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Ernesto Che Guevara, comunista

Per i comunisti ricordare la vita ed il contributo di un compagno importante della nostra storia, e di quella più generale dell’emancipazione dell’umanità, non è mai un esercizio retorico o formale. Questa premessa è ancora di più necessaria se riguarda Ernesto Guevara “el Che” la cui figura è stata resa, per molti aspetti, una icona inoffensiva dal grande circo della comunicazione deviante capitalistica.

Ci piace, quindi, ripubblicare un articolo di qualche anno, tratto dal quotidiano comunista on line, Contropiano.org, il quale metteva in evidenza il rilevante apporto teorico/politico di Guevara non solo al processo rivoluzionario in corso a Cuba e, più in generale, al continente latinoamericano ma all’insieme del dibattito e delle discussioni nell’allora movimento comunista internazionale. A distanza di circa 50 anni riprendere criticamente quegli spunti analitici è il miglior ricordo che – da comunisti del XXI° Secolo – possiamo dispiegare per attualizzare, riqualificare e rilanciare il processo di liberazione dell’umanità da questi antisociali rapporti sociali vigenti.

La redazione di Retedeicomunisti.org

 

9 ottobre 1967 – 9 ottobre 2012: Ernesto Che Guevara, comunista

1. PER UNA COMMEMORAZIONE MILITANTE

Commemorare il Che, assassinato 45 anni fa dall’imperialismo statunitense, riflette anche la volontà e la convinzione attuali – nelle specificità concrete di questa fase – di continuare la lotta per gli strategici obiettivi politici da lui perseguiti. Obiettivi quelli perseguiti dal Che come comunista, tanto nell’ambito nazionale della Rivoluzione Cubana che in quello intercontinentale della applicazione militante dell’internazionalismo proletario, che possono così sintetizzarsi: costruire il socialismo sviluppando i necessari rapporti di produzione socialisti (la tautologia è solo apparente).

Il Che non si è limitato solo ad enunciare e iniziare ad applicare nel Ministero delle Industrie da lui diretto questa “formula” binomiale, per lui imprescindibile per la costruzione del ma ha anche evidenziato che se all’interno del blocco guidato dalla Unione Sovietica non si fosse superata la contraddizione insita nell’utilizzazione delle categorie di mercato all’interno delle loro forme sociali di transizione al socialismo, i danni futuri che ne sarebbero derivati per la masse popolari, all’interno dei complessivi e totali rapporti di forza con il capitalismo, sarebbero stati incalcolabili1.

Così, ci sembra chiaro, è poi andata. Gli sviluppi politici degli accadimenti nazionali e mondiali che noi stessi abbiamo direttamente vissuto e subìto, hanno permesso alla borghesia di cancellare il concetto stesso di classe e con ciò la sua memoria, i suoi metodi di lotta, il suo ruolo storico e di conseguenza convincere le masse popolari dell’impossibilità di costruire una alternativa al modo di produzione capitalistico. Con ciò, e siamo ad oggi, dando la possibilità al capitale finanziario occidentale di scaricare sulle spalle delle masse popolari una devastante crisi, tanto sul piano politico che sul piano economico, che fa concretamente e fortemente arretrare il livello di milioni di famiglie riguardo al diritto alla alimentazione, all’istruzione, alla salute, alla casa, al lavoro, alla possibilità di incidere sul tipo di paese che esse vorrebbero.

È un fatto che le crisi hanno la capacità di mostrare la realtà come è e non come era “pitturata” prima del loro presentarsi: anche quella attuale lo ha confermato, rendendo evidente la strutturale volontà della democrazia borghese di sopprimere i diritti delle classi popolari aumentando nel contempo il loro scientifico sfruttamento; naturalmente attraverso l’insostituibile mediazione del suo “Comitato d’affari”: governo, partiti, sindacati.

