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L’Unione Europea? “Si abbatte e non si cambia”

“Fuori dall’Unione Europea. Una proposta politica per il cambiamento”, è questo il tema del Forum Euromediterraneo che la Rete dei Comunisti organizza a Roma il prossimo 30 novembre-1 dicembre per discutere insieme con attivisti e studiosi spagnoli, greci, portoghesi e non solo, intorno ad una ipotesi “generale” di rottura e cambiamento per i settori popolari nei paesi Pigs e del Mediterraneo sud.

Qui di seguito il documento preparatorio di convocazione del forum:

FUORI DALL’UNIONE EUROPEA. Una proposta politica per il cambiamento

Forum Euromediterraneo, Roma 30 Novembre – 1 Dicembre 2013 (ore 10.30,ex Mattatoio, via Monte Testaccio 22) promosso dalla Rete dei Comunisti

Le nostre tesi storiche e politiche

a) Un nuovo polo imperialista

La costruzione dell’Unione Europea è indubbiamente un evento storico per il mondo e per la storia del continente anche se i caratteri che ha assunto fin dall’inizio negli anni ’90 sono stati  quelli di una area capitalistica competitiva a livello internazionale. Non a caso il terreno su cui cementare la prospettiva unitaria è stato quello monetario con la nascita dell’Euro quale moneta di riserva internazionale ed in diretta concorrenza con il Dollaro statunitense. Dunque l’Unione Europea, a differenza di come viene dipinta, è un elemento di instabilità internazionale come aveva detto già negli anni ’90 il falco americano Martin Feldstein preconizzando rischi di guerra mondiale.

Con sicurezza a tutt’oggi possiamo dire che questa unione sta destabilizzando gli assetti economici e sociali interni ai paesi che vi partecipano. Sono in corso forti processi di concentrazione e centralizzazione delle imprese assurte ad una dimensione sovrannazionale e conseguenti processi di ristrutturazione, viene ridimensionato dappertutto lo Stato Sociale, viene ridotto il potere contrattuale del lavoro dipendente e subordinato aumentando lo stato di precarietà occupazionale soprattutto per i settori giovanili, insomma vengono applicate sempre più rigidamente le leggi dello Modo di Produzione Capitalista che si basa sullo sfruttamento.

Questi processi, che vivono su tutto il territorio continentale, non si manifestano in tutti i luoghi con le stesse forme e la stessa intensità; infatti si sta configurando un processo di gerarchizzazione tra i diversi paesi e regioni, classico nelle dinamiche sociali e politiche del capitalismo, dove si afferma la più brutale e forte diseguaglianza. Si sta formando un centro, dove si concentra il potere economico e finanziario, e le periferie dove il disagio sociale aumenta e dove la forza lavoro può essere agevolmente sfruttata e piegata alle esigenze del mercato. Centro e periferie che non seguono necessariamente i confini dei diversi Stati nazionali ma quello delle classi, ovvero siamo di fronte alla costituzione continentale di una borghesia, sommatoria selettiva e dialettica delle diverse borghesie nazionali, e di un proletariato e classi subalterne estremamente diversificati per condizione, reddito, mansione lavorativa e dislocazione territoriale oltre che per storia e cultura.

Quella che si sta creando non è una democrazia che mira al benessere dei popoli che la compongono ma è la costruzione, scientifica e sistematica, di un Polo Imperialista che deve competere a livello internazionale ed ad una dimensione paritaria con gli USA, la Cina, il Giappone ed i molteplici soggetti statuali ed economici che oggi danno vita alla competizione globale.

b) Rompere l’Unione Europea

I settori sociali vittime di questa costruzione, le classi lavoratrici, le sinistre, i comunisti ed i movimenti democratici del continente devono avere ben chiara questa dinamica in quanto una lotta contro l’Unione Europea è la lotta contro la nascita di un nuovo imperialismo che non può che peggiorare la condizione dei propri popoli e di quelli di cui si appresta a fare rapina. L’aggressività verso i popoli del Medio Oriente per rapinare le loro risorse energetiche (concretizzatasi negli interventi militari e nella loro tribalizzazione) come le aggressioni fatte verso i paesi dell’Est dopo la fine dell’URSS (di cui lo smembramento della Jugoslavia ne è l’esempio più eclatante) stanno a testimoniare che la nascita di un nuovo soggetto imperialista non può essere promotore di crescita e benessere ma è funzionale a rapinare le risorse interne ed esterne rese sempre più scarse dalla crisi sistemica che procede dal 2007 nel mondo in funzione dell’accumulazione dei profitti. 

