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Cultura skin, il contrario di quel che dice la tv

Siamo abituati a immaginarli sfilare nei cortei nazisti, col braccio destro alzato, anfibi ai piedi, svastiche sull’avambraccio, teste lucide e grida inneggianti al Fuhrer.

In realtà quest’immagine degli skinheads, diffusa nell’opinione prevalente, è piuttosto riduttiva, se non addirittura fuorviante: quella delle teste rasate è una realtà molto più complessa e variegata di quella con cui comunemente la si suole inquadrare.

Il movimento skinheads affonda le proprie radici alla fine degli anni sessanta, nelle periferie degradate delle città inglesi, popolate da operai e dal sottoproletariato e si fonda sulla fusione di due subculture: una è quella degli hard mods, bianchi inglesi di origine proletaria che furono i primi ad avvicinarsi alle comunità di immigrati giamaicani, imitandone lo stile di vita e adottandone i gusti musicali, in particolare jazz, soul e ska. L’altra subcultura era quella propugnata dai rude boys e dilagante nei ghetti delle città inglesi. I “rude” – discendenti degli immigrati giamaicani e delle ex colonie caraibiche – erano ragazzi appartenenti per lo più al sottoproletariato; vestivano con lunghe bretelle, facevano ampio uso di marijuana ed erano spesso marginalizzati dalla società, perché stranieri e di atteggiamento anticonformista.

Dal compenetrarsi di queste due subculture si gettarono le basi per la nascita del movimento. I segni distintivi quali gli scarponi e le teste rasate erano il chiaro riferimento all’appartenenza alla classe operaia. Gli scarponi erano infatti parte integrante dell’abbigliamento della working class, così come in origine radersi la testa era consuetudine non rara tra il proletariato; una precauzione contro i pidocchi, che spesso proliferavano nei quartieri periferici a causa delle scarse condizioni igieniche.

Sebbene da sempre tra gli skin dilagasse un forte senso di appartenenza di classe e di patriottismo nonché un’accesa e manifesta propensione ad atteggiamenti virili, il razzismo e la supremazia razziale erano concetti relegati a gruppi marginali. Composto da anime differenti, il movimento che racchiudeva diversi gruppi (molti dei quali col tempo avrebbero finito con l’ingrossare le schiera degli hooligans) aveva come matrice comune il rifiuto del progressivo imborghesimento della classe lavoratrice e l’avversione contro l’oppressione esercitata dalla classe dirigente.

Una significativa crescita delle fila degli skin si ha comunque solo a partire dal 1979, periodo in cui furono assai influenzati dall’abbigliamento e dalla cultura punk, finendo anche sotto i riflettori delle tv e nelle prime pagine dei giornali per la vicinanza che molti loro ambienti intrattennero con le tifoserie violente britanniche. Dall’Inghilterra poi lo stile skin non tardò a diffondersi negli altri paesi europei, per approdare oltreoceano negli Stati Uniti.

Agli albori della loro nascita i gruppi skin condividevano comuni basi sociali e comunque orientamenti non dichiaratamente politici. Nel corso degli anni tale atteggiamento andò mutando: già nei tre anni compresi tra il 1972 e il 1975, periodo in cui il Regno Unito subì una forte crisi economica unita ad un vertiginoso aumento di inflazione e disoccupazione, furono molti gli skinhead ad avvicinarsi a movimenti di estrema destra xenofobi come il National Front e il British Movement; da questi stessi skinhead razzisti sarebbero poi venuti fuori quelli che tv e giornali avrebbero soprannominato ”naziskin”.

Ma il movimento nelle sue evoluzioni, anche in tema di orientamenti politici, è sempre stato estremamente eterogeneo: a dimostrazione di ciò, basti pensare che contrapponendosi alle tesi della supremazia razziale negli Usa nacquero gli Sharp (Skinhead against racial prejudice): sebbene di ideologie variegate da subito funse da collante tra loro un comune sentimento antirazzista. Gli Sharp non tardarono a distinguersi per gli scontri contro i gruppi neonazisti ed ersero a loro simbolo l’elmo troiano.

E’ invece molto più definito l’orientamento politico dei RASH, skinhead di manifesta appartenenza a idee socialiste, comuniste, anarchiche. Gli skinhead comunisti si definiscono “Redskin“, mentre quelli di filosofia anarchica “Anarcoskin“.

A loro diametralmente opposti, sono gli Skin88 soprannominati inopportunamente Naziskin dalle tv: di idee espressamente neonaziste o neofasciste, e raggruppati in numerose organizzazioni spesso con legami internazionali come gli Hammerskins (USA) e i Blood & Honour (UK). Sono i gruppi più politicizzati e hanno spesso monopolizzato l’interesse dei mass-media nei confronti della subcultura skin. Osteggiati e non considerati parte del movimento skinhead dagli altri skins, né tantomeno dai punk, in quanto razzisti e di estrema destra, gli skin88 vengono spregiativamente da questi soprannominati Bone-head (letteralmente “testa d’osso”).

Oltre a questi gruppi continuano ad esserci gli “original”: skinhead apolitici o comunque non identificati politicamente. Sono gli skin tradizionali ancorati all’originaria cultura skinhead.

Sulla realtà italiana degli skinheads, si sa realmente poco: un mondo frammentato su cui regna molto pregiudizio e confusione. 

Marco Rude, questo il suo soprannome, è un militante dell’area anarco-skin e red-skin romana.

Non rivela la sua età né il suo nome vero, ma accetta di parlare del “suo mondo”.

  • Marco come ti sei avvicinato al mondo skin?