Sono dunque ancor più presenti nei paesi a dittatura capitalista le condizioni per assumere una lotta secondo gli obiettivi indicati dal Che: soluzione socialista come unica condizione per l’emancipazione delle classi subalterne; analisi critica della sua prima esperienza, iniziata con la Rivoluzione del novembre 1917, come necessario strumento per fissarne (e superarne) i limiti determinati dall’allora quadro storico ed economico.

Di questo Che, impegnato sullo strategico fronte dei problemi economici legati alla costruzione del socialismo attraverso un contributo che rimane di straordinaria attualità, cercheremo di parlare in questa sua commemorazione.

2. CONTRIBUTO DEL CHE PER IMPLEMENTARE UNA ECONOMIA SOCIALISTA

Del Che sono certamente più conosciuti gli eccezionali contributi alla vittoria della Rivoluzione Cubana e alla nuova pratica militante dell’internazionalismo proletario, della quale le missioni in Congo e in Bolivia ne saranno l’applicazione concreta.

Il suo “terzo” contributo, che è in realtà un tutto unico con i precedenti, riguarda il settore economico; esso risulta meno conosciuto, ma, certamente, non meno importante degli altri due e consiste nella decisione strategica del Che di sviluppare una critica teorico-politica alla utilizzazione delle categorie di mercato all’interno della economia del blocco socialista, associando ad essa una serie di proposte concrete per controllare e risolvere quella che secondo lui rappresentava una pericolosissima contraddizione. Proposte di controllo e di risoluzione elaborate non solo con la riflessione teorica ma grazie alla pratica concreta sviluppata nella conduzione del Ministero delle Industrie, raggruppante tutto il settore statale produttivo di Cuba, che lo stesso Che diresse dal 1961 sino alla sua partenza per il Congo. Le proposte del Che si fondavano sullo sviluppo di una analisi comparata, di carattere tanto finanziario che politico tra i due metodi allora vigenti a Cuba di gestione economica; sia al fine di valutarne i rispettivi risultati che, in prospettiva, di farne prevalere, in forma mediata, uno solo. Il primo metodo, conosciuto come “Calcolo Economico”, proveniva dalla esperienza sovietica utilizzava categorie di mercato anche all’interno del settore produttivo statale. Il secondo invece, “costruito” dal Che e da lui denominato “Sistema di Bilancio Preventivo Finanziario”, le riteneva fonte di pericolosa contraddizione e conseguentemente le eliminava. L’effetto di questo secondo metodo era che la produzione realizzata all’interno del Ministero delle Industrie si trasformava in merce solo all’uscirne, ovvero solo alla fruizione di essa da parte dell’usuario pubblico o privato. Il Che valutava positivamente i primi passi del “Sistema di Bilancio Preventivo Finanziario” nel suo Ministero, cosa che gli permetteva di affermare: “noi crediamo che lo schema di azione del nostro sistema, convenientemente sviluppato, possa elevare la efficacia della gestione economica dello Stato socialista, approfondire la coscienza delle masse e, sulla base di una azione integrale, coesionare ancora di più il sistema socialista mondiale.”2

Il contributo del Che superava chiaramente i limiti della pianificazione e della economia: egli aveva capito con estrema lucidità come la reale e visibile costruzione del socialismo rappresentasse nel quadro storico degli anni Sessanta, l’unico e possibile obiettivo per trasmettere alle masse popolari la convinzione che valeva la pena di mettersi in gioco per quella lotta difficile e sanguinosa.

