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L’Unione Europea a due velocità: un ulteriore giro di vite

La Merkel e l’Ue a cerchi concentrici

Lo scorso venerdì  3 febbraio  a La Valletta ( Malta) , al vertice dei capi di governo dell’Unione europea, Angela Merkel rende pubblica la proposta emersa dal summit: costruire una nuova Ue, non più tendente  all’ unità sovranazionale dei 27 Paesi aderenti ( 27 perché ormai è fuori il Regno Unito), ma a cerchi concentrici, a “due velocità”.

La Merkel propone anche che il nuovo progetto di Ue sia approvato e assunto nella Dichiarazione politica finale che sarà licenziata al prossimo vertice dell’Ue, che si terrà il 25 marzo a Roma. La proposta della Merkel poggia sul Documento prodotto da Olanda, Belgio e Lussemburgo ( “Contributo del Benelux alla Dichiarazione di Roma 2017”) nel quale si sostiene – tra l’altro – che : “ Diversi percorsi di integrazione e di cooperazione rafforzata possono costituire la risposta concreta alle sfide che colpiscono Stati e membri dell’Ue in diversi modi”.

Appare davvero significativo, simbolicamente esplosivo, il fatto che si proponga di ratificare il progetto di una Ue a due velocità proprio al prossimo vertice di Roma del 25 marzo, un vertice già convocato per commemorare il 60° anniversario dei Trattati che istituirono la Comunità Economica Europea ( Roma, 1958) e il 25° del Trattato sull’Unione Europea (Maastricht, 1993), un vertice, dunque, concepito in prima battuta come acceleratore del processo unitario sovranazionale dell’Ue che invece – attraverso la ratifica di una Ue divisa e a cerchi concentrici – potrebbe rivelarsi come la tomba stessa del progetto storico dell’Ue.

                                        Vertice di Roma del 25 marzo        

 Se al Vertice di Roma del prossimo 25 marzo la proposta di una Ue a due velocità si ratificasse, saremmo di fronte ad un evento di primaria importanza. Tuttavia vi è uno scarto, in questa fase, tra la portata dell’evento ( ormai più che verosimile) e il modo in cui esso viene trattato, sia dagli esponenti politici massimi dell’Ue che dai media. Perché la possibilità di una Ue che dichiari il proprio fallimento ( proprio attraverso una “ritirata” verso una propria forma a cerchi concentrici) viene quasi assunto come un dato già inscritto nelle cose e non come una straordinaria battuta d’arresto di un progetto storico. Il tempo ci darà modo di indagare meglio su questo atteggiamento “understatement” dell’intero establishement Ue: per ora possiamo dire che sia gli esponenti politici di maggior rilievo dei governi Ue che gli specialisti dei media avevano già messo in conto il fallimento del progetto dell’Unione europea e, di fronte al suo concretizzarsi, non ne rimangono stupiti.

Dunque, il primo punto da rimarcare – rispetto al Documento del Benelux volto ad una Ue a due velocità e alla conseguente proposta della Merkel diretta a far si che quel Documento divenga la nuova linea dell’intera Ue – è che il progetto dell’Ue è fallito. Ed è strano che ad accorgersene e a dichiararlo pubblicamente siano proprio i costruttori iniziali dell’Ue, mentre a non vedere la realtà e a difendere a spada tratta l’Ue siano ancora i zelanti amici dell’Ue, in gran parte collocati, in tutti i Paesi dell’Ue, nei vasti quanto vaghi  fronti della “sinistra” moderata, socialdemocratica di nome o già ex socialdemocratica.

“ Abbiamo imparato dalla storia degli ultimi anni che ci potrebbe essere un’Unione europea con differenti velocità e che non tutti parteciperebbero ogni volta a tutti i passaggi dell’integrazione. Penso che questo potrebbe essere inserito nella Dichiarazione di Roma”. Queste le parole esatte della Merkel al Vertice de La Valletta, una Merkel ( una Germania, dunque) che passa in un lampo dalla Grande Costruttrice dell’Ue alla sua Distruttrice. Siamo di fronte ad un passaggio di fase densissimo e probabilmente cruciale per tutti i popoli dell’Ue, ad un passaggio di fase che potrebbe persino rivelarsi storico, e dobbiamo capire come ci siamo arrivati e che cosa questo può evocare.

