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41 bis: la morte in vita

[Nell’ambito di un ricordo collettivo di Bianca Guidetti Serra – tenutosi il 16 maggio al Vag61 di Bologna – si è voluto riattualizzare all’oggi il senso del suo impegno contro le istituzioni totali e la pena dell’ergastolo. Quello che segue è l’intervento di Sante Notarnicola, contro la morte in vita del 41 bis.]

Anche nel movimento esistono perplessità e ambiguità nel credere che il 41bis sia solo affare per mafiosi…non è così!

Vi sono già tre compagni in regime di 41bis (erano 4, una si è impiccata). E ancora i 4 compagni NoTav di Torino: alcuni di loro hanno subito un trattamento da 41bis in stato di isolamento. E probabilmente lo hanno evitato nella piena applicazione, solo perché i tempi non sono ancora maturi per alzare il livello della repressione. Del resto è sufficiente la “finalità terroristica” di un reato per essere meritevoli del 41bis e di questi tempi non risulta difficile attribuire tale finalità a consuete pratiche politiche nell’ambito del conflitto sociale e di classe.

Qualunque governo, specie in tempo di crisi economica e sociale come quella che stiamo attraversando, ha la preoccupazione del formarsi di una opposizione radicale, pertanto previene e prepara gli strumenti giuridici e pratici per fermare la crescita di un movimento più maturo e consapevole. Tra questi strumenti ci sono quelli prima citati.

Anche in questo caso Bianca ci manca, manca la sua intuizione, i suoi suggerimenti, la sua esperienza.

L’ergastolo e il 41bis non sono solo tortura, sono tortura permanente.

Ormai di tortura ne parlano tra loro, in Europa (vedi sentenza Europea sui fatti del G8), e fa impressione la poca indignazione che produce. Non possiamo assuefarci a una cosa del genere, tenendo conto che siamo noi il vero obiettivo di queste leggi e di questa ferocia.

Le celle del 41bis sono tombe per esseri viventi. Dal 41bis e dall’ergastolo ostativo si esce solo morti o “infami”.

Nel concreto cosa significa “vivere” in 41 bis:

– Cella singola di m 2X3.

– Esclusione da qualsiasi “beneficio” previsto dalla legge sull’ordinamento penitenziale (lavoro interno/esterno, permessi, attività di studio etc.) e più in generale sospensione delle normali regole trattamentali ordinarie.

– Un colloquio al mese solo con i familiari, della durata di un’ ora e sottoposto a videoregistrazione, con vetro divisorio e scientificamente lordato.

– Solo i detenuti che non effettuano colloqui possono fare una telefonata al mese; il colloquio è registrato. Per effettuare questi colloqui telefonici i familiari devono recarsi al carcere più vicino al loro luogo di residenza per essere identificati. Questo vale anche per i colloqui telefonici con gli avvocati.

–  Massimo due ore d’aria al giorno in gruppi di massimo 4 detenuti in isolamento e con divieto assoluto di rivolgere la parola a qualsiasi altra persona.

– Divieto assoluto di passaggio di oggetti tra detenuti (cibo, libri, giornali etc.).

– Limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno.

–  Censura della corrispondenza.

– Non si possono tenere più di tre libri in cella, non si possono ricevere libri o riviste dall’esterno né si possono riconsegnare i libri alle famiglie. È consentito solo l’acquisto solo tramite impresa interna quindi chi non ha soldi non legge. Per inciso: Gramsci, negli anni trenta in pieno regime fascista, poteva tenere in cella 5 libri intercambiabili.

– Collocazione in istituti o sezioni separate dalle altre, collocate preferibilmente in zone insulari, e comunque sorvegliate dai reparti speciali ( i famosi GOM delle torture nella caserma di Bolzaneto del G8 di Genova nel 2001).

– Per tutti i detenuti in 41 bis è vietata la partecipazione ai processi che li riguardano ai quali possono assistere solo attraverso un collegamento in videoconferenza con tutte le ricadute immaginabili in termini di diritto alla difesa.

