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La metamorfosi della base Usa di Camp Darby nella competizione USA-UE nella NATO

Negli ultimi anni si sono susseguite notizie, apparentemente suffragate da fatti concreti – come il progressivo ridimensionamento del personale civile italiano impiegato nella base, la riconsegna della spiaggia di Tirrenia riservata dagli anni ’60 alle vacanze dei marines di ritorno dai vari fronti di guerra (che raggiungeva una media di 50mila presenze ogni anno) – di un progressivo smantellamento della base usa di camp Darby.

Per chi come noi non segue la cronaca spicciola e sempre deviante dei mass media, ma cerca di avere uno sguardo di prospettiva sulle dinamiche generali, connettendo fatti apparentemente lontani dal contesto specifico, lo smantellamento di una base strategica per gran parte delle aggressioni militari statunitensi è sempre apparsa come priva di fondamento.

La strategia del pentagono, relativamente autonoma dalla casa bianca, come dimostrato recentemente durante l’amministrazione Trump, è quella di una forte pressione verso il nemico storico di un “oltre cortina” che non è caduta con il muro di Berlino, così come verso l’unione europea. I motivi dello scontro con la Russia di Putin sono molteplici, di carattere economico, di egemonia internazionale e sul continente europeo centrale ed occidentale. Quello contro la ue è relativamente più recente, ed emerge con la fine dalla cosiddetta “globalizzazione” (a egemonia usa dopo l’89) e l’esplodere del conflitto interimperialista in atto.

In questo contesto, la forza di attrazione statunitense nell’est Europa è evidente ed ha ragioni “storiche” ed economiche. I paesi baltici, la Polonia, l’Ungheria e agli altri paesi compresi nell’ex blocco sovietico sono ostaggio dell’enorme debito contratto a causa delle spese militari obbligatorie per l’ingresso nella nato, oltre ad essere interessati ad uno sbilanciamento verso gli usa per contrastare l’egemonia tedesca e della UE.

La capacità di condizionamento dell’alleanza atlantica sull’unione europea permane, nonostante i continui contrasti e scontri interni evidenziatisi in questi anni, che fanno scricchiolare sempre più una “camera di compensazione” messa in discussione dagli interessi contrastanti di due poli imperialisti in competizione su tutti i fronti, dal Caucaso all’Ucraina, dalla Siria alla Libia, sino in America Latina.

Il progetto di costruzione di un polo imperialista europeo sta facendo i conti con queste potenti pressioni economiche, politiche e militari dell’alleato/competitore d’oltre oceano. Una strada obbligata, questa, per un’unione europea che sull’altare della competizione internazionale ha rinchiuso il continente dentro una gabbia di norme e trattati che stanno devastando una civiltà di welfare e diritti conquistati nel dopo guerra grazie ad un durissimo scontro di classe e dalla allora divisione del mondo in blocchi.

La competizione in atto, di cui l’attuale guerra dei dazi e lo scontro militare per interposta persona nei vari scenari di guerra sono epifenomeni che avvicinano sempre più il confronto diretto tra grandi potenze, passa attraverso molteplici forme, alcune evidenti e conclamate, altre nascoste dalla nefasta cortina fumogena della cosiddetta “guerra di quinta generazione” (g%), che prevede l’impiego massiccio dell’informazione deviante con la creazione di sana pianta di una realtà e informazioni inesistenti, costruite dalla CIA e dal pentagono negli “studios” di Hollywood e assunte come modello informativo dai grandi network internazionali. Gli esempi di perdono, dalla famosa “fialetta di antracite” sventolata nel 2003 dall’allora segretario di stato Colin Powell all’ONU per giustificare la distruzione dell’Iraq sino alla creazione di personaggi come guadò in Venezuela per tentare di rovesciare il legittimo governo bolivariano di Nicolas Maduro, passando per i veri e propri “cast cinematografici” in Afghanistan, Libia e Siria costruiti per vendere all’opinione pubblica internazionale fosse comuni e attacchi chimici inesistenti.

Rientra in questa strategia di “informazione deviante” la notizia del disimpegno usa da camp darby.

La più grande base logistica dell’esercito a stelle e strisce esistente al mondo fuori dai confini statunitensi si sta rimodellando in funzione delle nuove forme della guerra, dove vale sia la suddetta “g5” sia l’uso qualitativo di armi di distruzione di massa che hanno bisogno, così come nell’industria civile con la cosiddetta “industria 4.0”, di minor impiego umano e di maggiore uso delle tecnologie di punta, sfornate da centri di alta formazione come il Sant’Anna e da tanti altri nei quali vengono investiti miliardi, per una industria fiorente come quella militare, unica controtendenza alla crisi sistemica del modo di produzione capitalistico. L’unico keinesismo possibile oggi, come recita il documento che ha proposto questa assemblea, è quello di guerra.

