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Il progetto “mercantilista” e autoritario del governo Renzi

Una dettagliata analisi del Cestes-Proteo sulle prime linee di tendenza emergenti dal renzismo mediatico e dai progetti del governo.

L’istrionismo messianico in realta’ nasconde la nuova egemonia della borghesia mercantile che tenta di costruire un suo blocco sociale sulla spinta della quale affermare il proprio ruolo in ambito nazionale, europeo, mediterraneo e globale. il nuovo modello di sviluppo si va ridisegnando sulla vita e il futuro di milioni di lavoratori, precari, pensionati, migranti, giovani, donne e anziani. il capitale riscopre tutta la propria ferocia, forte della mancanza di opposizione sociale e politica. è indispensabile ricomporre la classe dal punto di vista sociale, politico e ideologico.

PREMESSA

L’avvento di Renzi non è un semplice sgarbo istituzionale a Letta, ma un preciso calcolo di una differente strategia della componente della borghesia nazionale che aspira a trasformarsi in nuova borghesia europea. Il governo Monti è stato il tentativo delle due componenti della borghesia italiana, rappresentate da PD e PDL, di giocare la propria partita su una terra di nessuno, appunto il governo dei tecnici, che avrebbe dovuto attuare le riforme lacrime e sangue tenendo al riparo dai costi politici i due partiti. Fatto una parte del lavoro sporco, il governo Monti ha evidenziato tutti i limiti di una simile scelta. Il successivo governo Letta, definito politico, con le sue larghe intese e la favola della pacificazione nazionale, tenta di riscrivere le regole del confronto per consentire il conseguente scontro in una condizione di garanzia di governabilità in caso di vittoria. L’obiettivo strategico è quello di avere la garanzia di poter esercitare il proprio potere in caso di vittoria elettorale. La rottura delle larghe intese, per le note vicende giudiziarie di Berlusconi, rompe gli equilibri tra le due componenti della borghesia e apre la strada alla borghesia mercantile del Made in Italy che conquista la direzione del PD e impone la sua nuova strategia.

IL MADE IN ITALY E IL TRIONFO DELLE PMI CHE OPERANO PER L’EXPORT

Quello che viene indicato come made in Italy in realtà è una rete di piccole e medie industrie che lavorano prodotti per le esportazioni e i consumi di qualità.1 Questo settore diventa centrale e sviluppa alleanze con la grande distribuzione, l’industria di trasformazione dell’agro alimentare, le centrali finanziarie e le multinazionali interessate ad investire in Italia. Alle multinazionali viene lasciata mano libera sul settore manifatturiero, commercio e servizi, dove peraltro sono massicciamente presenti, anche se è in atto una riduzione degli investimenti stranieri. Lo scambio avviene abbassando le garanzie sociali del mercato del lavoro, in cambio si predispone l’accesso al mercato costruito con gli accordi di libero scambio per l’industria nazionale in grado di costruire sviluppo sull’export internazionale. Si sta disegnando un blocco di potere che indirizza la politica nazionale. Questo settore produttivo opera in una dimensione di deregolamentazione del mercato del lavoro e che fa dello sfruttamento della forza lavoro una condizione di profitto programmato, assimilabile alla rete di distribuzione commerciale. La realtà lavorativa, salariale e di vita è tra le più vicine al modello Marchionne che ha strutturato a sistema questa condizione produttiva. Il modello di sviluppo che questo settore industriale elabora è ovviamente funzionale ai propri interessi, non ha una dimensione sociale solidaristica e tende a piegare tutte le risorse, sia umane che finanziarie, alla propria condizione. A tal fine ridisegna il modello sociale, le relazioni industriali, le relazioni sociali in maniera funzionale al proprio modello di sviluppo. Questo è quanto sta emergendo dalle prime linee di tendenza del renzismo.

