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Appunti per “rileggere Marx”

Lo scopo di questa raccolta di scritti è mostrare l’attualità – in un’accezione non negativa del termine – della riflessione marxiana, qui esemplificata con la sua opera maggiore, Das Kapital. In sostanza mi sembra che questo si debba dire: il pensiero di Marx ha legami profondi con la parte più viva, dinamica e consapevole della cultura moderna, di quella cultura, cioè, che definisce lo “spirito” del nostro tempo. In questo senso, attraverso Marx (anche attraverso Marx) giungiamo alla consapevolezza di noi stessi, della problematica e delle alternative, che son proprie della nostra vita attuale (appunto!). Il che naturalmente non nega la possibilità di un giudizio anche negativo della riflessione marxiana, ma dice che una tale critica è legittimata solo da una critica più vasta e radicale, che investa una parte sostanziale della coscienza moderna: per dirla con un apparente paradosso non basta mostrare che questa o quella tesi economico-sociale, elaborata da Marx, non ha trovato riscontro nello svolgersi effettivo dei fatti, perché l’autentico problema è mostrare l’inadeguatezza della angolatura etico-epistemologica (filosofica, insomma), entro cui Marx si colloca e che costituisce il retroterra delle analisi, che egli compie e delle soluzioni che prospetta.

 

Nel titolo della mia ricerca c’è il termine “Appunti”: perché? Ma perché piuttosto che l’analisi puntuale di specifiche questioni, ciò che mi preme è indicare una problematica, che Marx raccoglie da quel più ampio filone culturale, di cui ho detto sopra e che, certamente, ha in Hegel un momento decisivo.

Un disegno generale.

1 – Das Kapital è opera dialettica, in quanto intende mostrare l’essenza della kapitalistische Produktionsweise (modo capitalistico di produzione; d’ora in avanti KPW), facendo risaltare quel regolato gioco di forze e contro-forze, su cui appunto essa si costruisce. Insomma, si tratta di un’opera, per la quale l’essenza si identifica con la legge (Gesetz) di movimento ‘della cosa stessa’. In tutto ciò è implicito che ‘la cosa stessa’ sia un insieme non casuale di piani e livelli, per cui la dimensione propriamente e specificamente economica esiste ed opera entro un complesso politico, sociale e culturale, che per altro la influenza e la plasma anche così come ne è esso stesso plasmato.

Ciò che mi preme sottolineare è che se non ha senso, in una prospettiva dialettica come quella di Marx, concepire l’economico come un livello d’esperienza a se stante e, nella sostanza, indifferente agli altri livelli dell’esperienza sociale, tuttavia questo non impedisce che, per motivi ermeneutici, si possano descrivere processi limitatamente economici, senza esplicitarne le relazioni con la totalità sociale, di cui son parte.

Ciò che conta è che, quando si proceda in questo modo ‘astratto’, si abbia consapevolezza che la realtà effettiva astratta non è e che, dunque, il processo specificamente economico non vive di fatto, se non nell’intreccio con la formazione sociale nel suo complesso.

‘Legge della cosa stessa’, dunque, movimento, diacronia, la quale, però, sottende una regola appunto: ciò è vero non solo relativamente al muoversi dei fatti, degli stati di cose, ma anche per la coscienza, che se ne ha.

Come osservava Leopardi (cf. Tutte le opere, vol.2: 222, Mondatori 1968) la verità coesiste con l’errore e, dunque, il processo di ricerca della verità, implica sempre l’esistenza effettiva dell’errore: per dirla con Hegel, la ricerca della verità è una Befreiung, un processo di liberazione, che avviene nel costante corpo a corpo con l’errore; si potrebbe affermare che la verità, in qualche misura coesiste con l’errore, almeno nel senso che quest’ultimo ne è lo sfondo imprescindibile, da cui la verità può emergere, e questa Befreiung non è solo un processo teoretico, conoscitivo, ma anche di effettiva modifica dello stato di fatto esistente e di creazione di una nuova situazione obiettiva. I due lati dell’hegeliana Befreiung – vale a dire l’implicarsi di livello teoretico e di processo di trasformazione reale – son propri della concezione dialettica del concetto e, dunque, lo si ritrova, quell’intrecciarsi, anche nella dialettica marxiana, per la quale il concetto di merce, ad es., non solo dice una struttura logico-storica, ma anche consente la deduzione delle determinazioni, mostrando così il proprio carattere strutturale e genetico (cf. E.V.Il’enkov, La dialettica dell’astratto e del concreto nel Capitale di Marx, Feltrinelli 1961).

