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90 anni fa, l’uccisione di Matteotti

Nello scrivere le note che seguiranno riguardanti il delitto Matteotti e la fase del consolidamento del regime fascista con la soppressione delle libertà democratiche ritengo sia necessario sottolineare alcune inquietanti analogie con l’attualità.

Fatto salvo che, oggi, lo strapotere dei mezzi di comunicazione di massa equivale sicuramente al poter disporre di altri tipi di strumenti di coercizione (in uso in tempi passati) provocando, come sta avvenendo in questi giorni il fenomeno di un passaggio di massa sotto le insegne dell’apparente vincitore, gli elementi che colpiscono sono:

1)      L’assunzione del governo senza il passaggio del voto popolare;

2)      L’elaborazione di una legge elettorale supermaggioritaria, con il tentativo di ridurre al massimo la presenza di eventuali opposizioni;

3)      La spinta all’eccesso verso la personalizzazione con il disprezzo dell’istituto parlamentare che si intende ridimensionare fortemente, la trasformazione di fatto del ruolo del Presidente del Consiglio in quello di Capo del Governo (si notino i poteri che furono allora attribuiti a questa figura in materia di nomina di ministri), l’emarginazione di eventuali opposizioni;

4)      Il ritorno alla possibilità di “far politica” riservato soltanto ai notabili provvisti di mezzi economici e foraggiati dal grande capitale finanziario

5)      Il tentativo di superamento, nei fatti, dei corpi intermedi, in particolare dei Sindacati, giudicati come un vero e proprio impedimento nell’azione di governo;

6)      Il superamento della Costituzione, soprattutto rispetto laddove questa disegna un certo tipo di architettura istituzionale.

7)      L’espressione di un “populismo” elargito a piene mani, attraverso promesse e distribuzione di mance a pioggia e di un davvero “vieto” nazionalismo. Del resto il principale contrasto a questa situazione sembra essere riservata ad analoghe forme di populismo personalistico oppure a una destra, anch’essa di eguale stampo che appare ormai sulla via di appoggiarsi, per di più, a visioni di tipo xenofobo e razzista.

Elementi sui quali mi permetto di chiedere una riflessione più puntale e più accorta da parte di tutti i sinceri democratici rimasti in campo.

DI SEGUITO LE NOTE SUL DELITTO MATTEOTTI E LA FASE DI ASSUNZIONE DEL POTERE TOTALITARIO DA PARTE DEL FASCISMO

Nell’ottobre del 1922 il fascismo era giunto al potere con l’appoggio di ampi strati delle classi dirigenti e forte delle camicie nere in armi.

Fra la fine del 1922 e il 1926 il fascismo percorse un tratto decisivo del proprio sviluppo.

La classe politica che aveva retto l’Italia per oltre mezzo secolo era in rotta, sfiduciata, senza più il sostegno delle classi possidenti, che ora andava in modo crescente e decisivo ai fascisti.

Il movimento operaio aveva subito una sconfitta storica e Mussolini ne era ben consapevole.

Giunto al governo, il fascismo disponeva ormai del controllo dell’apparato dello Stato.

Eppure, esso era ben lungi dall’essere del tutto solido.

Nell’ambito delle istituzioni parlamentari il nuovo governo doveva passare attraverso la fiducia della maggioranza; inoltre, nonostante la sconfitta subita, il proletariato continuava a militare pur sempre nella sua grande maggioranza nelle organizzazioni sindacali e politiche d’ispirazione socialista e comunista.

Il fascismo, tra l’ottobre del 1922 e il 1926 agì così da liquidare le istituzioni liberali, la pluralità dei partiti, la libertà di organizzazione sindacale e affermare, per contro, un regime antiparlamentare fondato su un partito unico e sull’irreggimentazione dei lavoratori in organizzazioni fasciste.

Uno dei passaggi fondamentali di questo tragico itinerario fu rappresentato dal varo di una nuova legge elettorale.

Il 13 novembre 1923 la Camera approvò la cosiddetta “legge Acerbo” che rivelava come il fascismo intendesse sanzionare sul piano parlamentare, con l’aiuto di una “truffa” legale, la propria posizione di forza, a spese degli altri soggetti politici.

Questa legge stabiliva che la lista di maggioranza relativa che avesse raggiunto il 25% dei voti, avrebbe ottenuto i due terzi dei seggi alla Camera.

Alle elezioni, fissate per l’aprile 1924, si presentò come espressione del governo e dei suoi alleati un “listone” sotto il diretto controllo del Gran Consiglio e di Mussolini, cui aderì la maggioranza dei liberali (Salandra, Orlando).

La minoranza dei liberali (tra cui Giolitti) presentò proprie liste; fra gli “oppositori costituzionali” (chiamati così per distinguerli da socialisti e comunisti) che presentarono altre liste, distinte da quella di Giolitti, vi erano anche Giovanni Amendola e Bonomi.

La campagna elettorale si svolse in un clima di violenze e intimidazioni contro tutti gli oppositori, ma specialmente proprio contro socialisti e comunisti, con l’aperta complicità delle autorità dello Stato.