2.1. QUADRO REFERENZIALE E POSIZIONE SINTETICA DEL PROBLEMA

Il Che era convinto, e non solo lui, che la Rivoluzione Cubana o sarebbe stata socialista o non sarebbe stata rivoluzione3. A vittoria avvenuta, l’applicazione del programma politico-economico dell’M26J attuata da Fidel Castro, in quanto Primo Ministro del Governo Rivoluzionario, orientò in modo del tutto naturale lo sviluppo del paese secondo una prospettiva di fatto socialista. Questo spiega anche lo stringersi, a partire dal febbraio del 1960, delle forti relazioni economiche, politiche e militari di Cuba con il blocco delle democrazie popolari e con l’Unione Sovietica in particolare. Nel contesto di estrema pressione cui era sottoposta l’Isola da parte dell’imperialismo statunitense, l’aiuto sovietico, materiale e formativo, risultò, allora, decisivo. Congiuntamente al complessivo blocco di aiuti, né poteva essere altrimenti, avveniva anche il relativo “trasferimento” dei princîpi e dei metodi di gestione e controllo propri della URSS, che almeno in parte intercettarono i fondamentali settori della pianificazione economica dello Stato cubano. I princîpi ed i metodi applicati dai sovietici in questi settori avevano mantenuto una continuità “genetica” con la struttura economica che la prima esperienza socialista, evidentemente condizionata dall’arretrato livello dei rapporti di produzione e delle forze produttive della Russia zarista rispetto agli altri paesi europei, era stata costretta a darsi in quello specifico contesto. I risultati di tale continuità erano conosciuti e visibili e si sostanziavano nella presenza delle categorie di mercato – denaro, prezzo, credito, interesse – all’interno delle formazioni sociali dell’U.R.S.S. e degli altri paesi del blocco socialista e dunque anche della “legge del valore”, ossia dell’elemento fondante del modo di produzione capitalistico.

2.1.1. CENNI SULLA LEGGE DEL VALORE E CONDIZIONI DELLA SUA ESISTENZA

Marx ed Engels, nei loro poderosi contributi sul modo di produzione capitalistico, dirà il Che che “il marxismo è una delle cose realmente straordinarie che ha prodotto l’umanità, come teoria” 4avevano analizzato le condizioni sociali nelle quali prendeva validità la legge del valore, dimostrandone parimente la sua esistenza obiettiva, cioè indipendente dalla volontà degli uomini. Essi avevano scientificamente legato queste condizioni al livello di sviluppo delle relazioni di produzione e delle forze produttive proprie della società mercantile, “la cui base economica era la divisione sociale del lavoro”5, che, necessariamente, induceva una presenza stabile del mercato. La forma mercantile di produzione risultava storicamente caratterizzata da produttori indipendenti, isolati l’uno dall’altro tra i quali si svolgeva una lotta di concorrenza per vendere i propri prodotti-merci: cose, allora come oggi, dotate nello stesso tempo di qualità fisiche e di una qualità economica misurabile che, in quanto misurabile, permette il loro scambio in proporzioni determinate con altri prodotti-merci. Questa misurabilità (del valore economico della merce) era legata, per ogni produttore, al tempo di lavoro astratto necessario per la sua produzione (il valore di scambio), che non doveva né poteva però eccedere il tempo di lavoro socialmente necessario per produrre quella stessa merce: tempo, quest’ultimo, che risultava funzione sia dello sviluppo delle forze produttive che della abilità del produttore medio. La produzione globale per il mercato avveniva necessariamente in condizioni di totale anarchia: nessun produttore sapeva quale era il fabbisogno della merce che egli produceva attraverso il suo lavoro concreto specifico (il valore d’uso)6, né conosceva quanti altri produttori fabbricassero la sua stessa merce. La legge del valore – operante attraverso il valore d’uso, determinato dal lavoro concreto specifico; attraverso il valore di scambio, determinato dal lavoro astratto materializzato; e attraverso il tempo di lavoro socialmente necessario, determinato dallo stato dell’arte tecnologico e della capacità della mano d’opera – aveva dunque la funzione di regolatrice spontanea nella produzione della società mercantile, poiché, per i produttori di merci che avessero superato il tempo di lavoro socialmente necessario per produrle (troppo costose per il compratore o non remunerative per il produttore) l’espulsione dal mercato ne sarebbe stata l’automatica conseguenza. La legge del valore ha continuato ad essere presente, anche se in maniera certo distinta da come lo faceva nella forma mercantile di produzione, tanto nel capitalismo di prevalente concorrenza che, oggi, in quello di monopolio e, come detto, sin quando non è imploso, anche nel blocco socialista.

