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Il prezzo del petrolio, il dollaro e lo scontro tra Russia e Usa

A ottobre, i prezzi del petrolio Wti e del Brent sono crollati di circa 10 dollari al barile ($/b), toccando i minimi rispettivamente da giugno 2012 e dicembre 2010.

L’International Energy Agency ha nuovamente rivisto al ribasso le stime relative alla crescita della domanda petrolifera globale 2014: +700 mila barili al giorno (b/d). La solidità dell’offerta e il rallentamento della domanda di petrolio – fa eccezione quella cinese, in aumento sulla scia del pil reale tendenziale del 3° trimestre 2014 (+7.2%), ufficialmente maggiore di quello Usa (minuto 12’20” del video, fonte: Imf) in termini di parità di potere d’acquisto – non giustificano in alcun modo tali oscillazioni.

Che cosa è successo sul mercato petrolifero?

L’Arabia Saudita ha aperto le ostilità, adottando una politica ribassista aggressiva: il taglio del listino delle forniture di greggio ai clienti è volto a difendere le proprie quote di mercato. Tale opzione – in aperto contrasto con le previsioni del segretario dell’Opec, il libico Abdallah El Badri, e con quanto auspicato a settembre dal ministro iraniano del petrolio, Bijan Zanganeh – ha costretto a sua volta Teheran a scendere sul terreno della riduzione dei prezzi di vendita.

Qual è il fine di questa operazione? Perché mai i sauditi accetterebbero una riduzione momentanea della loro rendita petrolifera? Quali le possibili conseguenze?

L’abbassamento del prezzo del greggio colpisce anzitutto i bilanci statali della Federazione Russa – come avvenne nel 1986 per l’Unione Sovietica – dell’Iran e del Venezuela. In secondo luogo, danneggia lo shale oil Usa, la cui produzione è economicamente sostenibile con prezzi superiori ai 75/80$/b. A inizio ottobre, la produzione di petrolio negli Stati Uniti, grazie al non convenzionale, ha toccato gli 8.88 milioni b/d, record dal marzo 1986.

Ciò non esclude l’ipotesi di una tattica condivisa in campo energetico tra Riyad e una parte dell’establishment di Washington con una chiara finalità anti-russa e anti-iraniana. Di fatto l’asse politico trasversale che va da Hillary Clinton ad alcune componenti del partito repubblicano è ben consapevole dei limiti dello shale nel medio/lungo periodo. Inoltre il calo del costo del petrolio, in teoria positivo per l’Ue, potrebbe contribuire a incrementare l’effetto deflattivo in corso in Europa, agendo come una sorta di “moltiplicatore keynesiano al contrario”, come nel caso delle politiche di austerità implementate nell’Eurozona.

Se le quotazioni stazionassero sotto gli 80$/b, un’ulteriore pressione ribassista potrebbe giungere dalla speculazione finanziaria grazie alla messa in valore delle cosiddette “opzioni put”. Queste concedono ai produttori che si sono assicurati con banche e/p istituti di investimento dal rischio riconducibile alla volatilità dei prezzi il diritto di vendere loro barili (fisici e di carta).

A ottobre il cambio tra euro e dollaro si è stabilizzato attorno a quota 1,25/1,27€/$. Si è così interrotto il forte deprezzamento della valuta Usa nei confronti della moneta unica verificatosi nei due mesi precedenti (da 1,34€/$ il 1° agosto a 1,25€/$ il 6 ottobre). Che si sia trattato della merce di scambio affinché la recalcitrante Ue accettasse la politica delle sanzioni applicate alla Russia, viste le forti pressioni americane pubblicamente ammesse dal vicepresidente Bidennel corso del suo intervento a Harvard? Intanto gli ordini (settembre su agosto) della Germania destinati all’export sono diminuiti dell’8,4%.

La Banca Centrale Europea ha mantenuto invariati i tassi di interesse (2 ottobre) e ha intrapreso il programma d’acquisto di titoli cartolarizzati (Abs, Asset backed securities), consistente nel liberare i bilanci delle banche dai prestiti a imprese e famiglie; sono esclusi i titoli di Stato. Al contempo la Fed, i cui saggi permangono prossimi allo zero, ha confermato la fine del programma di quantitative easing3 (probabile causa del calo dell’oro sotto i 1200$/oncia), ottenendo esiti contraddittori.