La nascita di questa nuova entità statuale, seppure ancora in via di formazione, è un passaggio storico che non può essere sottovalutato nelle sue conseguenze, ne si può pensare che questo progetto intrinsecamente reazionario possa fallire a causa delle proprie interne contraddizioni. Ancora una volta è necessaria la soggettività politica e la lotta delle classi che sono e saranno penalizzate da un tale sviluppo.

Saranno necessarie le lotte in difesa delle residue tutele del lavoro e di quelle sociali, bisognerà ricostruire l’organizzazione delle classi subalterne per impedire i processi di impoverimento e di sfruttamento che diverranno tanto più forti quanto avanzerà la crisi generale del capitalismo, come pure bisognerà battersi in difesa dei diritti democratici erosi dalla burocrazia comunitaria. Ma costruire tutto questo in modo permanente nel tempo sarà possibile solo se si riuscirà ad individuare una proposta ed una prospettiva di fuoriuscita dall’attuale sviluppo capitalista.   

c) Costruire l’area alternativa Euromediterranea

Il punto di crisi, l’anello debole, della costruzione europea è che questa si può realizzare solo peggiorando le condizioni di vita e dei diritti sociali, politici e democratici di decine e decine di milioni di lavoratori, giovani, donne, immigrati in Europa; e gran parte di queste popolazioni sono concentrate nei paesi euromediterranei, i cosiddetti PIIGS dal Portogallo alla Grecia passando per l’Italia, che stanno pagando a caro prezzo la costruzione della UE. Contrastarla significa partire da queste contraddizioni concrete per bloccare un processo storicamente dannoso.

Questa “faglia” sociale divide nettamente chi guadagna dalla crisi da chi ci rimette in modo drammatico; essa si manifesta a partire dai PIIGS ma già adesso si estende ai paesi dell’Est ed in prospettiva arriva fino ai lavoratori dei paesi centrali più forti del Nord Europa, che per ora sembrano fuori dalla crisi sociale che attanaglia il resto del continente.  

Organizzare socialmente e politicamente il nostro versante della “faglia” sociale descritta è il giusto modo per contrastare questa distorta nuova dimensione Europea; per questo va ipotizzato e avviato un processo di organizzazione e di alleanze sociali che abbia un carattere sovrannazionale, che rompa l’Unione Europea e che costruisca quel Blocco Sociale Antagonista in grado di materializzare questa prospettiva. Un blocco sociale che si ponga l’obiettivo di divenire anche Blocco Storico ovvero una forza reale che sappia progettare non solo il piano della difesa sociale, politica e democratica dei settori di classe e dei suoi alleati obiettivi ma anche su quello dell’attacco per il superamento dell’attuale ed iniquo sistema sociale.

E’ utile qui inquadrare e ritornare su un concetto lasciato ormai da anni nell’oblio che è quello di “Blocco Storico”. Negli anni passati è sempre stato usato quello di “Blocco Sociale” in riferimento al conflitto di classe ed alle ipotesi di rappresentanza politica. Era ed è un uso corretto, ma il termine “Storico” sposta in avanti tutto il ragionamento verso la questione degli assetti sociali complessivi e verso le ipotesi di un loro cambiamento rivoluzionario. Il Blocco Storico presuppone, in ogni tipo di assetto sociale ed oggi nel capitalismo, una propria unità, ma anche una dialettica interna tra le sue diverse componenti; e riguarda sostanzialmente la costruzione dell’organicità, o della non contraddittorietà, tra la Struttura (ovvero la parte economico-produttiva) e le Superstrutture (o “sovrastrutture”, come l’ideologia, l’etica, la religione, la cultura, ecc) all’interno di una Nazione o di uno Stato.

Oggi questa “organicità” nel capitalismo mondializzato si è rotta ed è nelle cose la necessità di individuare il superamento dello stato presente delle cose. Per noi questo significa concretamente  proporre, propagandare e battersi per la costruzione di un’area omogenea, sia sul piano istituzionale che su quello economico e monetario, che veda assieme tutti i paesi del Mediterraneo nel chiamarsi fuori dal condizionamento e ricatto dei poteri forti finanziari, economici e della Eurocrazia ma che vede complice e partecipe anche la parte “vincente” e non berlusconiana della nostra Borghesia nazionale. Una parte di questa borghesia sconfitta ha interesse a rompere con gli assetti dominanti nell’Unione Europea. Per la sua natura sociale ne intravede solo vie d’uscite nazionaliste e conservatrici. Ma è proprio sull’egemonia nel processo di rottura e fuoriuscita che il movimento di classe può e deve giocarsi la partita dei proprio interessi e renderli egemonici su quelli di un settore della borghesia in crisi.