2.1.2. INTORNO ALLA PRESENZA DELLA FORMA VALORE IN URSS

Per fissare le idee con due riflessioni, tra le molte possibili, tanto la conclusione di Engels che “il valore economico è una categoria specifica della produzione mercantile e scomparirà con essa, così come non esisteva prima”7, quanto la sua altra argomentazione di come nella società socialista non potesse operare la legge del valore8, risultavano dirimenti sul fatto che la presenza della forma valore e delle sue forme derivate nell’URSS, fossero nient’altro che le forme sotto le quali si ripresentavano determinati rapporti sociali, in quanto esse potevano “apparire” solo quando esistessero questi rapporti sociali e non altri (cioè quelli socialisti). Questa contraddizione, evidente per tutte e per tutti, doveva esserlo ancora di più per i sovietici. Essi dettero, nel tempo, delle risposte teoriche, pur non arrivando poi ad affrontare praticamente il problema. Queste risposte, comunque, coincidevano, grosso modo, nel sostenere che la forma valore sussisteva perché esistevano molte forme di proprietà dei mezzi di produzione: proprietà statale, proprietà collettiva delle cooperative (kolhhoz) e proprietà privata. Questa fu la risposta data nel 1927 da E. A. Preobraženskij9 e da Stalin nel 1952, che però indicò come, gli embrioni di scambio dei prodotti nella forma di “smercantilizzazione” dei prodotti agricoli esistenti nella società sovietica, dovessero essere sviluppati in un vasto sistema che restringesse gradualmente il campo d’azione della circolazione mercantile ed estendesse di conseguenza il campo d’azione dello scambio dei prodotti.10 Questa indicazione, dopo la sua morte, venne dichiarata totalmente errata dalla Direzione del PCUS che, di fatto, assiomatizzò, attraverso il “Manuale di Economia Politica” redatto dalla Accademia delle Scienze dell’Urss,11 come tutte le categorie di mercato presenti nelle società socialiste svolgessero per le economie dei paesi socialisti stessi un ruolo necessario e positivo: la posizione al proposito, sino all’implosione dell’URSS, sarà che “la legge del valore perderà la sua vigenza quando non vi sarà necessità di produrre beni che siano anche merci … (cioè) con la costruzione della società comunista”12. L’accezione politica dell’avverbio temporale quando fissava così, lo sottolineiamo nuovamente, il “congelamento” di un qualunque avvio, tanto analitico, che teorico e pratico, diretto a capire le condizioni politiche necessarie all’implementazione delle relazioni di produzione socialiste.

2.2. IMPLEMENTAZIONE DEL SISTEMA DI BILANCIO PREVENTIVO DI FINANZIAMENTO COME RISPOSTA ALLA NECESSITÀ DI UNA ECONOMIA SOCIALISTA.

Questo quadro era chiarissimo al Che. Per lui, le conseguenze da assumere si proiettavano su due piani.

A livello internazionale:

nella possibilità di evitare che, incoscientemente o coscientemente, nel blocco socialista le relazioni di produzione esistenti regredissero a quelle capitalistiche (vedi nota 1);

nel riconoscere che l’esperienza sovietica, per quanto importante, non possedeva carattere di universalità.

A livello nazionale:

nella necessità e possibilità per la Rivoluzione Cubana di definire strumenti teorici e pratici che permettessero uno sviluppo socialista sia politico che economico e che avrebbero anche avuto una valenza di riferimento per l’intero blocco socialista (vedi nota 2);

nella improcrastinabilità di un confronto comunista, sia di carattere nazionale che internazionale, sulle problematiche menzionale13.

Su questa base, il Che, dopo la sua nomina a responsabile del Ministero delle Industrie avvenuta il 23 febbraio del 1961, iniziò il lavoro politico e tecnico per eliminare sia nella produzione, sia nel trasferimento dei manufatti prodotti all’interno del settore statale cubano, completamente subordinata al suo dicastero, le categorie di mercato.