In questa prospettiva va inteso anche l’indubbio legame dell’elaborazione marxiana con la tradizione della riflessione economica il che, per altro, contribuisce a spiegare quelle pagine di Das Kapital che, a tutta prima, appaiono astrattamente economiche: Marx deve porsi anche a questo livello per mostrare l’errore dell’economista.

Per chiarire ulteriormente le implicazioni della prospettiva dialettica, nella quale Marx si colloca, torniamo alla nozione di merce, com’è tematizzata nel primo libro di Das Kapital.

L’analisi mostra che la merce è cosa contorta (vertracktes Ding), è una sofisticheria metafisica (metaphysischer Spitzfindigkeit), è un capriccio teologico (theologischer Mucken); finché è considerata in quanto valore d’uso, nella merce non c’è nulla di misterioso. E’ chiaro che l’uomo mediante la sua attività muta le forme della materia in un modo, che gli è utile. (v. Das kapital. I, Berlin 1970: 85). Eppure in questo giudizio – sottolinea Il’enkov – si esprime qualcosa di molto più significativo di una semplice evidenza. “In polemica con i critici borghesi del Capitale Marx… era costretto a sottolineare che nelle prime sezioni del suo libro si sottopone ad analisi non il concetto di merce, ma la concretezza economica più semplice, la relazione delle merci, un fatto reale sensibile, non un’astrazione esistente nella mente.” (Il’enkov, op. cit.: 36) “L’universalità della categoria del valore è … la caratteristica non solo e non tanto del concetto, dell’astrazione mentale, quanto piuttosto della funzione oggettiva che la forma della merce svolge nel processo di sviluppo del capitalismo.” (Il’enkov, ivi).

Dunque, l’analisi marxiana, proprio perché dialettica, distingue due livelli del reale: quello immediato del presentarsi sensibile (l’Erscheinung) e quello dell’essenza, del concetto, della regola, ovvero di ciò che consente la diacronia e la sincronia della Wirklichkeit, della realtà esistente, del Dasein. Ma da questo livello d’analisi, Marx perviene a quello del Gesetz, dell’essenza e così non si limita a cogliere (fassen) ciò, che immediatamente si mostra, ma perviene piuttosto a comprenderne il concetto (begreifen) e con questo a dedurre le determinazioni reali dell’oggetto in questione.

Generalmente il pensiero economico borghese – ovviamente, con l’importante eccezione d D. Ricardo – limita il proprio orizzonte all’immediatezza del movimento economico ed anche Marx deve farlo, per mostrare le contraddizioni non superabili, che derivano da quel confinarsi.

La prospettiva dialettica è strettamente congiunta ad un atteggiamento, che è tipico del Sette-Ottocento: ovvero il costruirsi di una coscienza filosofica, basata sulla convinzione che la storia sia una Bildungsgeschichte, un processo di formazione culturale o di educazione, e che, dunque, le tappe che esso percorre siano altrettanti momenti, in cui tra l’altro si vanno sciogliendo i limiti metafisici della realtà umana, che in vero l’uomo stesso si è costruito per render conto della propria impotenza, inerzia e passività.

Come si legge in H. H. Holz, Einheit und Widerspruch, Metzler 1997, I: 38, “la storiografia filosofica, che riflette da un punto di vista storico-filosofico, in seguito alle lezioni di Schelling, di Hegel e di Feuerbach, segue questo modello interpretativo: il passato è vivo qual che sia il presente…, in ogni tempo l’uomo è il risultato della storia del suo genere e l’unità intensionale delle forze, materiali e culturali (del genere) divengono efficaci nell’uomo. L’intero passato è condizione e momento del presente; l’unità dell’esser divenuto e del cambiamento, della tradizione e della sua interruzione definiscono una cultura nella sua particolarità storica”.