Una proposta che guarda anche agli altri popoli d’Europa ed ai quali dice che la crisi attuale non è il prodotto di incidenti “naturali” ma è stata costruita ad arte per piegare tutta la società al volere della costituenda borghesia continentale. E’, dunque, anche un modello che può parlare alle altre regioni, da quelle dell’Est a quelle centrali, fino a quelle dell’Europa settentrionale, anche in forza della maggiore omogeneità produttiva, sociale, politica e culturale che caratterizza ognuna di queste aree.

d) Per la transizione, verso il Socialismo nel XXI° secolo

L’ipotesi di un’area, di un insieme di paesi, che si stacca dal proprio imperialismo predominante non è certo una novità ed oggi ha il suo riferimento più avanzato nell’esperienza dell’ALBA latinoamericana che ha scelto una strada indipendente dagli USA, nonostante la guerra economica, politica e diplomatica che questi gli fanno. I motivi di questa divaricazione stanno nella storia del quel continente e delle sue relazioni con gli Stati Uniti i quali hanno considerato quei paesi il loro cortile di casa e conseguentemente lo hanno sfruttato e brutalmente represso ogni volta che lo hanno ritenuto necessario. La rottura con gli USA non è limitata ad essere solo politica ma è divenuta anche una rottura con quel modello sociale, con il capitalismo. E’, dunque, stato necessario  individuare una prospettiva che ora si può chiamare socialismo del XXI° secolo e che recupera storicamente una alternativa sociale che sembrava finita con l’URSS.

Pezzi importanti dell’Europa ora vivono questa stessa condizione di sfruttamento che peggiorerà con l’avanzare della crisi e dunque si affaccia anche da noi l’esigenza obiettiva di separare i destini di chi viene subordinato dalle esigenze del capitale che vuole distruggere tutte le conquiste sociali, politiche e di civiltà fatte dalle generazioni precedenti. Certamente se l’esigenza politica è la stessa le condizioni sono diverse e, ad esempio, le risorse naturali a disposizione dei paesi latino americani da noi non sono disponibili; ma nei nostri paesi abbiamo altre risorse che sono quelle di possedere un livello avanzato sul piano scientifico e produttivo ed i paesi PIIGS, soprattutto in Italia, non sono certamente sprovvisti di queste qualità e potenzialità. Non è stato certo un caso che nel subordinare il nostro paese alla dimensione continentale la Scuola, l’Università e la Ricerca sono state sistematicamente distrutte, equanimemente dai governi di centrodestra e di centrosinistra, come non è un caso che una serie di imprese di punta e competitive sono state svendute a privati ed a imprese estere dentro una logica di divisione internazionale del lavoro che vede il ruolo dell’Italia e degli altri paesi del Mediterraneo soprattutto come fornitori di manodopera qualificata e collocata nella periferia produttiva interna alla UE. 

Reclamare la propria indipendenza dal progetto della Unione Europea non solo è una affermazione dei diritti dei popoli ma è anche una possibilità di crescita economica e sociale; non è vero che non c’è alternativa al capitalismo occidentale, infatti un cambiamento come quello proposto permette un rapporto diretto e più libero con le uniche aree che oggi crescono sul piano internazionale, i cosiddetti paesi emergenti. Ma anche con le potenzialità che possiede la sponda sud del Mediterraneo compressa dall’intervento anche militare degli USA ma soprattutto della UE. Rompere questo progetto di dominio eurocentrico significa candidarsi ad un rapporto privilegiato con aree economiche e paesi che possono effettivamente crescere nei prossimi decenni, trovare un ruolo internazionale fuori dalla gabbia del capitale europeo ma anche una opportunità internazionalista in quanto la sconfitta dei paesi imperialisti dominanti non può che passare attraverso l’individuazione di un modello sociale e produttivo alternativo che possiamo definire come Socialismo del XXI° secolo.   