Non a caso la troika europea ha escluso le spese militari dal micidiale meccanismo del patto di stabilità. Per l’industria delle armi risorse ad libitum, mentre si chiudono ospedali, università, fabbriche civili e si distrugge tutto lo stato sociale sull’altare del “pareggio di bilancio”.

I lavori dentro la base di camp Darby, con l’abbattimento di 1.000 alberi della bellissima macchia mediterranea sottratta alla nostra sovranità dal 1951, aprono la strada ad una seconda linea ferroviaria che velocizzerà i trasporti via terra di armi di ogni tipo, inviate attraverso il canale dei navicelli (raddoppiato grazie anche all’interessamento entusiastico dell’ex amministrazione comunale pisana a guida PD) verso il porto di Livorno, dal quale in questi anni sono partite armi per la macelleria in tutto il medio oriente e l’asia occidentale, in questi ultimi anni sino a oggi verso il martoriato Yemen.

Uno spazio considerevole della base sarà ceduto, dal prossimo luglio, al ComFoSe, il comando delle forze speciali dell’esercito italiano. Le strutture saranno gestite – a partire dal prossimo ottobre – da questa nuova struttura militare italiana, composta da quattro reggimenti (il 28° reggimento comunicazioni operative “pavia”, il 4° reggimento alpini paracadutisti “ranger”, il 185° reggimento paracadutisti ricognizione e acquisizione obiettivi “folgore” e il 9° reggimento d’assalto paracadutisti “col moschin”) che si occupa di gestire le varie unità di forze speciali dell’esercito e supporta le operazioni speciali delle forze armate italiane.

Istituito nel 2013, il comfose è operativo dal settembre 2014 all’interno della caserma Gamerra di pisa, sede anche del centro di addestramento di paracadutismo, sotto il comando del Comfoter-Coe (comando delle forze operative terrestri-comando operativo esercito). Il comando è «responsabile di garantire la necessaria unitarietà all’addestramento, all’approntamento, allo sviluppo procedurale e all’acquisizione dei materiali per il comparto forze speciali». Con lo sbarco delle unità militari italiane nei territori di camp Darby, saranno istituiti anche dei reparti logistici che si occuperanno di tutte le attività extra-militari e della gestione dei circa 34 ettari della base usa finiti nell’european infrastructure consolidation, il piano di revisione delle forze armate statunitensi in Europa centro-occidentale stilato dal dipartimento della difesa usa a fine 2014.

Se a questo dispiegamento di forze aggiungiamo l’aeroporto militare dall’oro di Pisa, situato in linea d’aria a poche centinaia di metri dal camp Darby, dove è stato costruito uno dei più grandi hub aereoportuali militari d’Europa e la base radar, centro di informazione elettronica dell’Usaf situata a tombolo, abbiamo un quadro non esaustivo ma esauriente della pervasività del sistema militare che occupa i nostri territori. A rendere esaustivo il quadro di rapporti tra questa presenza militare e l’industria, la ricerca e le tecnologie applicate alla guerra faccio riferimento alle precedenti relazioni di Emanuela Grifoni e Cinzia Della Porta.

Una pervasività che trova in questo progressivo connubio tra esercito italiano e statunitense uno degli strumenti di condizionamento più consistenti per il presente ed il futuro del nostro paese, supino ai diktat di oltre oceano, ma relativamente “autonomo sulle scelte di politica economica verso l’estero, come dimostrato con la firma dell’accordo sulla “via della seta” con la Cina.

Il giogo della NATO sulla nostra vita, sulla sovranità popolare dei vari paesi interessati, è lungi dall’essere sciolto, mantenendo così quella nefasta funzione bellicista che ben conosciamo. Questo non ci deve distogliere dai processi in atto all’interno dell’alleanza atlantica, di cui ho solo accennato in questo contributo.

Tutto cambia e si trasforma, e, come diceva un noto filosofo alcuni millenni fa: “non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume”.  Questa costante trasformazione della realtà segue da oltre 200 anni le bronzee regole di un sistema economico, quello capitalistico, che determina le sovrastrutture politiche, giuridiche, sociali e militari che conosciamo.

