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Panama Papers, un atto di guerra?

Che paradiso, i Caraibi… Il luogo ideale per ambientare una spy story che ogni giorno appare sempre meno uno “scandalo finanziario”, per assumere i contorni di un atto di guerra globale condotta con mezzi informativi.

Non abbiamo ovviamente sottomano i famosi Panama Papers, anche perché il team di giornalisti che li ha avuti in dono non pubblica nemmeno un documento (anzi: solo due, finora, su undici milioni e mezzo). L’esatto contrario di quanto avveniva con Wikileaks, che metteva online tutta la documentazione e ognuno – anche noi, con le nostre poche forze – si poteva metter lì a spulciare alla ricerca di qualcosa di significativo, illuminante, strategico.

Niente documenti, quale verità?

Anche oggi, dunque, pubblichiamo due articoli che ci sembrano importanti perché mettono in evidenza le incongruenze di questa presunta “operazione verità”.

Il primo è di Fulvio Scaglione, ex vicedirettore di Famiglia Cristiana, che riprende per l’appunto i dubbi (eufemismo) espressi proprio da Wikileaks, che della materia certamente se ne intende.

Il secondo è un’intervista de IlSole24Ore a Hervé Falciani, protagonista di un’altra fuga di dossier – i depositanti stranieri pesso le banche svizzere – che spiega i Panama Papers come invito quasi esplicito a trasferire i capitali opachi… direttamente negli Stati Uniti.

Buona lettura!

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Panama Papers, i dubbi di Wikileaks