Renzi condisce il tutto con modalità populiste fino a spingersi nel qualunquismo più ributtante, emula sia Berlusconi che Grillo con la motivazione di sottrarre loro un parte dell’elettorato, applica ricette neoliberiste condite da vero e proprio odio di classe verso quei settori sociali non funzionali al nuovo modello di sviluppo.

LA DOPPIA MAGGIORANZA E LA DOPPIEZZA POLITICA DI RENZI

La ricerca di una doppia maggioranza politica, una per il governo e l’altra per le riforme istituzionali, è il primo segnale della spregiudicatezza avventurista di Renzi e del settore sociale di cui è espressione. È la prosecuzione del tentativo di Letta di riscritturare le regole del gioco, per un verso, dall’altro è il tentativo di piegare le istituzioni al nuovo corso, prevedendo una vittoria elettorale nel nuovo assetto. Su questo terreno attrae la componente della borghesia che fa capo a Berlusconi e che tenta di modificare le regole del gioco a proprio futuro probabile vantaggio, ma rischia di venire consumata dal renzismo rampante.

LE RIFORME COSTITUZIONALI

Premesso che il settore sociale di riferimento di Renzi considera le regole puri impedimenti per la propria attività e la Carta Costituzionale un semplice manifesto sul quale imprimere il marchio Made in Italy, analizziamo le riforme proposte e propagandate come strumento fondamentale, non solo per uscire dalla crisi, ma per avviare la ripresa economica.

ABOLIZIONE DELLE PROVINCE : gettate in pasto all’opinione pubblica come espressione di spreco, in realtà produrranno un risparmio risibile, ma soprattutto avranno forte ricaduta territoriale su servizi e funzioni. La sostituzione con aree vaste o consorzi che viene fatta con le province aumenterà le possibilità di funzionamento ed apre la strada ad un processo di privatizzazione di funzioni pubbliche e servizi senza precedenti. Al pari i servizi garantiti saranno rivolti ovviamente alle piccole e medie imprese che potranno anche svolgerle in proprio con relativo profitto, per i cittadini aumenta solo la distanza tra istituzioni e loro esigenze. È facile prevedere un aumento dei costi ed una riduzione delle prestazioni. Quello che poi introduce questa riforma è la successiva e progressiva devastazione degli enti territoriali in un combinato micidiale tra esigenze delle imprese e indicazioni della UE.

RIFORMA ELETTORALE : l’italicum è un porcellum appena ripulito per la festa, riduce gli spazi di democrazia formale e reale, introduce il premio di maggioranza che garantisce governabilità a prescindere dal consenso elettorale, definisce gli sbarramenti elevati con il chiaro intento di passare dal bipolarismo al bipartitismo distruggendo ogni possibilità di rappresentanza politica delle minoranze, ammesso che possa servire a qualcosa in questa situazione. Si accompagna all’affermazione di un premierato forte che risponde alle tentazioni presidenzialiste in pieno dispiegamento da parte di Napolitano. È evidente che siamo di fronte ad una svolta autoritaria spacciata per modernizzazione, al tentativo di impadronirsi della macchina dello Stato garantendosi dal dissenso e dalle dinamiche parlamentari.

ABOLIZIONE DEL SENATO : in un impianto governativo come quello che uscirebbe dall’italicum, è evidente che il bicameralismo è un impedimento che rischia di essere destrutturante, allora serve una sola camera funzionante, costruita a colpi di liste bloccate, soglie di sbarramento e premi di maggioranza, un evidente esempio di democrazia parlamentare. Anche l’abolizione del senato, come avvenuto con le province, viene rivenduta come espressa volontà dei cittadini, dimenticando che nel 2006, a fronte della devolution proposta da Berlusconi e che prevedeva anche l’abolizione delle funzioni del senato, il referendum confermativo da parte dei cittadini ha detto no con percentuali che vanno dal 61,29% di no al 38,71% di si. È vero che molto è cambiato dal 2006 e l’opinione pubblica è stata avvelenata dal peggiore bestiario qualunquista e populista, ma sarebbe opportuno che si tenesse conto di quanto già democraticamente espresso.

RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE : ridisegna i rapporti tra Stato ed enti territoriali a favore di un riaccentramento di alcune funzioni nelle mani del governo. Il processo di costruzione di un modello sociale autoritario non può non tenere sotto controllo i livelli istituzionali territoriali devastandole nelle funzioni e nell’organizzazione.

È evidente che siamo di fronte ad un’involuzione non solo della forma stato, ma anche del governo e dell’uso del potere politico. Tutto questo viene spacciato per efficientismo quando va bene, altrimenti viene divulgato come democrazia industriale, e ben comprendiamo che con ciò si intende la subordinazione del quadro istituzionale al nuovo modello di sviluppo.

LA MAGGIORANZA DI GOVERNO E LE RIFORME DI SISTEMA

È evidente che un manipolo di sindaci, vicesindaci e funzionari comunali si è impadronito del governo e del partito di maggioranza. Una concezione municipale del paese che si ritrova nella miopia politica, nell’intolleranza e nell’arroganza dei soggetti che manifestano la loro incredibile improvvisazione nascosta da giovanilismo, efficientismo e dinamismo. In realtà sono tutti funzionali al settore produttivo che rappresentano e che li circonda con cure fin troppo amorevoli, una ventata di provincialismo piccolo borghese che storicamente ha sempre prodotto svolte autoritarie di destra nel paese.

 

Fedele all’immagine guascona del pierino fiorentino, si è presentato con una serie di iniziative, alcune delle quali veramente demagogiche, per conquistare consenso a basso prezzo ed iniziare nello stesso tempo la costruzione del nuovo modello di sviluppo. Vediamo le iniziative messe in atto e le proposte.

VENDITA DELLE AUTO BLU : una trovata pubblicitaria che vorrebbe vendere automobili di rappresentanza ormai inutilizzabili a prezzi stracciati. Talmente stracciati che il sindaco di Roma su tre auto blu messe in vendita ne ha dovute rottamare una perché non la voleva nessuno e sulle altre due ha incassato ben 2.000 euro, un affare. Che le auto siano in condizioni non buone lo dimostra il fatto che a fronte di 100 auto blu messe all’asta, ne hanno ordinate 220 nuove. Questo è il renzismo.

SUPERAMENTO DEL VINCOLO DEL 3% DEL RAPPORTO TRA DEFICIT E PIL E UTILIZZO DELLA CLAUSOLA DI FLESSIBILITÀ PREVISTA PER CHI STA AL DI SOTTO DI TALE TETTO, NONCHÉ UTILIZZO DEI RISPARMI SUGLI INTERESSI RIDOTTI PER IL CALO DELLO SPREAD : come sia andata a finire lo abbiamo visto tutti. Doveva andare in UE a far valere le sue analisi economiche strutturali. È finita con una risatina tra Van Rompuy e Barroso, proprio come tra la Merkel e Sarkozi con Berlusconi. Forse in UE si sono accorti prima di noi della somiglianza quasi parentale.

Non solo il vincolo del 3% non si tocca, ma è persino residuale rispetto al fiscal compact che impone il rientro del deficit con manovre lacrime e sangue per la loro consistenza. La clausola di flessibilità è un sogno perché secondo la UE il rapporto deficit/pil non solo non è al 2,6% come sostiene Renzi, ma è al 2,8% ; ma la riduzione del deficit non è utilizzabile perché deve consentire la riduzione del debito sovrano. Il Bollettino mensile della BCE individua il deficit dell’Italia al 3% contro il 2,6% raccomandato da UE ed invita il paese ad adeguarsi. Questo ha indotto ad ipotizzare la necessità di una manovra correttiva scomparsa nell’orgia mediatica del renzismo. L’eventuale risparmio sugli interessi per il calo dello spread si avrà a consuntivo e comunque non è moneta disponibile.

