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Decreto Minniti: la repressione all’epoca della competizione globale

In vista del convegno nazionale di Eurostop che si terrà a Bologna sabato 23 settembre, un contributo a cura di Noi Restiamo riguardo al clima repressivo creato dal ministro dell’interno Minniti e alle conseguenze sul piano politico del suo operato, strutturato in una prima parte di inserimento nel contesto politico generale, nazionale ed europeo, e in una seconda parte di analisi tecnica a partire dal testo normativo dei due decreti di febbraio 2017.

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Per comprendere la reale portata dei due decreti Minniti è necessario inserirli nel contesto sociale ed economico italiano ed europeo e all’interno dei rapporti diplomatici internazionali.

A livello internazionale, al di là della retorica del villaggio globale, i vari blocchi geopolitici sono in competizione crescente tra loro.

Per potersi meglio classificare in questa competizione, i blocchi hanno necessità di stabilità interna, rigore ed efficienza. Da ciò derivano i tagli allo stato sociale, la precarizzazione del lavoro, la ridefinizione del tessuto produttivo e così via, a fronte invece di un mantenimento costante delle spese militari, se non di un loro incremento, come settore strategico fondamentale da sviluppare verso un’integrazione militare europea sempre maggiore.

Le politiche lacrime e sangue però hanno determinato una pesante crisi di egemonia della borghesia europeista continentale. La crescita di partiti “antisistema”, l’astensionismo ad ogni tornata elettorale e il rifiuto dell’austerity, e di chi l’ha sostenuta e manovrata, che le popolazioni degli stati dell’Unione Europea hanno manifestato ogni volta che gli è stato permesso (vedi l’Oxi greco, la Brexit, il No alla riforma costituzionale italiana) sono segnali evidenti dell’attuale difficoltà di gestione della sfera pubblica che i vari governi si trovano ad affrontare.

Si agisce sull’immaginario collettivo tramite la retorica, enfatizzata dalle principali testate nazionali, dell’immigrato che ruba il lavoro e della bassa competitività (leggasi “salari troppo alti per settori a scarso valore aggiunto”) che spinge le piccole e medie imprese a chiudere i battenti e le grandi multinazionali a spostare i capitali all’estero, determinando così un clima di guerra tra poveri all’interno del blocco sociale, volta a neutralizzare la spinta organizzativa necessaria per contrastare e lottare contro la guerra dall’alto dei padroni.

Accanto all’azione di indebolimento delle coscienze e di destrutturazione ideologica, la classe dominante riorganizza e inasprisce le politiche repressive attuate dal braccio forte dello stato, magistratura e forza pubblica, ed è in quest’ottica che dobbiamo analizzare i decreti Minniti.

Il piano legislativo e giudiziario è sempre stato lo strumento strategico di legittimazione degli attacchi ai diritti sociali e del lavoro. Abbiamo assistito infatti ad un processo, sviluppatosi per “emergenze”, che ha via via azzerato ogni angolo “garantista” del sistema penale e giudiziario, a cui è stato affidato un ruolo sempre più importante nei processi di ristrutturazione sociale e politica di questi ultimi anni. Siamo passati, tanto per fare qualche esempio, dall’emergenza terrorismo all’emergenza droga, dall’emergenza mafia all’emergenza ultras, dall’emergenza scioperi all’emergenza immigrati, fino ad arrivare a quella attuale: l’emergenza terrorismo internazionale. Ognuno di questi passaggi, debitamente supportati dall’apparato massmediatico, ha in qualche modo rotto alcuni standard, alcune consuetudini giudiziarie, legislative, interpretative, per affermarne e consolidarne di nuove con l’espediente dell’eccezionalità, che poi si è trasformata senza nessuna opposizione in normalità.

Parallelamente alla chiusura nello spazio giuridico, abbiamo assistito anche alla restrizione e alla chiusura degli spazi di garanzia fisici, come per esempio tutte quelle esperienze di democrazia diretta e autogestione che avvengono dentro gli spazi sociali: un innalzamento del livello di controllo preventivo del dissenso e di resistenza.

Si vedano, inoltre, anche gli attacchi al diritto di sciopero successivi al riuscitissimo sciopero dei trasporti di giugno 2017: la proposta di legge depositata in parlamento renderebbe l’indizione di sciopero molto più difficoltosa dato che si porrebbero per legge dei parametri irraggiungibili per qualsiasi organizzazione sindacale in assenza di una legge democratica sulla rappresentanza capace di verificare, non per autocertificazione, la reale rappresentatività delle organizzazioni sindacali, inoltre la proposta sposterebbe la titolarità del diritto di sciopero dai lavoratori alle organizzazioni sindacali.

Di fronte ad una crisi che non accenna a demordere, che polarizza sempre di più le ricchezze e che fa sì che otto uomini possiedano la stessa ricchezza di metà della popolazione mondiale, come ci ricorda il nuovo rapporto Oxfam, le scelte sono due: o ridistribuire le ricchezze verso chi sta in basso o reprimere. Ed è questa la funzione dei decreti Minniti nel particolare contesto del capitalismo italiano, in fase di ristrutturazione secondo il disciplinamento della crisi ordito in sinergia con Bruxelles e Francoforte, decreti che investono quindi ambiti molto più ampi delle relativamente poche norme di cui sono  costituiti. 

Da una parte infatti si allontanano gli emarginati dal centro delle città, si reprimono i militanti e gli attivisti politici e sociali, creando il contorno legislativo per un clima di repressione che possa arrivare a coprire qualsiasi tipo di istanza sociale. Dall’altra vengono gestite “in via emergenziale” le massicce ondate migratorie degli ultimi anni, indebolendo la posizione giuridica di chi ha, o deve ottenere, un permesso di soggiorno e regolamentando le procedure in termini di “efficienza” e “sicurezza nazionale”, puntando allo stesso tempo sullo sveltimento delle pratiche di espulsione dei migranti irregolari.

Crediamo sia stato superato il limite, è necessario mettere da subito in moto una vasta campagna di difesa contro questi dispositivi, ma che sia anche foriera di sedimentazione delle forze democratiche e di classe, perché è necessario invertire la rotta dell’ultimo contro l’ultimo, straniero oggi, meridionale ieri.

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