Nel suo Pour Marx, Paris 1965: 37, così L. Althusser descrive il tono dell’opera di Feuerbach: “Il tempo è arrivato. L’umanità è gravida di una rivoluzione imminente, che la renderà signora di se stessa. Che gli uomini ne prendano finalmente coscienza e diverranno nella realtà ciò che sono in verità: esseri liberi, uguali e fraterni”.

Queste espressioni possono essere riferite, in realtà, non solo a Feuerbach, ma alla parte dominante del pensiero dell’Ottocento (o, almeno, del primo Ottocento). Valga, per tutti, il giudizio che Hegel dà sul proprio tempo nella Prefazione alla sua Fenomenologia: “… non è difficile vedere che il nostro è un tempo di passaggio e della nascita di una nuova epoca. Lo spirito ha rotto col mondo precedente del suo esserci e della sua rappresentazione e sta per cacciare tutto ciò nel passato; nello stesso tempo, lo spirito è impegnato nell’attività di una sua riformazione. Dunque, lo spirito non è in pace, ma sempre preso in un movimento che si sviluppa. Ma come, nel caso di un bambino, dopo un lungo e tacito nutrimento, il primo respiro, come un salto qualitativo, interrompe la gradualità dello sviluppo solo quantitativo ed, ora, il bambino è nato; così matura lentamente lo spirito, che si forma e, silenziosa, la nuova configurazione scaturisce, dissolve – particella dopo particella – la costruzione del suo mondo precedente, il suo vacillare è significato solo da singoli sintomi; la spensieratezza come la noia, che si diffondono in ciò che persiste, il sospetto indeterminato di un che di sconosciuto, sono segni anticipatori che qualcosa di nuovo è in marcia. Questo rompersi mano a mano, che non modifica la fisionomica dell’insieme, viene interrotto dall’apparizione, dal lampo, che in una volta sola instaura il nuovo mondo.” Notiamo a questo punto che l’uomo libero, nel senso di Hegel, è l’uomo che si riconosce nel ruolo di microcosmo, di particolare riproduzione in micro dello spirito. L’uomo dell’Ottocento ha il coraggio di chiedersi qual è il senso della storia, qual è il suo posto, nella storia.

Seppure è vero che il senso del marxiano Das Kapital risulterebbe incomprensibile, se non lo si ponesse in relazione con la tradizione della riflessione economica, è altrettanto vero che, rispetto a quella tradizione, l’opera marxiana segna un momento di rottura e non solo per tesi e soluzioni, che rispetto a quella tradizione lo differenziano, ma, più a fondo, per il suo impianto teorico e metodologico. Questa soluzione di continuità è riconosciuta anche da studiosi del pensiero economico, che si pongono in sostanziale dissonanza rispetto allo scritto marxiano: valga per tutti quanto scrive L. Kramm, nel suo Politische Ökonomie, pubblicato a Monaco nel 1979, quando afferma che il modo marxista di porre problemi va rifiutato come insufficiente, poiché non coglie, o lo fa solo parzialmente, tutta una serie di questioni, e per questo finisce col porsi interrogativi, a cui un Nationaloekonom non è affatto interessato (v. Kramm, op. cit. : 36).

E’ questa una questione, su cui torneremo largamente; per ora ci basti notare quanto Marx abbia, in merito al suo rapporto con la tradizione economica, una rappresentazione più articolata e mossa, se la confrontiamo con quanto in proposito scrive Kramm.

Come ha sottolineato Il’enkov (op. cit.: 37), secondo Marx l’economia politica, a cominciare da Petty, si pone correttamente sulla strada non della comprensione del senso/significato – cioè, dell’uso – del termine ‘valore’, ma sì della scoperta del suo concetto: il che significa che per quanto l’economia politica circoscriva il suo orizzonte all’evidenza immediata dello scambio mercantile, tuttavia dà prova anche di una sensibilità scientifica più raffinata, tentando, appunto, di porsi non solo sul piano dell’Erscheinung ma sì anche su quello del concetto o Begriff e, dunque, della comprensione effettiva del movimento economico, dello scambio mercantile.