Per questa “sfida”, assolutamente complessa, il Che scelse un gruppo di collaboratori, la maggior parte dei quali aveva combattuto sotto i suoi ordini di Comandante dell’Esercito Ribelle. Tra questi collaboratori figurarono Orlando Borrego Díaz, Enrique Oltuski, Luis Álvarez Room, Juan José Pérez Clavelo, Jesús Suárez Gayol14; sarà con loro che il Che definirà e implementerà il “Sistema di Bilancio Preventivo di Finanziamento”. Analizziamo molto sinteticamente da dove e in quale contesto della allora realtà cubana esso nacque.

Nell’ottobre del 1959 il Che fu nominato responsabile del Dipartimento d’Industrie, il quale era subordinato all’Istituto Nazionale della Riforma Agraria (INRA).15 Questa nomina non derivò dal caso ma dalla sua conosciuta capacità di costruttore e organizzatore di attività produttive. Era stato infatti il Che, sia nella guerriglia sia dopo la vittoria, come Comandante della Fortezza “La Cabaña”, a creare i laboratori di armeria, sartoria, panetteria, calzature, conservazione di alimenti, preparazione del tabacco, confezione di sigarette (per citare le principali attività produttive) con i quali risolse gran parte dei problemi di rifornimento dell’Esercito Ribelle.16 Su questa base di concreta esperienza e di provato interesse, il Che assunse dunque la guida del Dipartimento d’Industrie la cui nascita rispose allo sviluppo industriale generato dalle necessità della Riforma Agraria. Coll’avanzare della politica socialista della Rivoluzione, il Dipartimento d’Industrie dovette però accollarsi anche la gestione delle aziende confiscate e nazionalizzate, che, nel 1961, ammontarono al 70% dell’intero settore industriale del paese. Fu evidente come il peso delle responsabilità di gestione acquisito dal Dipartimento d’Industrie eccedesse di gran lunga la capacità di una struttura interna dell’INRA e fu così che, nel febbraio del 1961, nacque il Ministero delle Industrie la cui direzione fu assunta del tutto naturalmente dal Che. In questo polo omogeneo, il Ministero delle Industrie, che raggruppava tutto il settore produttivo statale di Cuba, il Che e i suoi collaboratori iniziarono la fondazione e la implementazione – intervenendo sui settori tecnici, economici e politici in modo assolutamente interdipendente- di relazioni di produzione socialiste, lavoro che venne indicato con il nome di “Sistema di Bilancio Preventivo di Finanziamento” (SPF).

Una parte fondante dell’SPF si consisteva nel definire e normare le complessive tecniche di amministrazione da utilizzare nel Ministero delle Industrie; tecniche che il Che derivò dalle più avanzate esperienze di organizzazione, direzione e controllo di contabilizzazione e gestione economica che alcune multinazionali – Esso, Texaco, Shell – avevano impiantato a Cuba. Su questa specifica impostazione che riguarda l’uso della tecnica e della tecnologia il Che argomentò seguendo la linea della imprescindibile interdipendenza tra politica, economica e tecnica: “Primo: Il comunismo è una meta della umanità che si raggiunge attraverso la coscienza; poi, la educazione, la liquidazione delle tare della società passata nella coscienza della gente, sono fattori di somma importanza, senza dimenticare, chiaramente, che senza avanzare parallelamente nella produzione mai si potrà arrivare a tale società. Secondo: Le forme di conduzione economica, come aspetto tecnologico della questione, devono prendersi da dove risultano più sviluppate per essere adattate alla nuova società. La tecnologia della petrolchimica del campo imperialista può essere utilizzata dal campo socialista senza timore di un contagio con la ideologia borghese. Nel ramo economico (per ciò che si riferisce alle norme tecniche di direzione e controllo della produzione) succede lo stesso.(…). Una analisi delle tecniche contabili utilizzate abitualmente oggi nei paesi socialisti ci mostra che tra le loro e le nostre vi è una differenza concettuale che potrebbe equivalere alla differenza che esiste nel campo capitalista tra il capitalismo di prevalente concorrenza e il capitalismo di monopolio. Insomma, le tecniche anteriori servirono come base per lo sviluppo dei due sistemi, così come fatti, ma da qui in avanti le strade si separano, poiché il socialismo ha le sue proprie relazioni di produzione con le loro proprie esigenze.”17

