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Una rete europea per il diritto al dissenso, in difesa delle lotte sociali

Iniziativa promossa dall’Osservatorio Repressione a Bruxelles 28 e 29 Giugno 2017

L’Osservatorio Repressione propone la nascita di una ” rete Europea per il diritto di dissenso in difesa delle lotte sociali“. Una rete che sia capace di investigare sulle forme della repressione a partire dai singoli stati Europei verificando le similitudini legislative dei singoli paesi trovando i punti in comune. Un lavoro che deve andare oltre la sola testimonianza, il denunciare quanto la repressione sia crudele e quanto gli Stati Sovrani rispondendo al turbocapitalismo, finiscono nel non più garantire il minimo dei diritti democratici più propensi a esportare la Democrazia nel mondo producendo un’infinita lotta al terrorismo.

Chiaramente analizzare le diverse questioni è necessario e doveroso, ma il fine deve indagare su come sia possibile formulare soluzioni che cominciano a fornire effettivi strumenti e garanzie per quanti e quante sono impegnati nelle lotte sociali.

L’ordinamento giuridico nei vari paesi Europei, le lotte sociali dentro i confini della semplice testimonianza. Azioni, denunce, lotte, contro informazione, non devono in alcun modo uscire dai confini di una legalità che riconosce solo la legittimità alla denuncia in forma di semplice testimonianza, ma vieta qualunque azione conflittuale. Il rispetto delle regole è condizione essenziale al mantenimento della legalità dell’ordinamento giuridico delle diverse democrazie.

Il dissenso espresso nelle forme più visibili, praticate da tante e tanti, viene sempre più affrontato e narrato come una minaccia, anche nei casi in cui il livello di radicalità espresso è minimo.

La repressione del dissenso, in qualsiasi modo esso si manifesti, è un punto cardine delle leggi antiterrorismo, dello stato di emergenza. Le legislazioni speciali sospendono alcune libertà individuali per rafforzare e facilitare l’intervento delle autorità in situazioni di emergenza, che si tratti di una guerra, di un attacco terroristico o di un disastro naturale, sono sempre rivolte non solo a colpire la minaccia esterna, ma anche quella interna che può mettere in discussione la legittimità dell’autorità.

Le detenzioni, le sanzioni amministrative, le restrizioni delle libertà oggi, più di ieri, riguardano tutti i settori popolari e sociali. In Europa e non solo, stiamo assistendo a un progressivo stato di controllo sociale, dove la libera circolazione è garantita solo a merci e a quanti rispettano le regole.

Lo stato di eccezione permanente è preso benevolmente dalla popolazione perché percepito a sua difesa per la sua sicurezza. Un lavoro fatto talmente bene che oggi è più complesso difendere i diritto a dire no a un potere economico sovranazionale che determina le politiche sociali ed economiche degli stati Sovrani. Si è costruito un nemico, denominandolo terrorista, producendo, sviluppando e mantenendo intere aree in un perenne stato di guerra.

Contrastando a parole le migrazioni mentre di fatto si facevano crescere le condizioni per una nuova massa di schiavi, prima costretti alle indicibili avventure per giungere nel primo mondo, per poi in parte essere impiegarli nei lavori stagionali o in condizioni di assenza di diritti sindacali sia se regolarizzati che a prestazione di lavoro a nero.

Questo avviene oggi,  in una fase storica, dove i sistemi cosiddetti “democratici” sono sempre meno titolari di consenso popolare, e in contesti simili la storia ci insegna che il potere si tutela restringendo gli spazi di diritto e libertà.

Oggi l’emergenzialismo è norma fondamentale generale e ordinaria dei sistemi di governo. Lo stato di eccezione permanente si presenta cosi come il miglior paradigma di interpretazioni delle forze più avanzate della governance contemporanea.

La repressione rappresenta oramai una maniera di gestione del dissenso sempre più generalizzata sulla quale è necessaria una riflessione a livello Europeo.

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