La forza preparò un consenso plebiscitario.

I fascisti e i loro alleati ottennero il 64,9% e 374 seggi.

I liberali indipendenti ebbero il 3,3%, gli “oppositori costituzionali” di Amendola e Bonomi il 2,2%, i popolari il 9%, i socialisti unitari (Turati, Matteotti) il 5,9%, i socialisti ufficiali (massimalisti) il 5%, i comunisti (che elessero Antonio Gramsci) il 3,7%.

Il fascismo aveva raggiunto così l’agognata maggioranza parlamentare, e poco importava con quali mezzi.

Il Parlamento era ormai un docile strumento nelle mani del partito di governo, il quale era nelle migliori condizioni per usare la maggioranza nel Parlamento per vanificare le stesse istituzioni parlamentari.

Il re, nel discorso della Corona nella nuova Camera, disse: “ Oggi la nuova generazione della vittoria regge il governo e costituisce la grande maggioranza dell’Assemblea elettiva”.

Quando la Camera fu chiamata a ratificare la convalida delle elezioni, il segretario politico del Partito Socialista Unitario, Giacomo Matteotti, in un forte discorso, fece la cronistoria delle violenze fasciste contro gli oppositori nel corso della campagna elettorale e mise, vanamente, sotto accusa la validità dei risultati.

Questo discorso coraggioso fu la sua sentenza di morte.

Il 10 Giugno del 1924 Matteotti venne rapito e quindi assassinato da sicari fascisti, convinti di interpretare la volontà di Mussolini.

Il suo corpo privo di vita sarà trovato soltanto il 16 Agosto successivo nella campagna romana.

La reazione del Paese fu enorme: anche ampi strati della borghesia e della piccola borghesia, che avevano sostenuto il fascismo, furono disorientati, ritenendo che si fosse superato il limite del lecito, tanto più che corsero subito voci circa il fatto che Matteotti stava raccogliendo anche le prove di un enorme traffico illecito che il fascismo stava compiendo su forniture petrolifere.

Mussolini, dal canto suo, in un primo tempo si proclamò del tutto estraneo al delitto e lasciò dimostrativamente il ministero dell’Interno che venne abilmente affidato all’ex-nazionalista Federzoni, ben visto dalla corte reale.

De Bono, capo della polizia, fu destituito.

Gli esecutori materiali, individuati vennero arrestati. Nelle stesse file fasciste lo sbandamento era grande.

Ma le opposizioni in piena crisi, non seppero andare oltre la condanna politica e morale: il che confermò nei fascisti la fiducia, di vecchia data, nella “maniera forte”.

Liberali delle varie correnti, socialisti riformisti, massimalisti, popolari, CGL, respinsero la proposta avanzata da Gramsci di proclamare lo sciopero generale.

I liberali temevano che un’azione di massa provocasse un “salto nel buio”, essi erano, infatti, troppo conservatori per ricorrere ai lavoratori contro il fascismo.

I socialisti e la CGL sentivano il peso delle sconfitte subite e mancarono di convinzione e di energia, temendo la ripetizione dello “sciopero legalitario”.

I comunisti, dal canto loro, erano troppo deboli per guidare da soli uno sciopero generale.

Amendola, a capo della “opposizione costituzionale” sperava che fosse il re a togliere la fiducia a Mussolini e a creare una situazione nuova: ma il re non si mosse e lasciò al fascismo il tempo necessario per superare la sua crisi interna.

Anche il Vaticano appoggiò Mussolini.

Il 13 Giugno, dopo che in provincia era esplosa una reazione dei ras fascisti con la ripresa di incendi e bastonature, Mussolini fece chiudere la Camera per impedire alle opposizioni di servirsi della tribuna parlamentare: al Senato il governo ottenne la fiducia con 253 voti contro 21 (votò a favore di Mussolini anche Benedetto Croce: la paura di un’eventuale caduta del fascismo e di un ritorno delle sinistre e del movimento operaio organizzato aveva così accecato anche gli ingegni più acuti e brillanti).

La MVSN, guardia personale del Duce, fu inglobata nell’esercito, pur rimanendo significativamente alle dipendenze del Presidente del Consiglio.

Il modo con il quale le opposizioni si mossero ne dimostrò tutta la crisi politica.

Il 18 Giugno esse concertarono di agire in modo coordinato: solo i comunisti mantennero la loro libertà d’azione.

I deputati che rappresentavano l’opposizione decisero di non partecipare più ai lavori della Camera (ancora chiusa), ritirandosi, secondo un’espressione di Turati “sull’Aventino delle loro coscienze”.

Nacque così la secessione dell’Aventino.

Gli oppositori affermarono che sarebbero rientrati alla Camera solo quando fosse stata restaurata la legalità e fosse stata abolita la Milizia.

Era una chiara pressione specie sul re, affinché ritirasse la fiducia a Mussolini.

Amendola impostò la lotta contro il fascismo in termini di “questione morale”.

Le speranze risposte nel re caddero nel vuoto più totale e dimostrarono il loro carattere del tutto illusorio.