Su questo punto bisogna essere molto chiari, infatti questa ripresa della marcia verso il Socialismo e la transizione, per il superamento del capitalismo, forse non è quello che ci saremmo aspettati o che avremmo voluto; questa ripresa vede l’intreccio tra elementi di socialismo e meccanismi economici intrisi ancora da una logica capitalista. La garanzia del superamento di questa non può essere meccanicamente garantita da nessuno e dunque sarà decisivo l’impegno, la lotta e la soggettività delle classi subalterne. Ma aver individuato una ripresa del movimento di classe a livello internazionale e una ipotesi di sviluppo del socialismo possibile è indubbiamente una opportunità che la situazione ci offre e che va colta inserendosi dentro questo, per ora lento, fiume della Storia.

Le nostre tesi economiche e sociali

a) La crisi è sistemica

Quando si scatena la crisi dei subprime negli USA, volutamente viene evidenziata come crollo di carattere finanziario per lo scoppio delle bolle speculative immobiliari e finanziarie; ma è semplicemente la punta dell’iceberg che evidenzia un blocco dell’economia reale nei processi stessi dell’accumulazione, cioè sono questi stessi meccanismi che permettono la crescita capitalistica che si sono inceppati già dai primi anni ’70 e che dimostrano che la crisi è sistemica e irreversibile. La difficoltà di riattivare  un nuovo e profittevole modello di accumulazione rende questa crisi unica, mettendo in seria discussione lo stesso modo di produzione capitalistico, è per questo che ormai da vent’anni la identifichiamo come di carattere sistemico.

 

Gli intensi processi di competizione globale dell’economia a livello mondiale hanno portato la Germania a costruire un polo geoeconomico a carattere imperialista con un asse privilegiato verso la Francia ma rivolgendosi a tutte le borghesie europee in maniera differenziata in funzione del ruolo assegnato ad ogni singolo paese nella nuova divisione internazionale del lavoro; questo per cercare una ipotetica soluzione ai problemi della concorrenza internazionale con la costruzione di un’area economica e monetaria incentrata sull’esigenza esportatrice del modello tedesco.

La costruzione dell’Europolo imperialista, basata sui parametri di Maastricht, altro non rappresenta che la definizione di uno scenario di un confronto aperto e da protagonisti a quella economia globalizzata che misura lo scontro per la definizione delle aree di influenza e di dominio delle tre ipotesi liberiste: quella statunitense o meglio anglosassone, quella  incentrata sulla variabile asiatica e quella dell’Eurozona guidata dall’asse tedesco-francese.

L’Eurozona così concepita controlla le variabili del patto di stabilità, in quanto la sua crescita è incentrata sull’export e perché necessita il deficit dei paesi europei dell’area mediterranea, i cosiddetti PIIGS (Portogallo, Italia, Grecia , Spagna, considerando anche se oggi in maniera difforme l’Irlanda), compresa anche la Francia, in funzione delle necessità relative al rilancio del processo di accumulazione del polo imperialista europeo .

b)  Unione Europea e nuova divisione internazionale del lavoro

E’in considerazione di quanto scritto in precedenza che va interpretata l’azione dell’Unione Europea, che non dotata ancora di una autonoma capacità politica, impone ai paesi deficitari le stesse regole dei piani di aggiustamento strutturale che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha applicato negli ultimi 30 anni per fare “strozzinaggio” sui paesi sud-americani e condizionarne le modalità di sviluppo, facendo così giocare ora in Europa come allora in America Latina, un ruolo centrale alle regole della Banca Mondiale oltre a quelle del FMI ( e nelle attuali dinamiche europee, alla Troika,  e cioè Commissione Europea, FMI, BCE) .

L’acutizzarsi della crisi del debito degli Stati dell’Unione Europea ha fatto sì che si mettesse mano ai bilanci imponendo un continuo attacco all’economia pubblica e ai salari e diritti dei lavoratori  dipendenti, tagli alla spesa sociale allo scopo di sostenere le banche e le speculazioni dei privati. La caratteristica di questa fase è in ultima sintesi quella  del trasferimento  consistente  di ricchezza da una parte all’altra nelle società europee.

L’euro è servito per rinforzare i padroni esportatori dell’Eurozona e per indebolire la posizione commerciale e subordinare la dinamica di accumulazione nei paesi periferici del Mediterraneo alla divisione internazionale del lavoro imposta dai paesi centrali; in tal modo Portogallo, Italia, Grecia e Spagna (PIIGS con l’aggiunta dell’Irlanda) si convertono sempre più in riserve di servizi turistici e residenziali, o di servizi generali alle imprese, sottomessi ad un processo di deindustrializzazione più o meno accelerato.

Una via europea che in nome di un mal figurato progresso, di un liberismo sempre più selvaggio, si apre all’incontro-scontro con l’economia mondiale lasciando un sempre maggior numero di persone senza protezione, nella miseria, aumentando le diseguaglianze economico-sociali nel nome della gigantesca mistificazione europea.

