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L’Italia è una Repubblica fondata sul pareggio di bilancio (terza parte)

L'inserimento in Costituzione dell'articolo 81 sul pareggio di bilancio costituisce la certificazione definitiva che l'Italia non è più una Repubblica fondata sul lavoro, come stabilito dagli articoli 1, 4 e 35 della Costituzione, perchè la preclusione a svolgere politiche di deficit comporta automaticamente l'impossibilità di perseguire il fine programmatico della piena occupazione e l'attuazione dei diritti sociali.

La costituzionalizzazione del vincolo del pareggio in bilancio realizza il punto più alto di contrasto tra i principi fondamentali della nostra Costituzione e le regole contabili imposte dall'Unione Europea.

Tralasciando per economia di trattazione quelle misure (Euro Plus, Six pack, istituzione del Mes), che già avevano  inasprito la sorveglianza economica e fiscale degli Stati membri, si arriva nel 2012 alla firma del famigerato Fiscal compact, (da cui prende le mosse poi l'introduzione del pareggio in bilancio attraverso l'articolo 81 della Costituzione), ratificato da 25 Capi di Stato, il quale, tra i vari vincoli capestro, prevede all'articolo 4 che, se uno Stato contraente presenta un debito pubblico superiore al limite fissato dal trattato Ue (60 percento del Pil), ha l'obbligo di ricondurlo entro tale limite al ritmo di un ventesimo l'anno in media.

In concreto, per il nostro paese che viaggia con un debito superiore ai 2.000 miliardi, tale impegno comporterebbe una riduzione pari a circa 50 miliardi l'anno.

Un obbiettivo raggiungibile solo stremando la popolazione e condannandola ad un lungo futuro fatto di miseria.

Da questo punto di vista il Fiscal compact e la modifica dell'articolo 81 della Costituzione recepiscono quella teoria economica dello Stato minimo tanto cara a Von Hayek, ma soprattutto costituiscono un vero e proprio manifesto programmatico poichè rendono pregnanti e cogenti tutti quei vincoli di bilancio contenuti dal trattato di Maastricht  fino ai giorni nostri.

La lettura dei primi due commi dell' articolo 81 in base al quale "Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali" potrebbe trarre in inganno.

La considerazione degli effetti del ciclo economico al fine di consentire un eventuale ricorso all'indebitamento, non è, come sostenuto da alcuni, una breccia che si aprirebbe nell'articolo 81 e consentirebbe di mettere in campo politiche anti cicliche, per una ragione semplicissima: la valutazione sull'adeguatezza delle politiche di bilancio dei paesi dell'Eurozona e quindi il calcolo dell'indebitamento, compete alla Commissione europea, ovvero a quello stesso organismo mandante delle politiche di austerity che comprimono i diritti sociali contenuti nella Costituzione.

 

Un caso esemplare: la sentenza della Corte Costituzionale in materia di rinnovo dei contratti pubblici

La dimostrazione di come l'introduzione in Costituzione delle modifiche all'articolo 81 manda al macero i principi fondamentali della nostra Carta e più in generale l'intera  parte economica della stessa, si è avuta a proposito della sentenza delle Corte Costituzionale in materia di rinnovo dei contratti pubblici, laddove i Giudici hanno dichiarato, con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza, l’illegittimità costituzionale sopravvenuta del regime del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico.

In pratica la Consulta ha riconosciuto l’illegittimità costituzionale del blocco contrattuale, ma senza effetti per il periodo fin qui intercorso: quindi ha disposto l' annullamento pro futuro negando ai dipendenti pubblici la corresponsione degli arretrati.

Ciò in quanto la Corte ha tenuto conto dell’ interesse collettivo al contenimento della spesa pubblica misura “oggi più stringente, in seguito all’introduzione nella Carta dell’obbligo di pareggio di bilancio”.

L’articolo 81 diventa quindi il principio guida che si pone al di sopra dei diritti costituzionali e quindi, considerato che il diritto al rinnovo del contratto di lavoro comporterebbe una maggiore spesa pubblica (quantificata più o meno in 35 miliardi) tale da rendere impossibile il pareggio di bilancio, quel diritto deve cedere il passo e cessare di esistere.

Le parole del costituzionalista Mangia esprimono in tutta la sua drammaticità le conseguenze prodotte dall'introduzione del pareggio in bilancio in Costituzione "L'impianto costituzionale del paese è sostanzialmente cambiato dopo l'introduzione del nuovo art 81 della Costituzione. Il principio del pareggio di bilancio è solo apparentemente una norma costituzionale tra le altre. In realtà è lo strumento attraverso cui si è realizzato l'aggancio definitivo a una politica economica e sociale che è destinata a mutare definitivamente e drammaticamente il volto del paese, come questi anni di crisi dovrebbero aver dimostrato a tutti. (…) tutta la Costituzione viene a subordinarsi alle esigenze di coloro che hanno premuto per l'introduzione di questo principio, trasformando i diritti costituzionali in diritti destinati a valere nei limiti di un bilancio statale (…) che è governato dall'esterno: cioè  da banche e finanza"

Ma se i diritti costituzionali sono ora tutti finanziariamente subordinati alla loro sostenibilità, ecco che della Costituzione italiana fondata sul lavoro non rimane più traccia:  la natura eversiva dell'introduzione dell'obbligo del pareggio in bilancio in Costituzione è tutta qua.

(segue)

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1 Commento


  • Alfonso D’Andretta

    Perché questo famigerato art. 81 non vale anche per; camera, senato, presidenza del cosiglio, della repubblica e altri organi governativi?

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