Altra parte fondante risultava l’impostazione finanziaria del SPF, la quale si differenziava fortemente da quella del Calcolo Economico (o dell’Autogestione Finanziaria come preferiva chiamarla il Che) utilizzato dal blocco socialista e, in parte, dall’INRA a Cuba.

Nel blocco socialista, nel quadro di una pianificazione economica i cui risultati generali si misuravano attraverso il loro riflesso finanziario globale, le imprese erano considerate come unità isolate operanti tra loro in un regime di concorrenza che seguiva una logica di mercato equivalente a quella capitalistica. In questo quadro, il tasso di produttività dei lavoratori e la qualità delle merci da loro realizzate venivano affidate agli stimoli materiali. Le banche assumevano il ruolo di organi di controllo primario delle attività delle imprese statali i cui crediti, da esse assegnati, sarebbero stati assoggettati a tasso d’interesse.

Nel SPF le attività finanziarie delle imprese erano totalmente centralizzate. La Banca Nazionale assegnava a ciascuna impresa i fondi del bilancio preventivo fissato dalla pianificazione per il tempo di esercizio stabilito. Questi fondi venivano versati in una agenzia bancaria la quale registrava le operazioni finanziarie della impresa su tre conti separati: quello dei salari, quello degli investimenti e quello delle spese. In questo modo essa riceveva tutti i fondi necessari per produrre i suoi articoli nel tempo previsto, rendendo anche inutili gli strumenti di credito e di interesse. Conseguentemente venivano eliminate tutte le operazioni di compravendita dei manufatti prodotti all’interno del Ministero delle Industrie; tali prodotti divenivano merci solo all’uscita dal settore statale passando in proprietà, per il loro utilizzo o il loro consumo, dell’usuario. Anche gli incentivi salariali erano stati drasticamente ridotti.

Nel contesto ovviamente limitato di queste note, vogliamo terminare sottolineando una ultima caratteristica fondante del SPF: quella della sua architettura strutturale posta a difesa delle formazioni sociali in transizione verso il socialismo. Questa difesa consisteva nel dimostrare per esse la non necessità della legge del valore come riferimento (riconoscerne l’esistenza necessariamente transitoria e nel contempo costruire una conseguente politica economica che la estinguesse); nel rigettare, dunque, per esse la pratica di utilizzare categorie capitaliste derivate dalla legge del valore: ossia la merce come cellula economica, la redditività e l’interesse materiale individuale come leva per costruire il comunismo; nel dimostrare come solo la pianificazione centralizzata fosse per esse lo strumento imprescindibile. Per il Che, il fatto che “la base sulla quale poggia il mercato capitalista è la legge del valore la quale si esprime direttamente nel mercato”18 restava un monito che non poteva essere eluso. La sia esperienza pratica e teorica vedeva, appunto, nella pianificazione centralizzata l’unico strumento, di valenza quantitativa e qualitativa, coerente con la costruzione di una società socialista: “(la pianificazione centralizzata sottende) la sua stessa categoria di definizione, è il punto nel quale la coscienza dell’uomo giunge a sintetizzare e dirigere l’economia verso la sua meta, la piena liberazione dell’essere umano nel quadro della società comunista”.19