Fulvio Scaglione

E così, anche l’organizzazione regina del moderno “giornalismo investigativo”, WikiLeaks, la pensa come noi. Trova cioè che in tutto l’affare dei Panama Papers ci sia una nota stonata, qualcosa che non torna. E l’ha fatto sapere con una serie di tweet al vetriolo che lasciano pochi dubbi sul fatto che il suo giudizio sia simile al nostro: ottimo hackeraggio, pessimo giornalismo.
Vediamo le osservazioni di coloro che dal 2006 sono compagni di strada di Julian Assange, da tre anni chiuso nell’ambasciata dell’Ecuador di Londra dopo aver rivelato (2010) una massa di documenti del Governo americano.
Primo: polemica sui documenti. Perché, chiede Wikileaks, quasi nessuno degli 11,5 milioni di file sottratti alla Mossack Fonseca (l’ormai famosa società di consulenza finanziaria di Panama) è stato pubblicato? “In totale il guardian ha pubblicato 2 documenti, Suddeutsche Zeitung 0”, dice uno dei tweet di WikiLeaks. Già, perché? La domanda ha senso, anche perché il Guardian (uno dei giornali che pubblicano le rivelazioni) ha già annunciato che “rispetterà la privacy delle persone coinvolte”. WikiLeaks aggiunge in un altro tweet: “Se censuri più del 99% dei documenti è chiaro che il tuo giornalismo non supera l’1%”.
Poi l’organizzazione di Assange va al cuore del problema. Pur escludendo che si possa parla di un “complotto contro Putin” (“sarebbe un nonsenso”, twitta), mette a segno alcuni colpi duri. Altro tweet: “Il Governo Usa ha finanziato l’attacco a Putin attraverso Usaid. I giornalisti sono bravi ma non certo un modello di onestà”.
Per capire bene di che si parla occorre ricordare che Usaid è l’agenzia del Governo americano per i progetti di cooperazione e sviluppo all’estero. È diretta da Gayle E. Smith che è stata assistente speciale di due presidenti, Bill Clinton e Barack Obama, e durante le stesse due presidenze anche membro del Consiglio nazionale di sicurezza. Detto in poche parole: dietro questo scoop ci sono i soldi di un Governo, quello americano. Non una garanzia di obiettività e, soprattutto, un faro che illumina uno dei grandi dubbi che aleggiano su questi Panama Papers: com’è possibile che non un cittadino o un’impresa americani siano coinvolti? Nessuno riccone negli Usa si è mai servito di una società off shore? Non a caso WikiLeaks sottolinea: “I quattrini di Washington influiscono sulla copertura giornalistica”.
E non ci sono solo i denari governativi. L’altro grande finanziatore del progetto, secondo Wikileaks, è George Soros, il finanziere di origine ungherese che ha finanziato ogni possibile iniziativa anti-sovietica e da anni fa altrettanto con ogni possibile iniziativa anti-russa. Va ricordato che Soros non è solo l’uomo delle speculazioni contro la sterlina e contro la lira del 1992, che fecero danni enormi ai due Paesi. È anche l’attivista che, con i suoi dollari, rese possibile la Rivoluzione delle Rose in Georgia e il successo di Mikheil Sakashvili, arrivato dagli Usa per diventare presidente del Paese e che l’anno scorso, diventato ucraino di passaporto, è stato nominato governatore della regione di Odessa dal presidente Pietro Poroshenko,
Dice ancora WikiLeaks: “L’attacco a Putin è stato prodotto da Occrp che ha nel mirino la Russia e l’ex Urss ed è finanziato da Usaid e Soros”. Qui bisogna spendere qualche parola sull’Occrp, ovvero Organized Crime and Corruption Report, un consorzio di giornalisti e agenzie giornalistiche fondato nel 2006 e attivo soprattutto nei Paesi dell’Est. Il suo momento di gloria coincide con un’altra contrapposizione tra Usa e Russia.
Stiamo parlando del “caso Magnitskij” investigato appunto dall’Occrp, la vicenda legata al nome di Sergej Magnitskij, un analista finanziario morto in carcere a Mosca nel 2009. La storia è molto complessa, proviamo a riassumerla così: Magnitskij lavorava per lo studio legale Firestone Duncan ed era stato incaricato di esaminare una richiesta di danni per un miliardo di dollari a carico della società finanziaria Hermitage Capital Management. Questa era stata fondata nel 1996 da due finanziari, l’americano Bill Browder e il libanese Edmond Safra e in breve tempo aveva acquisito partecipazioni in importanti aziende russe come Gazprom, Sberbank e Rao Ues (l’Enel di Russia). Browder aveva ammassato una grande fortuna negli anni delle privatizzazioni di Boris Eltsin ma nel 2006 era stato espulso in via definitiva dalla Russia.
La vera confusione comincia a quel punto: secondo Browder e poi secondo Magnitskij, la Hermitage Capital Management venne ceduta ad altri in modo fraudolento, grazie alla compiacenza di giudici corrotti e a documenti sottratti ala società durante indagini fiscali organizzate a bella posta. Dopo la cessione era arrivata una richiesta di danni miliardaria. Poi Magnitskij era stato arrestato, era morto in carcere e nel 2012, ad anni di distanza dai fatti, il Congresso Usa aveva votato una legge che proibiva l’ingresso negli Usa e qualunque rapporto finanziario con dodici funzionari russi coinvolti nel caso. Per ritorsione la Russia aveva bloccato le adozioni di bambini russi da parte di cittadini americani.
Anche questa disputa tra i due Stati a colpi di sanzioni, insomma, compone lo sfondo dei Panama Papers. Più passa il tempo, più questo caso perde i contatti con il giornalismo per affacciarsi su ambienti assai più oscuri e insidiosi.

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Parla Falciani: «Lo scandalo dei Panama Papers favorisce gli Stati Uniti»

di Angelo Mincuzzi

«Umberto Eco diceva che la verità è molto più difficile da dimostrare della menzogna. E allora per capire davvero questa storia dei Panama Papers non bisogna soffermarsi sui nomi dei personaggi coinvolti che, per quanto importanti, sono solo la superficie visibile ma bisogna comprendere i meccanismi profondi che ci sono alla base. E alla base c’è che per un servizio di intelligence di medie dimensioni entrare nei server di una società non è un’operazione che richiede una grande difficoltà. L’unico vero ostacolo è di natura politica». Hervé Falciani è stato il protagonista del caso SwissLeaks, un anno fa. Allora a finire sui giornali di tutto il mondo furono i nomi dei clienti della Hsbc Private Bank di Ginevra, uno dei più grandi gruppi bancari internazionali, e l’elenco prese il nome di “Lista Falciani”. Naturalmente Falciani non fece tutto da solo. I file furono prelevati da una rete di persone, ancora oggi non identificate, utilizzando sofisticati sistemi informatici. Per aver rivelato quei nomi Falciani è stato condannato in Svizzera a 5 anni di carcere.