Il 30 Giugno Vittorio Emanuele esorto “alla concordia”, vale a dire manifestò il proprio appoggio al fascismo.

Il 31 Agosto Mussolini sbeffeggiò le opposizioni e dichiarò che “ Il giorno che uscissero dalla vociferazione molesta per andare alle cose concrete, quel giorno noi di costoro faremo le strame per gli accampamenti delle camicie nere”.

I comunisti, dal canto loro, convinti che la “crisi Matteotti” fosse l’inizio della “crisi della borghesia” e che esistessero le prospettive di una soluzione rivoluzionaria, proposero, alla fine di ottobre, come tappa intermedia, alle opposizioni di costituirsi in “vero Parlamento delle Opposizioni”, in un unico Parlamento in contrasto con il Parlamento fascista.

Ma i gruppi dell’Aventino respinsero la proposta, timorosi delle sue implicazioni e sempre fiduciosi del re.

Il 12 Novembre Mussolini, ormai sicuro di sé, fece riaprire la Camera, in cui rientrarono i comunisti, che avevano costatato il fallimento dell’Aventino.

La Camera, in assenza appunto degli aventiniani, votò la fiducia a stragrande maggioranza: era rientrato in aula anche Giolitti che votò contro, avendo capito la vanità dei suoi progetti di “assorbimento” del fascismo.

Il tentativo di Amendola di riorganizzare nella seconda metà del 1924 le forze antifasciste liberali dando vita all’Unione Nazionale delle forze liberali e democratiche non risultò in grado di modificare la situazione politica.

In dicembre, una serie di rivelazioni clamorose rese da Cesarino Rossi, ex capo dell’Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio, mostrò come Mussolini fosse il responsabile politico del delitto Matteotti.

Ma ormai il capo del fascismo era più che mai solido.

Era giunta l’ora della controffensiva generale fascista e del definitivo annientamento delle opposizioni.

La stampa di queste venne colpita in modo generalizzato; gli antifascisti furono per l’ennesima volta sottoposti a violenze e intimidazioni.

Alla Camera il 3 Gennaio 1925 Mussolini chiuse politicamente la questione aperta il 10 Giugno 1924.

Egli assunse apertamente la responsabilità per l’accaduto e disse: “ Dichiaro qui, al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto avvenuto….Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere io sono il Capo di quest’ associazione a delinquere…Quando due elementi sono in lotta e sono irriducibili, la soluzione è nella forza.

Subito dopo questo discorso, che segnava di fatto se non ancora formalmente, la fine politica delle opposizioni, la fine del sistema liberale parlamentare e l’ormai raggiunta conquista da parte del fascismo del “monopolio politico” la vita dei partiti di opposizione venne resa quasi impossibile.

Fu questo il momento in cui anche Croce tolse il precedente benevolo appoggio al fascismo.

Il 20 Luglio Amendola venne aggredito da squadristi e percosso; sarebbe morto l’anno dopo esule in Francia.

La trasformazione dello Stato liberale parlamentare dominato dai fascisti in “Stato e regime fascista” fu realizzato per mezzo di una serie di leggi denominate “fascistissime”. Una legge del 24 Dicembre 1925 modificò lo Statuto assegnando al Presidente del Consiglio, diventato Capo del Governo, il potere di nomina e di revoca dei ministri e affidandogli anche il potere di decidere l’ordine dei lavori parlamentari.

Le Corporazioni nazionali, con il patto di Palazzo Vidoni, esautorarono definitivamente la CGL, che scomparve ufficialmente nel gennaio del 1927.

Nel settembre del 1926 fu abolita l’elezione dei Sindaci sostituiti da Podestà di nomina governativa.

Nel novembre 1926 furono sciolti tutti i partiti, ad eccezione naturalmente di quello fascista, e centoventi deputati dell’opposizione dichiarati decaduti. Gramsci fu arrestato davanti a Montecitorio e, poi, condannato assieme a gran parte del gruppo dirigente comunista a vent’anni di reclusione; i socialisti, alcuni in maniera molto avventurosa, presero la via dell’esilio. La MVSN fu affiancata da una speciale polizia politica, l’OVRA (Organizzazione per la vigilanza e la repressione dell’Antifascismo). Fu istituito il confino di polizia per gli oppositori e ripristinata la pena di morte.

L’Italia entrò così nel tunnel di quella dittatura che l’avrebbe condotta nel baratro della seconda guerra mondiale: il consolidamento progressivo del fascismo fra il 1922 e il 1926 non sarebbe però potuto avvenire se esso non avesse goduto dell’appoggio delle forze economiche, i cui interessi furono massicciamente sostenuti dal governo.

Soltanto con la Resistenza, quasi vent’anni dopo, quel capitolo fu definitivamente superato, attraverso lutti immensi, sacrifici enormi, distruzioni immense: dalla Resistenza nacque la Repubblica e dalla Repubblica la Costituzione.

Una storia che merita di esser ancora raccontata nel dettaglio, a monito per le future generazioni.

 

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