PAGAMENTO DEBITI PA : sono notoriamente di difficile quantificazione e quindi di difficile copertura. Le modalità di copertura finanziaria sono sempre le solite e utilizzano banche e Cassa Depositi e Prestiti ( CDP ) come intermediari che ovviamente richiedono alle pubbliche amministrazioni interessi per le anticipazioni di cassa. Il pagamento dei debiti che produce altro debito pubblico che poi diventa alibi per ulteriori tagli.

SPENDING REVIEW : si propone come l’ennesima brutale operazione di tagli lineari volti a penalizzare dipendenti pubblici e cittadini attraverso il taglio di prestazioni pubbliche. Forse il primo taglio alla spesa pubblica potrebbero essere i compensi che di volta in volta vengono erogati ai commissari straordinari per la spending review.

TAGLIO DEL CUNEO FISCALE : un capitolo che al di là degli aspetti economici segna chiaramente le linee di tendenza del nuovo modello di sviluppo che sta disegnando il governo Renzi. Gli 80 euro in più in alcune buste paga non incidono sui costi del lavoro per le imprese e non si capisce come possano essere stimolo alla lotta contro la disoccupazione. Ammesso che l’ostacolo alle assunzioni sia il costo del lavoro che risulta essere più basso della media europea. Ancora non è ben chiaro come verranno erogati, se sotto forma di riduzione dell’irpef o sotto forma di detrazioni allargate. In tutte e due le soluzioni diventa difficile comprendere come si possa sostenere una riduzione di irpef o aumento delle detrazioni solo per alcuni dipendenti e non per altri. Il bacino di riferimento è quella fascia di lavoratori dipendenti collocati tra gli 8.000 euro ed i 25.000 euro. È evidente che la scelta esclude volutamente pensionati, autonomi, atipici e lavoratori incapienti, meglio noti come lavoro povero, vale a dire che non raggiungono gli 8000 euro di reddito annui e pertanto sono esentati dal pagamento dell’irpef. Perché la scelta di tale fascia di reddito da lavoro che corrisponde ad un salario che arriva al massimo a 1.500 euro mensili? È innegabile che questa scelta sia figlia della scelta liberista del governo che tenta di acquisire il consenso di una fascia di lavoratori che sono poi quella tipologia che viene utilizzata dalla nuova borghesia transnazionale all’interno del paese. È il tentativo di costruire un blocco sociale intorno al nuovo modello di sviluppo abbandonando al proprio destino tutte le categorie sociali che non sono organiche al nuovo modello sociale. L’abbandono nella povertà e nella precarietà, non solo lavorativa, ma anche esistenziale di milioni di lavoratori e pensionati è il prezzo che la nuova borghesia transnazionale intende far pagare al paese. La copertura finanziaria di tale operazione se scaricata sulla spending review con l’ipotesi di esubero di 85.000 dipendenti pubblici sancisce il cannibalismo sociale per cui una nuova pseudo aristocrazia operaia, o volutamente indotta a credersi tale, richiede per la sua costituzione il sacrificio di altri milioni di lavoratori. Siamo di fronte al tentativo di creare una vera e propria frattura sociale tra i lavoratori, come le divisioni finora prodotte non fossero sufficienti. La borghesia mercantile che aspira ad entrare nella borghesia transnazionale europea si tira fuori dalla crisi e porta con sé tutto ciò che gli possa consentire di raggiungere il proprio obiettivo strategico. Il resto della società, con la fine progressiva della sovranità e della identità nazionale, può tranquillamente entrare nel novero dei poveri del mondo.

