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Anche i migranti non sono tutti uguali

Vedere migliaia di rifugiati siriani invocare Angela Merkel nel centro di Budapest è un evento che richiede attenzione e voglia di approfondimento.

Per un verso tornano alle mente le immagini del 1989, con la frontiera ungherese che diventava porosa aprendo la breccia nella “cortina di ferro” proprio verso l’Austria e poi la Germania. Dall’altro evoca suggestioni “kennediane” sul sogno americano, ma stavolta in versione tedesca. Possibile che quella stessa Merkel, maledetta nei paesi Pigs dell’Unione Europea per il massacro sociale imposto con l’austerity e il rigore di bilancio, possa diventare oggetto di venerazione popolare per i dannati della terra che fuggono dalle guerre in Medio Oriente? Possibile che un capo di stato che non ha avuto pietà nel piegare e piagare fin nei minimi dettagli le condizioni di vita del popolo greco, possa trasformarsi in icona dell’accoglienza, del rifugio, della speranza di migliaia di profughi siriani? Ed infine una domanda che si saranno posti in molti: ma perchè le frontiere tedesche si dovrebbero aprire solo ai profughi siriani e non agli afghani, agli iracheni, ai somali che pure vengono da zone devastate da guerre sanguinosissime?

La risposta a queste domande, che probabilmente non sono tutte quelle che vanno poste, sta nel rapporto tra flussi migratori ed esigenze dei paesi che li “accolgono”.

Oggi è il quotidiano economico Il Sole 24 Ore a fornire una chiave di lettura interessante. I profughi siriani, come era emerso anche in queste settimane di reportage televisivi, fuggono da una guerra scatenata non in un paese mediorientale arretrato ma in un paese a suo modo progredito rispetto agli standard dell’area.. Nel 39% dei casi sono laureati, tecnici, ingegneri, medici. Nel 44% dei casi sono diplomati. In poche parole sono capitale umano qualificato e con una età media più bassa rispetto agli standard demografici (e della forza lavoro) della vecchia Europa. Dunque una iniezione di capitale umano di cui il nucleo centrale europeo ha estremo bisogno, come del resto dimostrato dalla sistematica politica di spoliazione delle risorse umane più giovani e preparate nei paesi europei più deboli e periferici e, specularmente, dalla politica di attrazione e rastrellamento dei giovani “cervelli” verso la Germania. Quello che per decenni ha fatto la Gran Bretagna prima verso le ex colonie e poi verso il resto d’Europa. Quello che gli Stati Uniti fanno da decenni nei confronti del resto del mondo.

C’è un pizzico di cinismo in questa analisi, ma questi sono tempi di ferro e di fuoco e lo spazio per le “anime belle” sta diventando risibile, se non addirittura consolatorio.

I migranti, i rifugiati, i profughi dunque non sono tutti uguali. Per alcuni c’è posto nell’organizzazione capitalista del mercato del lavoro, per altri c’è invece l’orribile destino dell’eccedenza. Il capitale dentro la crisi distrugge le capacità produttive in eccesso, e in questo il capitale umano non fa eccezione, seminando però un enorme prezzo di sangue e disperazione.

Assisteremo dunque ad un doppio standard nella gestione dell’accoglienza dei migranti nell’Unione Europea. Alcuni di essi, quelli con maggiori capacità produttive, verranno accolti; magari lentamente, ma verranno accolti. Gli altri verranno respinti o ributtati sull’altra sponda del Mediterraneo, di nuovo in balìa di milizie locali che faranno il lavoro sporco per conto dell’Unione Europea o magari concentrati in allucinanti campi profughi tenuti alla larga dalle flotte o dai militari europei.

Osservando quanto si sta manifestando sotto i nostri occhi in Europa, sulle spiagge come nelle stazioni, nelle città come nelle campagne, si ricava la netta impressione che non sono previste nè prevedibili soluzioni “indolori” alla emergenza epocale dell’immigrazione.

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