– Prima applicazione del regime per la durata di 4 anni, poi riprorogabili all’infinito di due anni in due anni.

Queste sono le linee guida del trattamento. Poi c’è l’attuazione pratica a discrezione della direzione penitenziaria formata da: direttore, assistenti sociali, preti, educatori etc., i quali decidono fin nei minimi particolari la giornata fatta per 23 ore di isolamento totale, più piccole vessazioni legate a ogni gesto quotidiano. Accade ad esempio che la grande maggioranza dei detenuti rinunci all’ora scarsa dell’aria in un cortiletto sporco e senza cielo, pur di non dover subire ogni volta una perquisizione che comprende anche quella anale.

Quindi il carcere torna ad essere centrale come lo è sempre stato per i movimenti precedenti. La svolta è alle porte, tenendo conto degli arresti in Valle e nelle manifestazioni sempre meno tollerate. Bisogna colmare il vuoto, fare più attenzione e promuovere una attività continua e solida sul terreno della repressione.

Vi sono nostri compagni e compagne, che spesso in solitudine, si occupano di questo settore. Sempre più spesso militanti giovani ci chiedono del Soccorso Rosso; altri gestiscono trasmissioni radio qui a Bologna, con appuntamento settimanale: “mezz’ora d’aria” a Radio FujiKo seguita anche all’interno della Dozza. Non si parte da zero: vi sono avvocati giovani e altri con anni di esperienza, che sono attenti ai mutamenti giuridici tesi a colpire le lotte e i militanti.

È utile dare un’occhiata al passato, come noi ci organizzammo a suo tempo – ovviamente ogni cosa va adeguata al tempo che viviamo.

Ricordo che a S.Vittore, i primi militanti catturati durante le manifestazioni, facevano capo a Lotta Continua ed era LC che si occupava dei loro bisogni pratici e politici: qualche soldo per rendere meno dura la prigione, la ricerca di avvocati, testimoni etc.

Nel momento in cui gli arresti divennero numerosi e trasversali a tutto il movimento, ci si rese conto che una sola organizzazione, pur articolata come quella di LC, non poteva farcela da sola: qui entrò in gioco “Soccorso Rosso” che, in breve tempo, fu capace di coprire tutto il territorio del paese.

Quando mi trasferirono dal carcere penale di Saluzzo, dopo una manifestazione interna, mi ritrovai all’altro capo del paese: all’isola di Favignana.

Dopo solo due giorni, avvocati e compagni di Trapani bussarono alla porta del carcere. Vi assicuro che apprezzai molto tanta efficacia e velocità. Non altrettanto fu apprezzata dai carcerieri che si sentivano sotto osservazione!

Al carcere di Lecce, prigione molto temuta da tutti, furono addirittura i CC, visto “l’accoglienza” che mi avevano preparato, frenarono i carcerieri avvertendoli che di primo mattino dovevano aspettarsi l’arrivo dei miei avvocati e il procuratore della repubblica per verificare le mie condizioni. Da ciò si intuisce quanto fosse preziosa la rete di assistenza e sostegno intorno ad un prigioniero.

Importante era pure la corrispondenza intorno alla quale Soccorso Rosso aveva una precisa organizzazione di rete: affidava a gruppi di compagni e compagne o a collettivi organizzati, il compito di seguire uno o più prigionieri. Il fatto di ricevere lettere, cartoline e altro in maniera costante era un segnale importante da dare ai guardiani. Piccoli gesti che fanno capire che intorno ad un prigioniero c’è attenzione e quindi ogni trattamento o provvedimento nei suoi confronti va soppesato.

Il carcere duro, con relativi maltrattamenti, sono cose riservate generalmente e storicamente agli oppositori politici. Il 41bis, l’articolo 90 e la pena dell’ergastolo sono robaccia che soddisfano la socialdemocrazia nostrana e i fascisti, non fatevi ingannare, non è vero che servono solo per i mafiosi. Al varco attendono sempre e comunque NOI.

da http://www.labottegadelbarbieri.org/

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