La nuova divisione internazionale del lavoro va ad assegnare ai paesi dell’Eurozona mediterranea il ruolo di importatori ed erogatori di servizi, delocalizzando il proprio sistema industriale verso i paesi dell’Est europeo per risparmiare molto sul costo del lavoro, avendo al contempo  una manodopera specializzata. E’ evidente che con le privatizzazioni, con l’attacco al costo del lavoro, al sistema del Welfare, ai diritti, con  la finanziarizzazione dell’economia, hanno cercato di fuoriuscire o almeno di coprire la crisi internazionale del capitale che si porta dietro il carattere della strutturalità e sistemicità.

c)  Fuori dalle compatibilità del capitale: la soluzione è politica

Per questo non si può avere una uscita dalla crisi che non pregiudichi sempre più i lavoratori senza modificare le regole del sistema monetario e finanziario vigente. La politica dell’austerità non è una soluzione, perché come segnalano molti analisti, la riduzione degli investimenti riduce l’accumulazione a lungo termine, e la riduzione del consumo pubblico restringe la domanda globale, e pertanto la crescita quantitativa a breve termine, al punto che l’aumento della disoccupazione e la chiusura delle imprese riducono la base impositiva fiscale e il problema del deficit, lontano dal correggersi, si aggrava. La politica di aggiustamento pertanto persegue il solo scopo di risolvere il problema di liquidità nel quale è caduta la Banca europea, mediante un trasferimento massiccio di redditi dai lavoratori al capitale, per via diretta con l’attacco contro le condizioni di lavoro e il salario, e per via indiretta con la riduzione dei trasferimenti sociali.

L’idea di abbandonare l’Unione Economica e Monetaria della UE (UEM) e tornare alle monete nazionali del passato non può neppure questa essere considerata un’alternativa per i Paesi della periferia europea mediterranea, poiché la debolezza estrema di un’eventuale moneta nazionale di fronte al capitale finanziario globale non permetterebbe una regolazione efficace del ciclo e del cambio strutturale in questi Paesi. Quindi è la stessa costruzione dell’Europolo che è in crisi e non hanno a disposizione strumenti economici efficaci per far fronte  alla crisi che ormai anche organismi internazionali identificano come sistemica.

Per ribaltare la logica economico-finanziaria imperialista è assolutamente necessario un cambiamento radicale socioculturale (quello che in termini gramsciani si chiama un cambio di egemonia che modifichi il senso comune), che inverta le relazioni causali tra l’economia e la politica, come già si sta sperimentando, ad esempio nei paesi dell’area dell’ALBA (Alleanza Bolivariana per i popoli di Nuestra America) dove i movimenti sociali, gli operai,gli indios, i contadini, i minatori, gli sfruttati tutti ,hanno determinato nuove forme di economia plurale e solidale attraverso lo strumento politico della democrazia partecipativa sui percorsi della transizione al socialismo.

d) Uscire dall’Eurozona, costruire l’ALBA Mediterranea

Rimane pertanto alle organizzazioni indipendenti di classe dei lavoratori di porsi da subito su un terreno di radicalità conflittuale che sappia rispondere a  domande che hanno una forte valenza politica che si impone con superiorità rispetto a qualsiasi scelta economica.

Uscire dall’euro proponendo una nuova moneta per Paesi con strutture produttive più o meno simili, sarebbe una alternativa realizzabile?

Ciò permetterebbe di mantenere un margine di negoziazione con le istituzione comunitarie e con la Banca Centrale Europea?

Si può creare un nuovo blocco politico istituzionale capace di realizzare un modello di accumulazione favorevole ai lavoratori e quindi nell’ambito di una soluzione tutta politica sul terreno strategico del socialismo?

Noi pensiamo che l’uscita dall’euro dovrebbe realizzarsi in forma concertata, in primo luogo tra i paesi della periferia euromediterranea con quattro momenti intimamente relazionati senza i quali tale processo potrebbe risultare un disastro per tutti.

I quattro momenti-elementi sono:

1)      Uscita dall’Europolo e determinazione di una nuova moneta comune all’Europa mediterranea (a titolo esemplificativo potremmo chiamare questa moneta “LIBERA”, cioè una moneta appunto libera dai vincoli monetari imposti nella costruzione dell’euro). L’uscita dall’euro, dall’Eurozona o Europolo, è un’opzione e un passo verso la soluzione dei gravi squilibri strutturali delle economie periferiche, che non sono semplicemente squilibri finanziari ma son innanzitutto legate allo stesso  carattere del sistema produttivo: una struttura di base industriale in declino, un uso eccessivo e inefficiente enorme del sostenimento attraverso fondi pubblici, una concentrazione scandalosa di ricchezza e di patrimonio.