                                                    Il fallimento dell’Ue

Dunque: agli occhi dei suoi stessi, massimi, “ingegneri politici” siamo di fronte al  fallimento dell’Ue. Da dove viene tale fallimento? Gli “ingegneri” non lo dicono, ma il fallimento del progetto unitario sovranazionale risiede, innanzitutto, nel fatto che le politiche iperliberiste imposte proprio dal Trattato di Maastricht a tutti i Paesi membri dell’Ue ha fatto sì che gran parte di questi Paesi (di questi popoli) si impoverisse al punto da  allontanarsi sideralmente,  sul piano economico e sociale, dal nucleo centrale europeo più solido e storicamente più ricco. Gli “ingegneri” non lo ammettono – poiché dovrebbero ammettere la natura imperialista del nucleo centrale dell’Ue – ma, sotto la tirannia dei dettami di Maastricht e delle profonde distorsioni antisociali provocate dall’Euro, i Paesi economicamente e strutturalmente più fragili dell’Ue hanno di molto peggiorato le loro condizioni originarie, favorendo, anche attraverso il loro progressivo impoverimento, l’arricchimento e il rafforzamento dei pochi Paesi padroni dell’Ue, specificatamente della Germania ( tra le poche cose giuste dette da Trump in questi giorni vi è proprio la sua denuncia dello strapotere economico tedesco in relazione agli Paesi dell’Ue).

A partire da tale costatazione, l’Ue a due velocità – più che una proposta del Benelux e della Merkel – è  la constatazione di un dato di fatto, la messa in luce del prodotto storico di  un lungo trentennio di politiche iperliberiste e di spoliazione sostenuto dalla stessa Ue.

E’ inevitabile, dunque, che di fronte ad un processo di drammatica diversificazione dello “stato delle cose” nei vari Paesi Ue ( diversissima ricchezza, diversissimo PIL, occupazione, welfare, sviluppo reale e potenziale) la stessa Ue blocchi il proprio processo di unità sovranazionale per rinculare in un progetto a due velocità, in cui – questa è la verità – solo i più forti si uniscono e possono unirsi?

                         Il processo unitario potrebbe continuare. A condizione…

No, non sarebbe affatto inevitabile, e il processo unitario potrebbe continuare. Ad una condizione, però: che l’unità dei Paesi e dei popoli europei fosse concepita come un valore in sé anche – e soprattutto – dai Paesi forti, ad iniziare dalla Germania. Poiché se così fosse la ricchezza generale dell’Ue dovrebbe essere ridistribuita in modo equanime a tutti i 27 Paesi dell’Ue, in modo da colmare le differenze e di garantire uno sviluppo uguale e generale dell’intera Ue.

Ma è chiaro che così non è; è chiaro che mai e poi mai la Germania e gli altri, pochi, Paesi forti dell’Ue ridistribuiranno ricchezza alla Grecia e al Portogallo, poiché ciò non è iscritto nel processo di costruzione di questa Ue, dove è invece iscritto  un progetto di accumulazione, di tipo imperialistico, dei gruppi capitalistici transnazionali europei.

Dunque: giunti, per via delle stesse politiche iperliberiste di Maastricht, al punto più alto del processo di deflagrazione dell’unità dell’Ue, la Merkel (la Germania) decide che tale processo non può più essere invertito ( poiché costerebbe troppo a Berlino e agli Paesi forti dell’Ue, perché costringerebbe l’intera Ue a dotarsi sia di un sistema fiscale che di un sistema di divisione degli introiti, democratici ed ugualitari, progetti che cozzano totalmente con lo spirito e la prassi Ue) e ciò che rimane da fare è solo ratificare la fine dell’Ue prima maniera. A Roma, il prossimo 25 marzo.

                                            Brexit e le prossime elezioni Ue

Se la base economica del progetto di ratifica dell’Ue a due velocità è questo, ad essa si aggiungono due fatti, che in egual misura scoraggiano sin da ora un progetto di rilancio dell’unità sovranazionale europea: la vittoria della Brexit in Gran Bretagna e le elezioni nazionali , nel 2017, in Francia, in Olanda e Germania. In Francia e in Olanda si danno per certe le affermazioni politiche delle forze euroscettiche e in Germania questa stessa tendenza potrebbe segnare di sé, in diversi modi, l’esito elettorale. E a queste tre possibili e pesanti novità politiche potrebbe aggiungersene un’altra, quella italiana:  anche in Italia, che si voti nel 2017 o nel 2018, non è affatto esclusa una vittoria della tendenza euroscettica e anti Ue.