RIDUZIONE DELL’IRAP ALLE IMPRESE : è il vero taglio del cuneo fiscale alle imprese e dal promesso 10% già sembra ridursi in una prima fase al 5% per poi arrivare al tetto prefissato. Questo dimostra come l’obiettivo vero non sia il generalizzato taglio al costo del lavoro, ma lo scopo sia quello di operazioni mirate ad obiettivi strategici. L’Irap è una tassa regionale che viene imposta sul fatturato e non sul numero dei dipendenti come vogliono far credere, non solo, ma serve a finanziarie il sistema sanitario. Tanto è vero che nel 2011 ha finanziato il sistema sanitario per il 30%, la riduzione del finanziamento della sanità da quale fonte verrà sostituito? Ammesso che lo sarà e che invece non nasconda ulteriori tagli di prestazioni assistenziali.

LE MODALITÀ CON CUI VENGONO ATTUATE LE MISURE : sono state assimilate al bonapartismo e questa similitudine è veramente suggestiva. A fronte delle difficoltà incontrate dal governo Letta e dai settori sociali in esso rappresentati di costruire un modello di sviluppo attraverso una governabilità certa e decisionista. A questo punto la borghesia mercantile che vede messo in pericolo la propria capacità di stare sul mercato globale assume con vigore la guida del paese determinando una nuova modalità di governo che per funzione storica si può definire bonapartista. Le componenti essenziali di tale modalità sono la ricerca del consenso di una parte della società comprato con 80 euro mensili, l’attacco al modello istituzionale di rappresentanza democratica individuato come ostacolo al proprio sviluppo, la ridefinizione autoritaria dei rapporti con i corpi intermedi della società, l’utilizzo della ricchezza sociale in funzione del proprio modello di sviluppo. Il tutto accompagnato da atteggiamenti populisti sfocianti nel qualunquismo e utilizzando il disagio sociale per una vera e propria spinta eversiva governata però saldamente.

 

Il rapporto conflittuale con Confindustria è da mettere in relazione con il fatto che tale associazione non rappresenta più gli interessi della nuova borghesia ed è rimasta attardata su un assetto industriale del paese che è fuori dal mercato globale per qualità e quando riesce a misurarsi con gli altri entra in concorrenza con la Germania e la sua capacità di esportazione. Quello che la Germania chiede ai governi italiani, sotto forma di raccomandazioni e restrizioni finanziarie, è la distruzione del sistema delle imprese manifatturiere tendenzialmente concorrenziali a quelle tedesche. La politica industriale del nuovo governo è quella di svendere l’industria del paese alle multinazionali e agli imprenditori stranieri, come sta facendo girando in lungo e in largo l’Europa, creando nel paese le condizioni di vita e di lavoro appetibili per gli investitori esteri. Tali condizioni di neoschiavismo industriale risultano utili anche alla borghesia imprenditoriale del made in Italy che chiede in cambio di poter scorazzare nel mercato globale esportando prodotti che ovviamente solo lei può produrre. In una condizione come quella data l’industria manifatturiera italiana non ha alcuna speranza di sopravvivenza all’interno del polo produttivo europeo. La deregolamentazione in atto del mercato del lavoro non riesce più a produrre, non solo posti di lavoro, ma profitto e accumulazione di capitale come sembrava potesse fare o ha fatto nel passato recente. La Confindustria come associazione di rappresentanza sociale di industria non competitiva non è solo inadeguata, ma inutile e dannosa. L’uscita della Fiat da Confindustria ha evidenziato l’esigenza di una nuova forma di rappresentanza sociale dell’impresa nel nuovo modello di sviluppo.

