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La democrazia? Un costo inutile

In un paese senza cultura – né politica, né di altro genere – il potere può usare argomenti risibili per sostenere qualsiasi cosa. Il fondo è stato momentaneamente toccato da Matteo Renzi, quando giustifica l’abolizione del Senato con la necessità di “tagliare i costi della politica”; o anche, cavalcando consapevolmente la vandea populista, di “chiedere i sacrifici anche alla classe politica”.

Facciamo finta di prendere sul serio questo argomento.

Quanto si risparmia? Lo stipendio di 315 senatori, ovvero 11.555 euro di indennità parlamentare ogni mese, più 3.500 di diaria, 1.650 euro per i trasporti (che sono in realtà gratuiti) e 4.180 euro per le spese di rappresentanza. Totale: quasi 21.000 euro mensili, al netto dei contributi previdenziali. La spesa annuale dello Stato per gli stipendi di questo ramo del Parlamento assommano a meno 100 milioni l’anno: 92.610.000, per l’esattezza, calcolando 14 mensilità. Non molto, diciamolo.

Il “nuovo Senato dei territori” disegnato da Renzusconi potrebbe comportare qualche altro piccolo risparmio (contributi previdenziali, scorte, auto blu, sedi dei gruppi, ecc), uguale o forse persino minore a quello sugli stipendi.

E per un risibile risparmio del genere si cambia un intero equilibrio costituzionale? Via…

Ma continuiamo a fare i finti tonti e proponiamo anche noi una ricetta per “tagliare le spese del Parlamento”. Diciamo: stipendi nella media europea (10.000, se vi sembran pochi…), solo 400 deputati e 200 senatori, mantenendo invece inalterate le competenze delle due Camere. Il rispamio sarebbe anche superiore (vi risparmiamo i conticini che ci siamo divertiti a fare). Se poi vi aggiungiamo il taglio drastico delle sedi dei gruppi (una decina e più di palazzi affittati a carissimo prezzo nei dintorni di Montecitorio e palazzo Madama) e di altre centinaia di voci nascoste nelle pieghe di leggi e regolamenti, potremmo facilmente raggiungere la cifra di un miliardo l’anno di minori costi.

In ogni caso una goccia nel mare della spesa e del debito pubblici: 800 miliardi l’anno nel primo caso, oltre 2.000 nel secondo.

Cosa significa tutto questo sciorinare numeri? Che lo scopo del taglio del Senato – o di qualsiasi altra riforma costituzionale presentata da questo governo – non è il “risparmio”. Nè lo è la maggiore “efficienza del monocameralismo” rispetto al sistema che prevede due Camere con identici poteri (fiducia al governo, approvazione di ogni legge, ecc).

Prendendo per buono questo argomento si arriva in pochi passaggi all’abolizione tout court delle istituzioni politiche di qualsiasi livello. A che serve infatti un Parlamento se c’è un governo efficiente che pensa a tutto? Ma, al limite, a che serve anche il governo, se “i mercati” organizzano spontaneamente e meglio la produzione e distribuzione della ricchezza?

Sì, certo, restano i problemi della “sicurezza” (quella poliziesca, visto che per il resto c’è la Nato o Eurogendfor), quelli della rappresentanza diplomatica e sportiva (mica vorrete un mondo senza mondiali di calcio ed Olimpiadi…) e altre quisquilie. Ma per questi compiti si potrà sempre immaginare una governance efficientissima basata su pochissimi decisori e un numero adeguato di esecutori silenziosi e privi di ogni spirito critico verso gli ordini ricevuti.

A ben pensarci, poi, a che servono due partiti – quelli uscenti dalla competizione secondo la nuova legge elettorale – quando “le cose da fare, signori miei” sono quelle che ci indica l’Unione Europea, la Bce, il Fmi, insomma la Troika?

Dite che un sistema a partito unico, senza parlamento, con alcune funzioni amministrative concentrate in pochissime figure e senza feedback con la società reale – “mercati” e imprese a parte – somiglia più a una dittatura che a una democrazia?

È vero. Ma di questo si sta parlando, non delle indecenti retribuzioni dei senatori nostrani, né dei furti o della corruzione (chi potrebbe garantire mai che un “decisore incontrollato” sia meno corruttibile di qualche centinaio di eletti dal popolo?).

Stiamo parlando del “sistema di governance” già adottato nell’Unione Europea – Commisione che fa le leggi, Parlamento senza potere legislativo, elezioni inutili ai fini della decisione politica anche se alla fine esprimono un embrione di plutipartitismo– non del Terzo Reich. Stiamo cioè parlando di qualcosa che esiste ora, non dell’imitazione farsesca di sistemi politici sepolti dalla Storia. Stiamo parlando di una concentrazione del potere decisionale in “istituzioni elitarie” messe al riparo dall’influenza mutevole dell’opinione pubblica. Stiamo parlando dell’eliminazione di ogni rappresentanza di interessi sociali potenzialmente divergenti da quelli del sistema delle imprese, confinando “i sindacati” nel ruolo di “centri servizi fiscali” per lavoratori dipendenti.

Stiamo parlando, per concludere, della fine del binomio solo “ideale” tra modo di produzione capitalistico e democrazia parlamentare (borghese, naturalmente).

Non dite che non ve ne eravate accorti: ce lo stanno ripetendo da tutti gli schermi decine di volte al giorno…

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