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L’Italia è ormai “una espressione geografica”?

Il progetto della Tav così come la manovra finanziaria del governo, vengono imposte alla collettività in nome delle priorità dell’Unione Europea, siano esse la stabilità monetaria e delle banche private o i corridoi strategici di una logistica decisiva per il solo mercato delle merci. E, a quanto pare, i diktat dell’Unione Europea non possono mai essere messi in discussione, pena una criminalizzazione politica, mediatica, giudiziaria che rende criminalizzabili e non conformi anche i tranquilli ma determinati abitanti della Val di Susa o i lavoratori che si oppongono al patto sociale.

I costi di questa pretesa subalternità sono diventati ormai enormi sia sul piano sociale che sul piano democratico, ragione per cui ovunque e comunque sia possibile prima o poi si producono rotture sociali, rivolte, proteste. L’esempio di indignazione e resistenza di massa della Val di Susa, così come lo sono i lavoratori, i precari, i sindacati di base, gli attivisti sociali che per quasi dieci giorni hanno assediato Montecitorio e Palazzo Chigi con blocchi stradali, cortei spontanei, contestazioni clamorose.

Colpisce, che di fronte a questo malessere diffuso che inevitabilmente cerca di dare espressione politica e organizzata alla rabbia crescente di una società in via di proletarizzazione, le risposte del ceto politico siano univoche: nessuna mediazione o concessione. La Tav si farà a tutti i costi; gli interessi alle banche e ai rentier che prosperano sul debito pubblico verranno pagati senza discussioni; le missioni di guerra in Afghanistan e in Libia proseguiranno; gli accordi tra sindacati, Confindustria e Fiat non si discutono; le discariche e gli inceneritori si faranno anche dentro le aree metropolitane; le privatizzazioni dei servizi pubblici andranno avanti nonostante l’esito dei referendum.

E’ impressionante come su questa tabella di marcia e su questa scala di priorità siano perfettamente convergenti sia il governo “di destra” che l’opposizione di “centro-sinistra”. A benedire questa trionfo della politica bipartizan c’è lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ormai sta assumendo il ruolo e i poteri di premier e di presidente con una puntualità sistematica nel dare garanzie più alle scelte strategiche dei poteri forti (dalla Ue alla Nato, alla Fiat) che alle aspettative costituzionali della società “di sotto”.

In questo clima di esclusione sistematica dalle decisioni vitali e di coercizione statale sui destini della gente, è inevitabile che prima o poi si producano reazioni come quelle in Val di Susa. Militarizzare un territorio per devastarlo e spendere quasi venti miliardi di euro per acquisire la credibilità per ricevere solo 608 milioni dall’Unione Europea, è un orrore politico, economico, sociale, democratico inaccettabile. E lo è ancora di più se avviene in un contesto in cui ai settori popolari e proletarizzati della società viene chiesto – dopo diciannove anni di manovre lacrime e sangue giù pagate – di stringere ancora la cinghia, i diritti, le proprie aspettative.

Le dichiarazioni bipartizan contro la resistenza in Val di Susa e la criminalizzazione di chi lotta seriamente appaiono oggi inaccettabili. Ritirare fuori la storiella dei black bloc appare decisamente ridicolo e strumentale per non discutere nel merito i problemi la realtà. La Val di Susa ormai è dilagata nelle aspettative di ampia parte della società che non intende accettare di essere liquidata, come fece Metternich, a mera espressione geografica o elettorale.

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