Parimenti alla Confindustria, il ruolo delle organizzazioni sindacali storiche diventa ininfluente e di ostacolo per la sua pretesa di rappresentanza sociale anche se ormai solo formale di settori fuori dal mercato del lavoro e dal modello sociale così come si va delineando. La firma del testo unico sulla rappresentanza non è un atto di forza ma il segno di una debolezza percepita. La firma ha l’obiettivo di blindare le relazioni sindacali per prevenire una legge sulla rappresentanza i cui contenuti possono essere devastanti per il proprio ruolo. Confindustria e Cgil Cisl Uil si sono blindati in casa in attesa della offensiva renziana che rappresenta lo scontro tra le componenti della borghesia nazionale all’interno dei corpi intermedi della società. La fine della concertazione è un dato oggettivo, ma era già in corso con Monti e in qualche modo con Letta. Tale nuova condizione veniva mascherata dal passaggio dalla concertazione alla complicità nelle scelte di carattere economico e sociale. Quella che è in atto oggi è qualcosa di più, qualcuno l’ha definita la sconcertazione e il concetto rende perfettamente la situazione data. Non solo si è posto fine alla concertazione, ma si sta avvolgendo il nastro all’indietro disfacendo tutto quello che la concertazione ha prodotto negli anni. Una crisi di funzione che si sta cercando di superare passando dal sindacato dei servizi al sindacato al servizio delle imprese, autore di una mediazione sociale da quadro intermedio con una subordinazione totale e senza prospettiva degli interessi dei lavoratori. Questo sta producendo elementi di crisi all’interno delle confederazioni storiche e può essere elemento di novità anche organizzativa per noi.

LA MAGGIORANZA DI GOVERNO E LE RIFORME STRUTTURALI

Le riforme strutturali annunciate e messe in cantiere sono funzionali a quanto analizzato finora, analizzandole si rafforza la convinzione.

RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO : utilizzando l’allarme sociale della crescente e inarrestabile disoccupazione, giovanile e non, si lascia credere che si mette mano alla normativa per incentivare la creazione di nuovi posti di lavoro. Siamo di fronte alla realizzazione del piano Hartz per il lavoro. Affidare la possibilità di creare nuovi posti di lavoro alle imprese in una condizione di crisi sistemica è una presa in giro colossale e lo sanno benissimo. Tanto è vero che con un decreto legge hanno aumentato la famosa flessibilità in entrata che diventa permanente. Il futuro prossimo contratto unico a garanzie crescenti in realtà trasformerà in precariato tutte le nuove assunzioni rendendo i lavoratori completamente senza difesa alcuna. La riforma degli ammortizzatori sociali li trasformerà in lsu di fatto, vale a dire li renderà forza lavoro disponibile a basso salario e zero garanzie. Se tutto questo può creare occupazione, ma che tipo di lavoro sarà è facile prevederlo. Ma somiglia troppo alle modalità attuale dalle pmi del made in Italy.

 

RIFORMA DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE : va al di là del semplice risparmio di spesa. L’attuale PA ha una serie di funzioni sociali che sono incompatibili con il nuovo modello di sviluppo in via di attuazione. La PA svolge una funzione di intermediazione tra Stato e società che non occorre più perché il governo si interfaccia direttamente con i cittadini. Ha consentito una ridistribuzione della ricchezza sociale sotto forma di funzioni pubbliche e servizi che vengono mercificati attraverso i processi di privatizzazione. Ha svolto una funzione di ammortizzatore sociale creando posti di lavoro a scopo di utilità sociale per la produzione ed erogazione di servizi e prestazioni, ma la disoccupazione è strutturale e necessaria per la realizzazione dei processi di deregolamentazione del mercato del lavoro. La riduzione del numero dei dipendenti pubblici, peraltro già avvenuto abbondantemente visto che i lavoratori pubblici sono scesi di ben 36.7000 dal 2001 al 2011, una condizione che ci pone al disotto di altri paesi europei e ha portato molti servizi pubblici al collasso per carenze oggettive di personale.

