Menu

Rottura dell’Unione Europea e Alba euro-mediterranea

Anche a Torino è stata presentata ieri la proposta della Rete dei Comunisti per la rottura dell’Unione europea e la creazione di cooperazione internazionale euro-afro-mediterranea su ispirazione dell’ALBA latinoamericana. Ne abbiamo discusso con collettivi studenteschi, sindacato USB, la Coalizione sans papiers e migranti e Gianni Vattimo e Luciano Vasapollo.

Bisogna ammetterlo. Tra tutte le svariate e sfaccetate ipotesi (o pseudo-ipotesi) per fuoriuscire dalla crisi e per cambiare il volto del vecchio continente, la proposta della Rete dei Comunisti per la rottura del polo imperialista europeo e per la creazione di un’area solidale euro-afro-mediterranea è certamente la più difficile, la meno conciliabile con il senso comune (dei militanti e dei politicizzati, più che della classe), quella che più mette in discussione modi di pensare e rappresentarsi la realtà che sono patrimonio da decenni del modo di fare politica nel nostro paese (e se ne vedono i risultati…).

È la più difficile per varie ragioni. La prima – che dichiariamo serenamente – è che essa non è all’ordine del giorno e dunque non può avvicinare chi vive la politica come somma di giorni o elenco di scadenze e non come intervento nel presente ma in una prospettiva. La seconda, che essa individua chiaramente un nemico sovranazionale e rompe definitivamente con l’ipotesi di compatibilità con il proprio imperialismo e con il proprio inconscio eurocentrismo. Terzo, che essa dice agli ancora tanti e sempre più confusi e disorientati militanti delle organizzazioni della sinistra che il terreno elettorale – prima di avere ricreato un rapporto con il proprio blocco sociale – è non solo improponibile, ma addirittura dannoso e distruttivo di ogni altra possibile ricomposizione, soprattutto se si esprime nelle forme altamente compatibili di un impossibile riformismo.

Perché quello che è venuto fuori dalla discussione che abbiamo organizzato ieri a Palazzo Nuovo, a Torino, è che tutto può succedere (fascismi, guerre, fallimenti, in un contesto di massacro sociale) in Europa fuorché un’ipotesi di riforma in senso sociale di una costruzione statuale intrinsecamente antidemocratica e antipopolare. Questa proposta viene da una lunga e ampia ricerca condatta a partire dalla fine degli anni Novanta e recentemente discussa in un convegno internazioonale tenutosi a Roma il 30 ottobre e 1 novembre 2013 e i cui atti sono raccolti nell’ultimo numero della rivista Contropiano, presentato anche qui a Torino in questa giornata.

Nell’intervento introduttivo della Rete dei Comunisti di Torino si sono dunque messe in relazione le dinamiche che portano dalla crisi di accumulazione alla competizione globale sempre più strutturata per grandi aree (poli). L’Unione europea, da questo punto di vista, accelera processi iniziati tempo prima con il mercato comune. Che la sua esigenza fosse primariamente economica lo dimostra la natura affatto democratica dell’UE che si pone, unico caso al mondo tra le democrazie liberali, come sovrastato a-democratico (non essendo il governo espressione della volontà popolare rappresentata al parlamento). Ma la ragione neoliberista dell’Unione europea si estrinseca grazie anche alla novità di questa sua natura politica, dalla quale non va disgiunta la sua sempre più evidente natura militare (vedi Libia, Siria, la presenza nei Paesi dell’Africa centro-occidentale o il caso Ucraina).

Queste dinamiche hanno delle ricadute anche nel campo dell’istruzione e della formazione, affrontate nella relazione di Andrea Gozzelino degli Studenti Indipendenti, che si è confrontato con la proposta del collettivo Noi restiamo, il quale da qualche tempo sta portando in giro la sua proposta per riattivare le lotte degli studenti universitari contro questi meccanismi di ristrutturazione della formazione e della precarizzazione del lavoro altamente formato imposti soprattutto nelle periferie del sud della UE.

I due interventi centrali dell’iniziativa, quelli di Gianni Vattimo e Luciano Vasapollo, hanno posto con estrema lucidità il nodo di questioni che occorre affrontare quando si parla di Unione Europea e della sua rottura.

Gianni Vattimo, in uno stile apparentemente dimesso, ma con la capacità tutta filosofica di individuare le questioni generali (e le ricadute particolari), ha voluto raccontare le sue esperienze di europarlamentare, mettendo in luce e ribadendo l’inutilità di quella istituzione, ma soprattutto ponendo le domande di chi si interroga sulla direzione che individui, classi e società stanno prendendo. È stato un intervento di alto livello sugli scenari, sulla necessità di una prospettiva strategica comunista, non astratta rivendicazione di un ideale, ma teorizzazione delle strade possibili del socialismo del XXI secolo. Costante il riferimento all’ALBA, di cui il filosofo torinese e profondo e partecipe conoscitore. Ultimi due riferimenti che ci piace riportare del suo ragionamento. Il primo a Gramsci teorico del Risorgimento, con una lettura dell’unificazione nazionale come colonizzazione e subordinazione delle possibilità di sviluppo del meridione d’Italia alle esigenze della borghesia settentrionale, letto in parallelo con la condizione dei paesi PIGS (o dei paesi dell’Est o del Nord Africa) rispetto alla centralità tedesca nella costruzione del megastato europeo. Possibile che nessuno dei gramsciani sostenitori di Tsipras colga questo dato? Possibile che non ne sappia trarre nessuna conseguenza politica? Secondo riferimento, classico. Per Lenin il socialismo è soviet+elettrificazione del paese. Il che significa due cose. Citando Gallino e i suoi studi sul declino dell’Italia industriale (declino relativo) si è fatto riferimento ancora alla subordinazione produttiva dei PIGS, legandola però alla questione del potere popolare. Come si crea il consenso? Come si esce dall’impotenza individuale (e dei piccoli gruppi)?

