro chiaro dell’articolazione della domanda di mobilità e trasporto, delle relazioni territoriali che vuole sostenere per ridurre il peso dell’area romana sul proprio territorio, e di come queste relazioni possono dare un contributo decisivo ad orientare la propria economia verso la sostenibilità, la qualità ambientale, la riduzione dei consumi di energia.

Per questo ci aspettiamo un serio rilancio della pianificazione territoriale e del piano regionale della mobilità, associati ad una programmazione integrata. Per dare risposta alle molte questioni irrisolte. Ad esempio:

– se si punta alla sostenibilità, in che modo la regione intende invertire progressivamente la proporzione degli investimenti fra ferro e gomma a favore del ferro, investendo subito e di più sull’intermodalità?

– in che modo si riuscirà a fare delle infrastrutture uno strumento di riequilibrio territoriale? E’ pensabile ad esempio che si possa ridurre la dipendenza della regione da Roma usando le infrastrutture (e quali infrastrutture) per facilitare lo spostamento verso il territorio regionale di funzioni importanti che oggi sono concentrate nella capitale? Invece di rincorrere con le infrastrutture la tendenza alla ulteriore concentrazione di funzioni nell’area romana? E quale combinazione di politiche è necessario promuovere per questo?

Chiediamo ai decisori pubblici di non aggirare questi interrogativi, ma di impegnarsi, prima di prendere una decisione così rilevante come quella approvata dal CIPE, per una seria pianificazione e programmazione regionale, che sappia coniugare le scelte infrastrutturali con quelle insediative, ambientali ed economiche, con le risorse disponibili e che sia effettivamente partecipata e condivisa.

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