RIFORMA DEL FISCO : operazione che si guarda bene dal colpire l’evasione fiscale, tranne la guerra degli scontrini, perché l’evasione fiscale è una forma di autofinanziamento di troppe realtà imprenditoriali nel paese. I dati per cui i datori di lavoro denunciano al fisco redditi più bassi dei propri dipendenti, oltre ad evidenziare la condizione ecumenica degli imprenditori, lascia comprendere il fenomeno dell’evasione fiscale. Le operazioni sul fisco hanno un obiettivo non confessabile che però a volte traspare nelle dichiarazioni: quello di appropriarsi del risparmio delle famiglie. Questo viene stimato in 4 volte il debito pubblico e stimola gli appetiti, tanto è vero che Goldman&Sachs lo indicano come uno dei motivi per investire in Italia, tanto male che va sanno dove prendere i soldi. Alla stessa stregua del risparmio privato, fanno gola le pensioni, i fondi pensione e il risparmio postale. Siamo di fronte alla volontà di piegare la ricchezza nazionale, posseduta dai ceti sociali deboli, alle esigenze dell’imprenditoria rampante.

Se il buongiorno si vede dal mattino, sta facendo notte molto velocemente.

In questa condizione di oggettiva e profonda trasformazione aprire una riflessione sulla funzione e sulle modalità di intervento della nostra organizzazione sindacale diventa indifferibile.

Alcune questioni balzano immediatamente in evidenza :

i processi in atto evidenziano il sempre più stretto rapporto tra le scelte politiche e le scelte sociali. È sempre più evidente che gli eventi sociali hanno un diretto rapporto con le scelte politiche del governo. Quanto accade nei posti di lavoro e nella società sono effetti diretti di scelte politiche che si riconoscono in un progetto strategico della borghesia transnazionale che non ci coinvolge in termini di contrattazione e relazione sociale. La nostra strategia non può non tenere conto di questa condizione e diventa indispensabile riportare l’intervento nei posti di lavoro all’interno di una capacità di analisi politica di lungo periodo praticando concretamente il progetto di sindacato generale confederale. L’obiettivo di rappresentare insieme ai lavoratori il blocco sociale di riferimento deve potersi tradurre in capacità strategica di iniziativa e mobilitazione di categoria in relazione con il sociale.

Questo è possibile costruendo una relazione organizzativa organica con le strutture di posto di lavoro e territoriali, attivando percorsi di formazione che siano luogo di riflessione collettiva su dati strutturali. Tale modalità non può essere episodica, ma diventare organica e strutturale per consentire l’adeguamento dell’agire sindacale ai processi di trasformazione senza subirli.

L’altro elemento di fondamentale importanza è l’indipendenza quale valore fondante del progetto di sindacato di classe al quale stiamo lavorando. Soltanto recuperando l’indipendenza e l’autonomia dei settori di classe è oggi possibile un progetto di sindacato di classe conflittuale che si ponga sul terreno, non solo della difesa degli interessi economici, ma della riconquista di un’egemonia che rimetta il lavoro e i lavoratori al centro dell’interesse del modello di sviluppo.

1 Il Made in Italy è al quinto posto per le esportazioni in zona UE e in zona extra UE a livello mondiale. Nella presentazione del jobs act Renzi ha indicato i sette settori dove dovrebbe riprendere l’occupazione e sono

Cultura, turismo, agricoltura e cibo, Made in Italy (dalla moda al design, passando per l’artigianato e per i makers) ICT, il mito della banda larga, delle autostrade informatiche, tutto a basso contenuto di capitale umano.

Green Economy

Nuovo Welfare, questo è un ambito interessante, sottoposto ai tagli e al blocco del turn over, con l’introduzione del welfare aziendale e l’imposizione di quello familiare, sarebbe interessante capire quale modello ha in mante.

Edilizia, il rapporto cemento – ambiente e qualità della vita è un elemento che va strutturato con capacità progettuale e non per ingraziarsi immobiliaristi e palazzinari

Manifattura, chiaramente senza indicare quale tipologia di merci produrre e con quale modello di produzione.

Chiaramente l’industria manifatturiera è all’ultimo posto evidenziando una debole politica industriale in modo da non entrare in concorrenza con l’industria tedesca.

 

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