3. CONCLUSIONE

I tre giganteschi contributi che del Che: la vittoria del 1959 della Rivoluzione Cubana; l’implementazione di relazioni di produzione socialiste con il Sistema di Bilancio Preventivo di Finanziamento del 1961 del Ministero delle Industrie; la pratica militante dell’internazionalismo proletario del 1965-1966 delle missioni in Congo e in Bolivia, sono un tutto unico non separabile, come speriamo si evinca da quanto detto e dalle argomentazioni finali. Una eventuale valutazione che vedesse una “rottura” nella decisione del Che della missione in Bolivia, è errata. La sua soggettività di combattente rivoluzionario comunista, vedeva nella fondazione di futuri “Territori Liberi d’America” un passaggio assolutamente interno a questo “unico tutto”. Nel luglio del 1966, di ritorno a Cuba, preparandosi nella fattoria di San Andrés assieme al primo scaglione del suo gruppo per la missione in Bolivia, il Che, ricevette da Orlando Borrego Díaz un “omaggio” in sette volumi -“El Che en la Revolución Cubana”- preparato dai suoi ex-collaboratori del Ministero delle Industrie dove si riassumeva anche il loro lavoro comune.20 Durante una seconda visita di Borrego, tra i vari commenti rispetto allo “omaggio” da lui ricevuto, egli dirà: “Sai a chi può essere utile tutto questo? Per esempio a Turcios Lima21soprattutto quando si analizza, lì nei libri, il Sistema di Bilancio Preventivo. Se tutto andrà bene, quando vinceremo noi, anche noi lo applicheremo e già non sarà solo Cuba a sviluppare questo esperimento”.

Il Che andrà quindi in Bolivia sia con la convinzione di vincere come parte e riferimento di un progetto continentale nel quale già alcuni altri movimenti guerriglieri parevano politicamente e militarmente maturi per imporsi; sia con un progetto che intendeva unire, nei futuri “Territori Liberi d’America”, alla vittoria militare ed alla presa del potere politico la implementazione delle adeguate relazioni di produzione socialiste.

Siamo insomma, con il Che, in presenza di un esempio reale, non di un mito, che ci indica, assieme ad una prospettiva di percorso, anche gli ostacoli contro i quali hanno cozzato i rivoluzionari che ci hanno preceduto. È arrivato il momento, in questa fase di forte e irreversibile crisi di credibilità del modo di produzione capitalistico avvertita sempre più da parte delle masse popolari, di riprendere sulle nostre spalle “lo zaino” del Che.

 

1 Ernesto Che Guevara “Apuntes críticos a la Economía Política” (pp. 30 e 31) – Ocean Press, 2006.

2 Ernesto Che Guevara, “Sobre el sistema presupuestario de financiamento” – Tomo II (p.261) – Casa de las Américas, 1970.

3 “Che Guevara Economista” (p. 28) – L. Vasapollo, E. Echevarría, A. Jam – Jaca Book, 2007.

4 Ernesto Che Guevara, “Apuntes críticos a la Economía Política” (p. 354) – Ocean Press, 2006.

5 Lenin, “Opere Complete” – Volume III (p. 13) – Editori Riuniti, Roma 1956.

6 Le parole in neretto e le relative specificazioni sono definizioni di Marx, “Il Capitale”, Libro I, Capitolo I – Editori Riuniti VII Edizione, giugno 1974

7 Lettera di Engels a Kautsky del 1884 in “Lettres sur Le Capitale” (p. 344) – Editions Sociales, Paris, 1964.

8 F. Engels, “Antidühring” (p.308) – Edizioni Rinascita, Roma, 1950.

9 E. A. Preobraženskij, “La Nouvelle Economique” (p.401) – EDI, Paris, 1966.

10 Stalin, “Problemi Economici del Socialismo nell’Urss” (p.120) – Cooperativa EDP, Milano, 1973.

Ernesto Che Guevara,“Apuntes críticos a la Economía Política” (p. 214) – Ocean Press, 2006. Al brano estratto dal “Manual de Economíia Política” che dichiara errata l’indicazione di Stalin, è giustapposta la notevole critica del Che a Stalin e quella polverizzatrice alla allora dirigenza sovietica. Scrive il Che: “Nei pretesi errori di Stalin sta la differenza tra una posizione rivoluzionaria contro l’altra revisionista. Stalin vede il pericolo delle relazioni mercantili e tratta di bloccarle rompendo ciò che le propiziano. Al contrario la nuova direzione cede agli impulsi della sovrastruttura e accentua l’azione mercantile teorizzando per essa la sua utilizzazione integrale come leva economica per arrivare al comunismo. Ci sono poche voci che si oppongono pubblicamente a questa linea, mostrando così il tremendo crimine storico di Stalin: aver tralasciato la educazione comunista e istituito il culto illimitato alla autorità”.