A queste domande ha cercato di rispondere Luciano Vasapollo nel suo intervento. Secondo la sua analisi qualcosa di nuovo si sta verificando con questa nuvoa crisi. Non si tratta più di una crisi ciclica, né semplicemente di una crisi strutturale alla quale porre rimedio tramite un sempre più impobabile intervento pubblico. La natura della crisi è sistemica perché investe l’intero sistema produttivo capitalistico. La crisi finanziaria ha solo reso evidente ciò che era in corso almeno dalla fine degli accordi Bretton Woods. Le politiche europee di austerity, in questo senso, sono la logica conseguenze di queste tendenze in atto.

Il predominio del capitale finanziario pertanto si configura come la risposta transnazionale alla crisi di profittabilià, cioè alla caduta del tasso medio di profitto. I grandi gruppi (da qui il sorgere di una borghesia europea a dominanza tedesca contro le piccole borghesie di piccole e medie imprese) si organizzano e competono a livello globale alimentando guerre sociali e militari (è sintomatica l’indignazione europea per lo spionaggio americano). I processi messi in atto attraverso i vari trattati (privattizzazioni, precarizzazione e smantellamento dello stato sociale) sono gli effetti della risposta europea alla competizione globale.

Ne viene che l’euro, all’interno di queste dinamiche, si configura come strumento per la creazione di un mercato di sbocco per le merci tedesche, in cui i Paesi della periferia europea (PIGS) comprono quei beni che non producono più, grazie allo smantellamento del tessuto industriale. In questo quadro, i PIGS sono fornitori di semilavorati a basso valore aggiunto, che, una volta finiti nei Paesi centrali, ritornano nei mercati periferici.

Tutte queste ragioni, sostiene Vasapollo, inducono a vedere nell’UE un polo imperialista (verso l’esterno e l’interno), e non soltanto un’espressione monetaria, la cui rottura non può che portare bene alle classi lavoratrici europee e non solo. Ma questa rottura richiede “contemporaneamente” la costituzione di una nuova area di scambio cooperativo che metta insiema gli anelli deboli di questa catena di sfruttamento internazionale. Senza la creazione di quest’area, ipotizzata a partire dall’esempio delll’ALBA, si rischia la semplice devastazione ad opera dei grandi poteri speculatori.

Se questo risulta vero, secondo Vasapollo la crisi non ha soluzioni in termini economici ma solo politici (compresa ovviamente la guerra, continuazione della politica con altri mezzi). Da qui la necessità dell’ALBA euro-afro-mediterranea. Vasapollo ha infine affrontato il problema della costruzione dell’intervento nel blocco sociale e del possibile blocco storico, attraverso un lavoro che tenga insieme le mille forme della conflittualità sociale, sindacale, territoriale, ambientale con una prospettiva politica generale. Si tratta di ridare un ampio respiro alle nostre rivendicazioni, di rimettere in piedi un protagonismo popolare che affronti i nodi della transizione a un nuovo modello di sviluppo altrimenti impossibile all’interno dell’Unione europea. Non si tratta solo di invidividuare il nemico nell’assetto neoliberista dell’UE, a cui si potrebbe porre rimedio con una sua maggiore democratizzazione, ma di riconoscere che la risposta europea alla crisi è conseguente (altre non ce ne sono) alle dinamiche messe in moto dalla crisi sistemica a livello globale e che pertanto fuori dalla sua rottura non si danno reali prospettive di vittoria delle classi lavoratrici.

Abouabakar Soumahoro, dell’Usb Piemonte, ha invece voluto nel suo intervento ribaltare la prospettiva, dal punto di vista spesso molto più chiaro ed essenziale di tanti europei, di chi l’Europa la subisce nella duplice veste di soggetto di un rinnovato e consistente intervento militare in Africa, dall’altra nelle bestiali e disumane politiche europee di accoglienza della forza lavoro migrante.

Non meno interessante il dibattito che ne è nato, a partire da alcune domande circa la dichiarata assenza di un centro unitario (di un nemico ben individualizzabile) contro cui scagliarsi. Le risposte che ne sono venute fuori dai relatori, ha tentato di trarre le logiche conseguenze dal ragionamento fin qui svolto, riconoscendo sicuramente la molteplicità dei centri, ma sottolineando che, almeno per noi, il vero centro è costituito dall’Unione Europea.

Pure molto pertinente l’osservazione di chi chiedeva come considerare la condizione di quei figli di migranti che pure nascono o crescono qui, studiano e si formano, ma poi sono costretti ad andare via se non trovano lavoro. Dal che si capisce che il problema della “fuga dei cervelli” è né più né meno che il problema più generale della migrazione come condizione lavorativa nell’area periferica dell’UE.

Una discussione insomma laboriosa ma senz’altro utile, che intendiamo riportare con impegno nella costruzione del controsemestre europeo, a partire dalla manifestazione del 28 giugno a Roma, dall’appuntamento dell’11 luglio a Torino, passando attraverso lo sciopero del pubblico impiego convocato per il 19 giugno da Usb e dall’auspicabile ripresa dell’attività di Ross@, superata questa scadenza elettorale. La varietà dei fronti, le diversità dei soggetti, la forza del nemico che abbiamo di fronte richiede a tutti un difficile cambio di passo. Urge conflittualità politica e sociale. Seria, lungimirante, di massa, determinata, consapevole. C’è tanto da lavorare, per tutti.

 

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *