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Alexey Markov: “Non amo la guerra ma non permetterei mai ai fascisti di vincere”

Alcuni giorni fa Veronika Yukhnina ha intervistato Alexey Markov, commissario politico dell’unità comunista 404 che fa parte della Brigata Prizrak operante in Donbass.

V – Che ne pensa del futuro del comunismo in Russia?

A – L’arrivo del comunismo è inevitabile come il sorgere del Sole. E’ una questione di tempo e di forze necessarie, capisce che lo sviluppo della civiltà non dipende dal tempo ma dall’impegno delle persone. Per cui si può stare seduti sul divano e aspettare l’arrivo del comunismo e non arriverà mai. Ma ci si può lavorare ogni giorno e ogni ora, non sono in grado di capire se ciò avviene tra un anno o tra 50 anni e se non io, né i miei figli ci arrivano, ci arriveranno i nostri nipoti. Lo stesso Lenin diceva che “anche se non arriveremo alla vittoria della rivoluzione sociale…”, ma dopo qualche anno fu il 1917.
E’ probabile che fra qualche anno qualcosa cambia nella politica mondiale nonostante l’apparente onnipotenza degli USA. Tutto potrà cambiare in pochi anni, forse la storia ci darà un’altra possibilità e la useremo meglio della volta scorsa. Alla fine anche il capitalismo nel medioevo ci ha messo un bel po’ ad instaurarsi.

V – Immagini che io sia una comunista dell’occidente: “Noi comunisti guardiamo con speranza il Donbass”. Lei per noi è l’esempio di cui andare fieri, noi non abbiamo più eroi, solo le rovine delle idee socialiste, il rifiuto dell’esempio russo [quello sovietico], lei ci dà la possibilità di sognare un futuro di cui si può parlare senza vergogna. Capisce la vostra importanza?

A – Sinceramente no, siamo uguali a tutti gli altri nel mondo, anche gli spagnoli che vengono da noi non sono supereroi, sono persone normali che vengono da paesi normali, solo che in certi momenti bisogna staccare il proprio culo dal divano, spegnere la TV, fare lo zaino e andare, basta.
Non c’è niente di complicato, anche io pensavo che qui, combattessero dei superman al livello dei Terminator e Robocop, invece arrivano qui minatori, tassisti, medici, insegnanti… chiunque… eroi si diventa in guerra e noi siamo molto molto lontani dall’esserlo. Ciononostante ognuno di noi cerca di cambiare questo mondo. Da soli è difficile, 1.000 persone possono fare qualcosa, 100.000 persone possono cambiare il futuro del paese. Noi abbiamo bisogno di queste 100.000 pronte a sacrificare il proprio comfort, il proprio tempo, a volte anche la propria vita per cambiare questo mondo.

V – Pensa di mollare tutto dopo la guerra e tornare a Mosca nel suo caldo ufficio?

A – Certo, ho grossi piani per una vita lunga, pacifica e felice. Ma se qui servirà il mio aiuto non come combattente di una unità comunista, ma come lavoratore, manager, se qui servirà sviluppare reti di comunicazione, se vedo che questo serve al popolo e non ad un gruppetto di oligarchi, resto qui, è sempre fronte, un po’ diverso, è un fronte dei lavoratori.
Se sono venuto qui a fare la guerra, rimango anche a costruire la pace. Non amo la guerra sarei felice se finisse il prima possibile, ma non permetterei mai ai fascisti di vincere.

V – Ha mai ucciso qualcuno?

A – Spero di no, qui non ci sono stati combattimenti dove puoi guardare il nemico negli occhi. Qui la gente batte il nemico soprattutto con l’artiglieria e i combattenti non vedono mai se uccidono qualcuno perché il nemico sta lontano chilometri.

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