 

2)      La rideterminazione del debito nella nuova moneta dell’area periferica  (a titolo esemplificativo tale area la potremmo chiamare ALIAS. – Area Libera per l’Interscambio Alternativo Solidale) relazionata al cambio ufficiale che si stabilisce.

3)      Il rifiuto e azzeramento almeno di una parte consistente del debito, a partire da quello con le banche e le istituzioni finanziarie, e l’imposizione di una rinegoziazione dello stesso residuo Con il non pagamento del debito pubblico è quindi il sistema bancario – finanziario che bisogna aggredire e danneggiare nei suoi interessi economici e politici, in tal modo si possono di conseguenza favorire gli investimenti in beni comuni, in servizi sociali, in nazionalizzazioni delle imprese dei settori strategici, aumentando di conseguenza i salari diretti, indiretti e differiti.

 

4) La nazionalizzazione delle banche e la stretta regolazione ,incluso la proibizione (momentanea) della fuoriuscita dei capitali dall’area stessa, e la nazionalizzazione dei settori strategici (energia, trasporti, telecomunicazioni,ecc.).

La capacità di resistenza e negoziazione è molto maggiore se realizzata congiuntamente, in particolare se ci si è rafforzati strutturalmente con la nazionalizzazione delle banche e dei settori strategici. La nazionalizzazione di tali settori dovrebbe permettere di realizzare utilità attraverso usi sociali così come l’ampliamento intenso dell’accesso ai sistemi di comunicazione ed energia in particolare per quelle fasce più povere della popolazione locale e per i Paesi alleati della nuova area ALIAS in una pratica di una nuova strategia di sviluppo globale solidale, con una ripresa del protagonismo di classe che sappia aprire con le lotte vertenze su riforme strutturali che sappiano creare organizzazione di classe.

Tutti questi  momenti-elementi si devono però realizzare simultaneamente, per evitare la decapitalizzazione dell’intera regione periferica e per assumere un controllo adeguato sulle risorse disponibili per gli investimenti a  carattere sociale, con un ruolo prioritario degli interessi dei lavoratori dipendenti e con un rilancio di una efficiente economia pubblica.

Pertanto risulta imprescindibile per l’affermazione di una nuova moneta e di una politica orientata in favore dei lavoratori, contare su una nuova area fuori dalle regole dell’Europolo, uno spazio produttivo nel quale si possa stabilire una nuova divisione del lavoro basata sui principi di uno sviluppo sociale collettivo solidale, complementare e un benessere qualitativo.

E’ ovvio, quindi, che tale proposta da credibile diventa realizzabile concretamente rilanciando il protagonismo nelle lotte dei lavoratori europei, ristabilendo la supremazia della politica sull’economia, trasformando così la crisi dell’Europolo in una forte ripresa di iniziativa del sindacalismo indipendente di classe; così anche nei processi di lotta su obiettivi tattici ( riduzione orario di lavoro, lavoro a pieno salario e pieni diritti, Reddito Sociale, edilizia pubblica residenziale, tassazione dei capitali, ecc)  si vanno accumulando forze nel conflitto sociale e sedimentando organizzazione di classe a partire da lotte rivendicative per riforme strutturali.

Ciò deve necessariamente essere accompagnato dall’idea forte che solo una soggettività politica di classe complessiva che si muova su un percorso di superamento del modo di produzione capitalista, quindi sull’orizzonte e con la pratica rivoluzionaria per il socialismo come sta  realizzando l’alternativa bolivariana dell’ALBA nel Socialismo per il XXI Secolo, può costituire  uno strumento valido per  le nuove sfide  che il sempre più aspro conflitto capitale-lavoro richiede in Europa.

Cogliere la dinamica che parte dalle contraddizioni dell’imperialismo oggi e che prospetta un suo superamento da parte delle soggettività di classe è una strada che la Rete dei Comunisti intende indagare, proporre, percorrere .Su questo chiama al confronto Sabato 30 Novembre dalle ore 10.30 e Domenica 1 Dicembre presso la Casa della Pace, a Roma in Via di Monte Testaccio 22.

Rete dei Comunisti

www.retedeicomunisti.org 

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