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Gheddafi. La “morte che meritava”

Gheddafi è stato ucciso senza essersi arreso, senza essere fuggito all’estero ma rimanendo nel suo paese e combattendo per rovesciare le sorti di una battaglia impari durata molto di più di quanto immaginavano i suoi nemici, è stato ucciso negli scontri di Sirte invece che lasciandosi processare e impiccare dagli occupanti e dai loro alleati come avvenuto in Iraq o “ucciso di malattia” nel carcere dell’Onu/Nato all’Aja come avvenuto nel caso della Jugoslavia. E’ morto sostanzialmente come aveva promesso e come gli avevamo augurato in una nostra nota – che molto fece discutere – nel marzo scorso.

Non è morto dopo essere fuggito all’estero e neanche nel suo letto come invece è accaduto ai “dittatori” graditi agli Stati Uniti e alle potenze europee : da Franco a Pinochet, da Marcos a Somoza.

In molti adesso si interrogano su cosa sarà la Libia che ha tolto di mezzo Gheddafi. Al comando per ora ci sono gli uomini del vecchio apparato di regime in rotta con il leader e ansiosi di ridefinire gli equilibri interni sconvolti dalla crisi finanziaria del 2008/2009 e dalle misure “liberiste ma non liberali” introdotte da Gheddafi nel 2003. Con loro e tendenzialmente contro di loro sta crescendo anche l’influenza delle organizzazioni islamiche più integraliste.
La brusca e feroce escalation militare nella brevissima rivolta popolare libica, ci ha convinti che quella avviatasi era piuttosto una guerra civile, una guerra civile ed una possibile secessione della Libia alla quale non sono certo estranei gli interessi delle potenze europee (Francia, Gran Bretagna, Italia) e degli Usa sul petrolio e il gas libico.

E’ ormai evidente come nel Consiglio Provvisorio di Bengasi sia preponderante una parte dell’ex apparato di potere del regime libico e che, come affermava sardonicamente il colonnello Hussein in una intervista al Time che ci colpì molto nel febbraio scorso ”hanno completato la rivoluzione iniziata dai giovani”. I giovani o quelli ispirati a oneste istanze di democratizzazione e autodeterminazione del popolo libico, sono stati immediatamente emarginati e ridotti al silenzio, esattamente come le voci o i cartelloni a Bengasi che si dicevano contrari all’intervento della Nato in Libia per regolare i conti con Gheddafi.

Al contrario, il settore ormai prevalente nel Consiglio Provvisorio non voleva una rivoluzione, voleva solo sostituire il potere di Gheddafi con il proprio ed ha trovato nelle potenze europee e negli Stati Uniti, ma anche in certi correnti di consenso “democratico” in occidente, la leva giusta per scalzare dal potere Gheddafi, sostituirlo e dare vita ad una nuova spartizione della ricchezza derivante dal gas e dal petrolio della Libia. Per questo – sfidando un senso comune che non ci ha mai appassionato – abbiamo usato spesso la categoria di “golpisti” per definire il Cnt o gran parte della sua attuale direzione. Che prevalga la componente confessionale islamica o quella più introdotta negli ambienti Nato oadusa alla frequentazione dei lussi, dei soldi e delle perversioni dell’occidente, diventa irrilevante. Il popolo libico – lasciatasi alle spalle l’era di Gheddafi – adesso dovrà reinventarsi nuovamente il suo processo di autodeterminazione e scoprirà che gli amici di oggi sono già i nemici di domani.

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