                                                Il governo Gentiloni

Il governo Gentiloni ha già espresso il proprio, totale, accordo con la proposta Merkel dell’Ue a due velocità. Completa subordinazione a Berlino? Inclinazione masochistica? Tutte e due le cose assieme. Poiché l’Italia potrà anche essere parte del primo nucleo dell’Ue, quello forte e coeso, la “prima velocità”, o “velocità superiore”, ma se per far parte dell’Ue di Maastricht l’Italia ( i lavoratori italiani, il popolo italiano) ha già pagato un prezzo pesantissimo, per far parte della “ prima velocità” occorrerà proprio svenarsi. Ed il motivo è chiaro: per far parte del “nucleo forte” dell’Ue occorrerà accettare nuovi e più pesanti vincoli: l’ulteriore rafforzamento dell’Euro ( con gravi danni alle esportazioni italiane); i conti pubblici “in regola” ( e cioè essere, dal punto di vista del Bilancio, come la Germania ma senza avere l’economia tedesca: un’incongruenza politica e  sociale con un finale già noto: fine definitiva del welfare e ulteriore giro di vite sui lavoratori); infine, divieto assoluto di chiedere flessibilità per i vincoli Ue di bilancio. E cioè: se sei nel gruppo di avanguardia smetti di piagnucolare, smetti di fare le finte pantomime “renziane” anti Ue e tiri dritto, senza più rivolgere lo sguardo ai tuoi problemi sociali.

                                       I Paesi della “seconda velocità”

E tutto ciò per i Paesi più forti, quelli che sin da ora accettano l’Ue a due velocità collocandosi nel “primo girone”; ma per gli altri, quelli che sin dall’inizio si collocheranno nella “velocità minore”, nella retroguardia? Per loro il destino, se possibile, sarà ancora più oscuro: essi, da una parte, dovranno ancora  accettare molti dei vincoli antisociali dei Trattati di Maastricht e di Lisbona, al fine di non uscire dal giro della stessa Ue; e, d’altra parte, dovranno ancor più inasprire le loro condizioni sociali interne al fine di poter conquistare i parametri economici necessari per rientrare nel gruppo d’avanguardia. Assommando a tutto ciò la dittatura economica dell’Ue che, considerandoli virtualmente ancora propri soggetti, impedirà loro di relazionarsi positivamente con le economie, i mercati, le strutture finanziarie, i Paesi esterni all’Ue.

                                           L’esercito europeo e la NATO

Nel progetto dell’Ue a due velocità si inserisce anche la questione dell’esercito europeo. Com’era già nei fatti, sono i Paesi della prima velocità ( fondamentalmente, le vecchie potenze imperialiste europee) a lavorare di più per dotarsi dell’esercito europeo. Un esercito che, già dalla nascita, sarà parte subordinata della NATO. E anche qui Trump è stato di una cristallina chiarezza: egli non ha mai dichiarato di essere contro la NATO ( come hanno voluto precipitosamente credere anche alcuni a sinistra), ha anzi affermato di volere una NATO ancora più forte: solo che a pagarla debbono contribuire molto di più tutti i Paesi dell’ Alleanza Atlantica. Una NATO ancor più forte – nell’ottica solidale Trump- Stoltenberg, segretario generale NATO – e dominus dello stesso esercito europeo. Dunque, a partire dall’Italia – Paese della prima velocità Ue-  vediamo cosa si profila: si profila un impegno economico-militare  nuovo  per la costruzione dell’esercito europeo, più un ulteriore e più pesante impegno economico per continuare a far parte della NATO. Tutto ciò per un esercito europeo sotto il comando NATO e dentro una spinta bellica imperialista complessiva volta – con Trump al comando – all’acutizzazione, intanto, degli scontri con Cina e Iran.

                                         Ue e Euro: perché farne parte?

La domanda finale  che il fallimento dichiarato della Ue e la stessa involuzione insita nell’Ue a due velocità evocano, non può che essere questa : ma per quali motivi i popoli dovrebbero ancora desiderare di far parte dell’Ue ( quella d’avanguardia o di retroguardia, della prima velocità o della seconda) se i prezzi da pagare rimangono così alti e addirittura tendono ad inasprirsi? Perché, per rispettare i vincoli antisociali europei, rinunciare a far parte – economicamente, commercialmente, culturalmente, politicamente – dell’intero mondo?  Non è davvero l’ora – proprio a partire dal fallimento Ue – di cercare altre strade, di liberarsi dal dominio, ormai davvero oscuro, dell’Ue e dell’Euro?

* segreteria nazionale PCI, responsabile dipartimento esteri

 

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