Ci sono periodi storici nei quali gli equilibri raggiunti dopo precedenti sconvolgimenti e guerre appaiono eterni, altri invece che evidenziano il riemergere delle storture di fondo di un sistema che, in forme sempre diverse, costringe l’umanità a fare i conti con la finitezza di un meccanismo produttivo e, sempre più, delle risorse del pianeta.

Quando si determinano questi periodi di crisi tutto si velocizza e tutte le relazioni tra “alleati” e “competitori” divengono instabili.

I vecchi equilibri saltano e la storia inizia a correre. Noi riteniamo di essere nel pieno di uno di questi periodi di grandi trasformazioni, nelle quali chi si pone, come noi, il problema del sovvertimento dei rapporti sociali pre esistenti, deve adeguare le proprie strategie ai nuovi scenari ed assetti che il conflitto interimperialistico e le nuove forme della lotta di classe determinano e preconizzano.

La NATO non è immune da questo conflitto, così come l’egemonia usa nel mondo post bellico e post crollo del muro di berlino. L’unione europea a dominio franco tedesco sta lavorando alacremente per competere con le altre potenze euro asiatiche e con l’alleato di oltre oceano, su tutti i fronti.

Mentre combattiamo contro le basi usa e la NATO dobbiamo evitare di mettere sotto un cono d’ombra la centralità del ruolo dell’unione europea in questo conflitto in atto. Il primo nemico contro il quale batterci e da indicare al nostro blocco sociale di riferimento è il “nostro” imperialismo, quell’unione europea che ogni giorno porta avanti una guerra economica e repressiva contro i propri popoli ed una costante guerra di aggressione contro i popoli che la circondano.

Questo principio e metodo vale anche nell’elaborazione delle strategie di lotta per la chiusura delle basi come camp Darby, intorno alla quale si è costruito quel reticolo di interessi economici, industriali e politici su citati.

Da una parte, quindi, si mantengono rapporti con l’alleato statunitense, dall’altra si costruiscono le condizioni per una emancipazione economica, politica e militare da parte dei suoi “vassalli” europei. Così avvenne per la borghesia quando si emancipò dall’aristocrazia e dai re. E il re di oggi è nudo e molto più debole di prima.

La nostra assemblea ha proposto spunti di analisi, suffragati da dati ed elementi oggettivi, che costituiscono un quadro non esaustivo ma importante per la ricostruzione di un punto di vista sull’attuale tendenza alla guerra ed alla militarizzazione dei territori e dell’intera società.

Potere al popolo! Pisa ha inteso, con questo momento, colmare in parte un vuoto di riflessione collettiva che è alla base del costante arretramento del movimento contro la guerra nel nostro paese.

Le grandi potenzialità del movimento pacifista nato tra la fine del secolo scorso e gli inizi del presente si sono perse per la genericità degli obiettivi che si dette, tenendo insieme realtà politiche, sociali e sindacali divisesi poi sul sostegno o meno a governi “amici”, impegnati nel dare continuità alle aggressioni militari, portando così alla progressiva smobilitazione del movimento stesso.

L’assemblea probabilmente non ha risposto a tutte le domande poste nel suo documento di convocazione. Occorreranno molti altri momenti di confronto con chi non abbiamo potuto coinvolgere in quella che si configura come una assemblea locale.

Insieme all’indispensabile analisi da sviluppare sul contesto reale nel quale ci muoviamo, occorrerà anche sperimentare nuove forme di conflitto contro la militarizzazione, coinvolgendo quei settori sociali che il vecchio pacifismo organizzato non aveva né intendeva coinvolgere. Occorrerà indicare percorsi per la ricostruzione di un movimento contro la guerra indipendente e radicale, in un contesto internazionale profondamente diverso da quegli anni, facendo emergere con chiarezza i legami inscindibili tra la lotta contro le aggressioni armate, il militarismo imperante e la guerra sociale ed economica che ogni giorno l’unione europea usa contro la nostra gente, inserendo i motivi del nostro no alla guerra in ogni conflitto sociale e politico, legandoli alla lotta per la chiusura delle tante basi militari usa, nato ed italiane presenti sul nostro territorio e sulle isole.

Un compito “titanico”, come quello di ricostruire una rappresentanza politica per settori sociali alla mercé del leghismo, del m5s o della rinuncia.

Potere al popolo! Si è costituito esattamente per questo, per dare risposte a domande “titaniche”.

* Potere al Popolo! Pisa

Intervento al convegno di Potere al Popolo del 19 maggio a Pisa su “UE, NATO, basi militari. La guerra in casa”

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