La prima stima del pil Usa del 3° trimestre 2014 ha segnato un +3.5% e il tasso ufficiale di disoccupazione è sceso sotto il 6% per la prima volta dall’inizio della crisi; ma il tasso di partecipazione della forza lavoro è ulteriormente diminuito dal 62,8%, al 62,7% (minimo da oltre trent’anni), mentre i salari calano.

Le politiche monetarie ultraespansive da tempo adottate dai principali istituti centrali (comprese Bank of England e Bank of Japan) sono state sonoramente criticate da The Guardian, anche in merito agli effetti redistributivi della ricchezza verificatisi su entrambe le sponde dell’Atlantico dal 2008 ad oggi, come illustrato da wolfstreet.com efactset.com. Sul versante energetico, nonostante i negoziati trilaterali sul gas abbiano portato a un accordo tra Ue, Federazione Russa e Ucraina, è ancora troppo presto per capire se si tratti di una toppa messa in extremis per superare l’inverno o della scintilla di un nuovo rapporto tra Bruxelles e Mosca.

Restano dei dubbi sull’effettivo congelamento dell’indagine antitrust da parte della Commissione Europea contro Gazprom. Mentre Mosca si accorda con Ankara per incrementare la portata del gasdotto offshore Blue Stream (joint-venture paritetica tra Gazprom ed Eni) da 16 a 19 miliardi di metri cubi annui, si susseguono i rumors rispetto al disimpegno di Eni in South Stream Ag (20% del capitale).

A tale riguardo è stato chiaro, ma non del tutto convincente, l’intervento del senatore Massimo Mucchetti, nel corso del 3° Forum eurasiatico. A prescindere da un utilizzo a dir poco parziale dei dati relativi al consumo di gas, il presidente della Commissione industria, commercio e turismo del Senato riproporrebbe lo stesso intervento dopo le elezioni in Ucraina? Quel voto, sulla cui completa democraticità è lecito dubitare fortemente, ha fatto nascere un parlamento ancor più nazionalista del precedente. Alcuni eletti, come Dmitro Yarosh e Borislav Bereza di Pravyi Sektor (che non è entrato in Parlamento come partito, ma con singoli rappresentanti) o Andriy Biletsky, attuale comandante del battaglione Azov, fanno esplicito riferimento all’ideologia nazista. L’est del paese, non recandosi al voto (ma in parte anche le regioni centro-occidentali, con la loro scarsa affluenza), ha mandato un chiaro segnale politico: non si sente più rappresentato da Kiev.

Non a caso, nel corso del vertice Asia-Europa (Asem) del 17 ottobre a Milano, mentre l’agenzia Moody’s aggiungeva benzina al fuoco declassando il debito sovrano russo di un livello (da Baa1 a Baa2), non si è minimamente parlato di Crimea. La situazione nella quale si è cacciata l’Europa è ben rappresentata dal nervosismo manifestato da Angela Merkel durante il sopracitato vertice. Il fatto che il capo dei servizi segreti tedeschi abbia successivamente chiamato in causa i filorussi per l’abbattimento dell’aereo malese non costringerà Vladimir Putin a evitare ritardi ai bilaterali con la cancelliera tedesca dal chiaro significato politico.

Mentre dall’inizio dell’anno le società americane che operano nel settore militare hanno guadagnato il 19% di capitalizzazione in borsa, raggiungendo il loro record di sempre secondo firstlook.org, e “la campagna aerea contro l’Is rischia di risultare irrilevante senza truppe sul terreno” secondo Gianandrea Gaiani direttore di Analisi Difesa, nello scontro tra il multipolarismo e l’unipolarismo statunitense Putin sta tentando di resistere agli Stati Uniti. Questo grazie al rafforzamento di una serie di legami politici e culturali fuori e dentro i propri confini nazionali spesso esprimenti sistemi valoriali tra loro diversi.

Il presidente russo è certamente consapevole dei rischi che potrebbero comportare queste alleanze. Una politica di de-escalation della crisi in corso con Mosca è nell’interesse di ogni democratico europeo; altrimenti Putin potrebbe continuare a dare spazio a chi – come Salvini e Le Pen – nel Vecchio Continente si sta muovendo per spaccare l’Unione monetaria europea”.

Demostenes Floros è un analista geopolitico ed economico. Insegna presso il Master di 1° Livello in “Relazioni Internazionali di impresa: Italia-Russia” (Modulo: Energia) dell’Università di Bologna”.

Fonte: http://temi.repubblica.it/limes/il-prezzo-del-petrolio-il-dollaro-e-lo-scontro-tra-russia-e-usa/67455

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