Falciani, perché chiama in causa i servizi di intelligence?
Perché oggi il vero punto importante è l’intelligence economica. Dall’inizio della crisi finanziaria del 2007, poi diventata una crisi economica, la competizione tra i paesi si è accentuata e in questa competizione – in un’economia che ruota sempre più attorno all’informazione – è l’intelligence economica a fare la differenza.

Sta dicendo che vince chi gestisce le informazioni?
Certamente sì. Premesso, dunque, che entrare nei server di una società non è un’operazione difficile, come convincere un capo di governo o un ministro europeo ad andare a prelevare i dati di uno studio legale come Mossack Fonseca? Il problema non è piccolo. Un’operazione di trasparenza verso Panama o verso qualsiasi altro centro di opacità, per un governo europeo è come spararsi sui piedi.

Perché?
Lo si vede in questi giorni cosa sta accadendo ai capi di governo di alcuni paesi europei. Se un governo accetta di prendere quelle informazioni e di indagare rischia di danneggiare se stesso e l’economia del suo paese, visti i personaggi e le imprese coinvolte. Nessun politico europeo o dell’America del Sud prenderebbe mai una iniziativa del genere.

E allora chi può farlo? Chi beneficia dell’operazione Panama Papers?
Nel breve periodo saranno gli Stati Uniti a beneficiarne. La pressione esercitata sugli altri paradisi fiscali fa sì che chi dispone di ingenti quantità di soldi dovrà continuare comunque a lavorare. E con chi continuerà a farlo? Ma con il Delaware, naturalmente.

Dunque, i Panama Papers come SwissLeaks si inseriscono in una competizione globale tra Stati Uniti e altri mercati?
È come sempre una questione di intelligenza economica. Se le transazioni e i flussi finanziari avvengono in Svizzera o a Panama, gli Stati Uniti non controllano quelle informazioni, anche se si tratta di operazioni opache. Spostando questi flussi attraverso il Delaware, ad esempio, gli Usa riusciranno a gestire una massa di informazioni sempre crescente. È un effetto già visto. E guardi che io non vedo nulla di male in questo. Posso sintetizzare con una battuta: facciamo tutti la scelta di essere americani. Meglio che russi, no?

Non c’è fine allora ai paradisi fiscali?
La lotta va fatta localmente. Come un cancro si cura non dall’esterno ma dall’interno del corpo, allo stesso modo bisogna comportarsi contro il cancro economico, cercando all’inizio di optare per una vita sana e solo dopo facendo ricorso alla chirurgia

Da cosa si può cominciare?
Il sistema del Kyc, il Know your customer, che significa conosci il tuo cliente e che obbliga banche e intermediari ad appurare chi è il reale beneficiario economico dei soldi, non funziona. Quando Mossack Fonseca dichiara che aveva relazioni con 14mila intermediari, istituti di credito e avvocati, e che non spetta a loro sapere chi si nasconde dietro le società scudo, si capisce che questo sistema genera un meccanismo perverso. Le società offshore rendono il Kyc inutile. Ognuno scarica la responsabilità sugli altri. È un balletto che abbiamo già visto.

Eppure la pubblicazione dei primi nomi dei Panama Papers ha suscitato le prime reazioni nell’opinione pubblica…
L’elemento più importante di queste operazioni è che permettono a una quantità sempre maggiore di persone di rendersi conto di come funzionano i meccanismi dell’opacità, del segreto bancario e dei paradisi fiscali. Ed è importante che si comprenda quanto sono semplici questi meccanismi. A Panama, in Svizzera, in Lussemburgo. Non si tratta di nulla di complicato, come si vorrebbe far credere. E poi…

E poi?
Uno degli aspetti più interessanti di questa vicenda è che ora sappiamo che nessun posto è sicuro. Che basta un’email per rivelare tutto. Che è sufficiente che ci sia qualcuno che abbia interesse ad andare a vedere cosa c’è dentro la Mossack Fonseca per ottenere tutto ciò che vuole. E il discorso non vale solo per la Mossack Fonseca.

Vale davvero per tutti?
Benvenuti in Delaware.

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