  • Io provengo dalla Rash di Roma. Mi sono avvicinato a questo stile di vita influenzato durante la mia permanenza adolescenziale nel Regno Unito da amici inglesi. Mi avevano colpito il loro modo di vivere e i loro ideali: mi hanno insegnato ad amare la loro sottocultura e ad avversare il razzismo. Era gente fuori da ogni schema tradizonale, contestatori del sistema, ma non fricchettoni. Inizialmente ero un’original, mi interessavo poco di politica; poi trasferendomi a Milano prima e Roma dopo, sono diventato uno Sharp. Gli Sharp già alla fine degli anni ’80 racchiudevano la galassia degli skin antirazzisti. Quelli erano già i tempi in cui i media contribuivano alla nascita del fenomeno “naziskin”, da sempre avversati dagli skin. Quella loro contro i nazi era una lotta d’identità. A Parigi nacquero i Red Warrior e gruppi skin più o meno rilevanti sorseo anche in molte altre città europee, Roma inclusa.

  • Per capire la nostra realtà consiglierei i testi del sociologo Valerio Marchi che è uno delle voci più influenti nella nostra subcultura, i libri di Valerio Gentili e in particolare il suo lavoro “Bastardi senza storia” , ancora Alex Alesi e il testo di Riccardo Petrini “Skinhead”.
  • Quella skin è attualmente una realtà frammentata, ma abbastanza presente soprattutto a Roma, Milano e Genova, dove a volte si unisce e si fonde con le esperienze aggregative dei giovani dei centri sociali. Nella sola Roma saremo diverse centinaia, anche se un numero preciso è difficile da stabilire. In passato c’è stata una forte confluenza di diversi skin nelle tifoserie organizzate. Per molti di loro il calcio è stato un mondo in cui rifugiarsi e sfogare le tensioni di una settimana di lavoro mal retribuito o di anni di sogni infranti. Certo che i daspo, la tessera del tifoso così come l’avanzamento delle destre nelle tifoserie hanno fatto allontanare negli ultimi anni molti dei nostri dalle curve.

Ma quali sono gli obiettivi che vi proponete come gruppi autonomi organizzati?

  • Arginare i rigurgiti fascisti e contrastare la deriva autoritaria del mondo capitalistico. Come anarco e red-skin siamo spesso addentro alle esperienze dei centri sociali, alle lotte dei comitati dei senza tetto o alle manifestazioni di piazza. Avversiamo qualsiasi forma di razzismo, omofobia, contrastiamo la precarietà lavorativa; osteggiamo qualsiasi forma d’imperialismo e sui temi internazionali sosteniamo l’autodeterminazione della popolazione palestinese e degli indios del chiapas, solo per fare degli esempi.
  • Quando parlo di “arginare i rigurgiti fascisti” inviterei a non sottovalutare la portata del fenomeno, avvallato non solo dai recenti risultati elettorali europei, ma anche dalla crescita numerica della partecipazione ai raduni dei gruppi “nazi” o crosse-bone, come li definiamo noi, che si tengono oramai fin troppo di frequente a Milano o nel nord-est.
  • Skin e violenza fisica, binomio indissolubile?
  • La violenza per noi è l’ultima arma a cui ricorrere, non è il fine primo, ma siamo gente che seppur democratica e pacifista non rifugge dallo scontro fisico se attaccata o se si prevarica sugli inermi o sulla povera gente. Ci prepariamo strategicamente, facciamo palestra, diversi di noi praticano la boxe per farsi trovare pronti in caso di uno scontro con i nazi. Ci accusano spesso di essere violenti, ma in realtà tra essere combattivi ed essere violenti c’è di mezzo un oceano. Più di una volta è capitato che chi ci criticava per le nostre posizioni, chi ci accusava di essere troppo militarizzati, ci abbia poi chiesto d’intervenire in sua difesa a seguito di aggressioni fasciste. Di recente una ragazza che militava nei centri sociali è stata aggredita e derubata dal cellulare da un gruppo di estrema destra: noi siamo intervenuti in suo soccorso e saremo sempre pronti a farlo con lei o con chi ne avrà bisogno, finché esisteremo.

A Genova al G8 nel 2001 c’eravate?

  • Molti i noi c’erano; lì è stato un massacro organizzato. Diversi di noi portano ancora le cicatrici di quei giorni, ma chi vive la nostra subcultura mette in conto anche quelle.
  • Attenzione però a Genova accanto a gruppi organizzati che realmente cercavano lo scontro così come in altre manifestazioni, c’erano anche infiltrati, molti dei quali dei servizi segreti. Gente pagata anche per creare confusione e violenza e deformare il messaggio della protesta. Di recente un compagno che milita vicino alle nostre fila è stato avvicinato da uno dei servizi segreti; volevano convincerlo a fare l’infiltrato tra i gruppi. Insomma ci monitorano, cercano di controllarci e destabilizzarci, diamo fastidio.

 Il vostro rapporto con i partiti politici?

Non ci sentiamo rappresentati da nessun partito politico. Però non rifuggiamo l’aggregazione e il confronto e come adesioni siamo in crescita. Crediamo nell’importanza delle esperienze dei centri sociali che tolgono molti ragazzi dalla strada consentendo loro di fare laboratori teatrali, sport, cultura oltre che costituire importanti momenti di aggregazione sociale.

Teniamo a distinguerci oltre dai “nazi” descritti impropriamente dai media come skin, anche dagli “original” che riteniamo ambigui. Molti di loro frequentano sia i nostri ambienti che quelli della destra, non per motivazioni ideologiche o culturali, ma semplicemente per questa o quella circostanza di convenienza. E’ chiaro che seppur non si identifichi in nessuna organizzazione partitica, ideologicamente l’area anarco e redskin ha radici e punti di contatto con il pensiero anarchico, socialista e comunista e ripudia xenofobia, razzismo, fascismo e qualunque messaggio autoritario che intralci la libertà di pensiero.

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