La necessità non solo di distinguere livello immediato del processo economico e suo concetto, ma anche di articolare questi due piani, di coglierne la relazione non casuale, è il motivo sotteso alla pagina marxiana, di cui stiamo per occuparci (ovviamente, se ne potrebbero scegliere altre – come ci capiterà di fare in seguito – , ma per ora valga questa pagina, come esemplificazione della procedura marxiana).

In Kapital.1: 85, Marx contrappone due processi, di cui il primo è tutto interno alla natura di un oggetto materiale, nel nostro caso del legno; da esso può ricavarsi, ad es., un tavolo e ciò può farsi realizzando una certa, determinata capacità umana di manipolazione della natura. Il secondo processo, invece, è – immediatamente e nello stesso tempo, un trapasso dal sensibile al sovrasensibile, per così dire, dallo stare con i piedi per terra al porsi invece sulla testa (si tratta, a dirla con Hegel, di un processo mistico, nel senso del rovesciarsi immediato dell’opposto nel proprio opposto).

Quest’ultimo processo si ha quando la merce non è più solo valore d’uso (dunque, un oggetto che soddisfa un bisogno, quale che sia) ma anche valore di scambio.

Anche se si tratta di un motivo, su cui dovremo in seguito a lungo soffermarci, si noti che storicamente la comparsa del valore di scambio e della sua espressione in denaro è stata tematizzata come soluzione di continuità, come rottura della naturalità, nel senso della comparsa di una assurdità. In proposito, è assai significativo l’atteggiamento di J. Locke, per il quale l’ampliamento dell’orizzonte economico non comporta differenze qualitative, dacché per il filosofo britannico il valore della merce continua a risolversi nel suo valore d’uso, anche se l’introduzione del denaro ha comportato mutamenti, che Locke sembra limitarsi a considerare deviazioni, assurdità, irrazionalità. Come leggiamo in E. Roll, Storia del pensiero economico, Boringhieri 1967: 106, influenzato dal mercantilismo, Locke “cercò di spiegare attraverso quale processo il denaro, che è per sua natura sterile, acquisti lo stesso carattere produttivo della terra, che produce qualcosa di utile.”

2 – Già col Manifesto Marx ha indicato nel capitalismo la forza, che spoglia ogni rapporto sociale di qualunque altro significato, che non sia quello economico; con ciò, il capitalismo viene a creare un dominio autonomo dell’economia, di fronte al quale il soggetto si trova, contemporaneamente, – di fronte ad un groviglio di casualità, come anche all’imporsi di una legge obiettiva ed esteriore. Di qui la ‘naturalizzazione’ del dominio economico; di qui – come applicazione particolare – lo vedremo meglio in seguito – il feticismo.

Quando vuol descrivere come di fatto è organizzata la KPW, Marx recupera il significato hegeliano di ‘natura/naturale’, con la conseguente tematizzazione del feticismo delle merci. Ciò significa che chi vive entro l’orizzonte immediato della KPW, – dunque, entro la dimensione, in cui tutto è merce messa in circolazione – , fa l’esperienza effettiva del feticismo, nel senso che il modo capitalistico di quella circolazione gli appare come un processo obiettivo e non il prodotto di una certa strutturazione della relazione sociale.

Come esempio di cosa intendo per uso marxiano dell’hegeliano <natura/naturale>, valga questa pagina: “Domanda e offerta si coprono sempre solo momentaneamente, in base alle precedenti oscillazioni di domanda e offerta, in base alla sproporzione tra costo di produzione e valore di scambio, ma queste oscillazioni e questa sproporzione seguono di nuovo poi alla coincidenza momentanea. Questo movimento reale, di cui quella legge è solo un momento astratto, casuale, parziale, viene preso dai moderni economisti come accidentale, come inessenziale. Perché? Perché nelle penetranti ed esatte formule, a cui essi riducono l’economia politica, la formula fondamentale, a voler esprimere astrattamente quel movimento, dovrebbe significare: la legge è determinata nell’economia politica dal suo opposto, dalla mancanza di legge. La vera legge dell’economia politica è il caso, dal cui movimento noi scienziati fissiamo arbitrariamente alcuni momenti nella forma di legge.” (Marx, Scritti inediti di economia politica, Roma 1963: 5-6).

D’altra parte, proprio Hegel ci offre un disegno della vita economica all’interno della KPW, che rimarca come essa si presenti nella forma della mera accidentalità, del puro arbitrio, ma da questo brulichio universale degli arbitri si generano determinazioni universali, dacché risulta che quegli arbitri son, tuttavia, governati da una necessità e cogliere questa necessità è proprio il compito dell’economia politica (cf. Hegel, Le filosofie del diritto, Milano 1989:225-6).

Per comprendere il nesso tra il problema qui posto e la concezione della <natura> come <esteriorità>, valga questa pagina di Hegel, Enzyklopödie. III: “Le differenze, in cui si articola il concetto di natura, sono più o meno esistenze autonome l’una dall’altra; tuttavia, a causa della loro unità originaria, son comunque in relazione reciproca, tanto che nessuna di esse può esser concettualmente compresa, prescindendo dalla loro connessione, la quale tuttavia, in una misura maggiore o minore, risulta qualcosa di esteriore.“

L’ottica, che mi porta fuori del feticismo, è quella critica, la quale ha due caratteristiche: (a) nasce quando l’oggetto ha raggiunto il punto di maturità, che consente già l’emergere chiaro dei fattori contraddittori che gli son propri; (b) riscopre la matrice sociale dell’economico stesso.

In forza di (a), il punto di vista critico consente di vedere nella società esistente una delle possibili forme sociali e, in forza di (b), riesce a cogliere quale altra forma sociale si vada preparando all’interno e per opera della stessa dinamica della KPW.

 

Insomma, il richiamo ad Hegel significa che Marx vede come realizzazione del momento, in cui il rapporto dell’uomo con se stesso mediante le cose si capovolge in rapporto tra cose mediante l’uomo: in tal modo, la relazione acquista, rispetto al soggetto, una sua autonomia e indipendenza, si oggettualizza e, dunque, si svolge secondo leggi, di cui l’uomo deve solo prender atto, perché sono a lui esterne; e, contemporaneamente, quella relazione si impone zufällig, come mero fatto naturale, ovvero in mancanza di una legge determinata e riconoscibile.

Come è stato osservato, nelle Note [ai Pariser Manuskripte del 1844] compare … una diffusa analisi del carattere feticistico dello scambio, estremamente significativa per compren­dere l’atteggiamento teorico di Marx e lo stretto legame che già nel 1844 unisce il feticismo dello scambio con l’alienazione del lavoro. Lo studio di questa analisi ha almeno un duplice senso: da un lato è una introduzione e nello stesso tempo un chiarimento delle pagine centrali dei Manoscritti dedicate al lavoro alienato; dall’altro lato è una risposta ante litteram di Marx a coloro i quali intenderanno poi vedere nel suo pensiero uno sviluppo dal concetto filosofico di lavoro alienato al concetto economico (o, se voglia­mo, scientifico) di feticismo della merce.” (P.A. Rovatti, Critica e scientificità in Marx, Feltrinelli 1973.: 27).

Da quanto abbiamo visto fino ad ora, possiamo dire che in Das Kapital opera una contrapposizione, indubbiamente hegeliana, tra la concezione, da un lato, dell’oggetto (la KPW) come totalità organica, che ha entro di sé l’insieme delle proprie parti e delle leggi, che le relazionano dinamicamente, e, dall’altro, una visione del reale, sollecitata proprio dalla stessa KPW, dominato dalla separatezza/esteriorità di quelle, che pure son parti della totalità sociale, e dalla esteriorità delle leggi, che ne strutturano la reale connessione ed interazione dinamica. Di qui l’effetto di ‘naturalizzazione’, o ‘oggettualizzazione’, che si realizza nell’oscillazione (apparente, ma in questo limite reale, effettiva) da casualità a necessità ‘positiva’.

La totalità organica è il Vorbild, attraverso cui Marx vede il mondo della KPW e che ricava da Hegel – dir questo non significa concepire il Vorbild in termini di mèra mossa convenzionale o di mèro presupposto arbitrario: quel Vorbild o modello è <suggerito> da un’intera storia del pensiero filosofico, come anche economico, e dalle sue difficoltà. Il tema del feticismo della merce si colloca qua dentro e, dunque, si lega all’orientamento di Marx ad assumere come vero il modello in questione.

 

 

 

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