11 Il Che sviluppò una minuziosa analisi critica a questo Manuale (il testo da lui utilizzato era: “Manual de Economía Política” – Editora Política, La Habana, 1963), che è conosciuta come “X Preguntas sobre la enseñanza de un libro famoso” da lui redatta tra la fine del 1965 e l’inizio del 1966 dopo la sua missione in Congo, e che è stata inserita nel più ampio testo, da noi ripetutamente citato, di “Apuntes críticos a la Economía Política”. Il Che estraeva dal suddetto manuale i brani da assoggettare ad analisi (saranno 225) ai quali giustapponeva le sue riflessioni critiche.

12 “Economía Política” (p.440) – AA.VV. – Editorial Progreso – Moscú, 1982.

13 Ernesto Che Guevara, Discorso al Seminario Economico di Solidarietà Afroasiatica in Algeri del 25 febbraio 1965 – “OBRAS 1957 – 1967” Tomo II (p.572) – Casa de las Américas, 1970.

14 J. Suarez Gayol partì con il Che, nella guerriglia boliviana era Félix o Rubio, e cadde in combattimento nell’aprile del 1967. Al Che, in un secondo scaglione, dovevano poi unirsi, tra altri, Borrego e Oltuski

15 Dice Carlos Tablada Pérez a pagina 67 del suo “El pensamiento económico de Ernesto Che Guevara” – Casa del las Américas, 1987: ”Il 26 novembre del 1959, il Consiglio dei Ministri nomina il Che Presidente della Banca Nazionale. Questa nuova responsabilità non impedisce al Che di continuare a seguire il Dipartimento d’Industrie, così come farà con le altre responsabilità che gli verranno assegnate”.

16 “El pensamiento económico de Ernesto Che Guevara” (p. 67), Carlos Tablada Pérez, – Casa del las Américas, 1987.

17 Ernesto Che Guevara, “Sobre el sistema presupuestario de financiamiento” – “OBRAS 1957 – 1967” Tomo II (p.259) – Casa de las Américas, 1970

18 Ernesto Che Guevara, “Consideraciones sobre los costos de producción coma base del análisis de las empresas sujetas a sistema presupuestario” – “OBRAS 1957 – 1967” Tomo II (p.209) – Casa de las Américas, 1970

19 Ernesto Che Guevara, “Sobre el sistema presupuestario de financiamiento” – “OBRAS 1957 – 1967” Tomo II (p.273) – Casa de las Américas, 1970

20 “Che el camino del fuego” (p. 377) – O. Borrego Díaz – Imagen Contemporánea, 2001.

21 Luis Turcios Lima (1941 – 1966) era allora il Comandante politico-militare delle Forze Armate Ribelli del Guatemala (FAR).

 

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1 Commento


  • Mauritius

    Ernesto Guevara non è mai stato una persona normale
    ha mostrato sempre un coraggio incredibile
    una fede incrollabile nell’umanità
    una speranza di cambiamento sostenuta da dei valori comunisti incredibilmente forti e profondi
    non credo siano mai esistiti tanti uomini come lui
    era un uomo con una forza di volontà e una energia vitale incredibile
    purtroppo non è stato sostenuto molto e francamente ho motivo di pensare che è stato mandato a morire
    perché quella missione in Bolivia era assurda e non doveva essere permesso ad uomo così importante
    per la rivoluzione comunista andare a morire così

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