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Ma il sindacato con chi deve stare, con il capitale o con i lavoratori?

Prendendo spunto dalla vertenza delle precarie della Piaggio e dall’attacco che viene mosso a quella iniziativa da parte del segretario della Fiom Cgil di Pisa, sorge la necessità di avviare una riflessione sul ruolo delle organizzazioni sindacali in questo frangente così duro per il mondo del lavoro.

Dice la Fiom che la USB mette le bandierine e porta i lavoratori in vicoli ciechi. Praticamente dice che la via della risoluzione dei conflitti va cercata nella concertazione tenendo conto del quadro normativo esistente.

È proprio su questo approccio che si consuma la profonda diversità tra il sindacato concertativo e il sindacato di classe e conflittuale. Se il punto di partenza è la presa d’atto che esistono norme che impediscono la soluzione dei problemi e che quindi non si possa far altro che trovare escamotage per risolvere le crisi che – vorremmo ricordarlo a tutti – hanno sempre per protagonisti, e spesso vittime, lavoratrici e lavoratori in carne ed ossa, si fa una scelta di disarmo preventivo che non dovrebbe appartenere al sindacato nel suo complesso.

Quella lotta è sacrosanta, quella determinazione è il frutto della volontà di quei lavoratori tenuti per anni in condizione di precarietà per poterli meglio ricattare e piegarne la dignità e va sostenuta non solo perché è un diritto sacrosanto difendere il proprio posto di lavoro ma anche e soprattutto perché disvela senza tanti complimenti quanto le norme che regolano oggi i rapporti di lavoro siano pensate e scritte per servire gli interessi di impresa e non per garantire tutele e dice che quelle norme vanno spazzate via perché di classe, cioè scritte per rendere ancora più forte il comando d’impresa sui lavoratori.

Chi non ne tiene conto è complice, lo ripetiamo perché l’uso di questo termine ha fatto scandalo. Chi si adatta alla condizione data, che è sempre frutto dei rapporti di forza che a loro volta sono frutto della capacità della classe di darsi strumenti adeguati a contrastare il proprio nemico – altro termine che fa scandalo e non dovrebbe – si rende complice dello spostamento dei rapporti di forza e disarma i lavoratori dello strumento del conflitto nella regolazione dei rapporti tra lavoro e capitale.

La posizione che le organizzazioni sindacali concertative stanno sostenendo al tavolo ministeriale sull’introduzione anche nel nostro Paese del salario minimo ne rappresentano plasticamente la deriva. Mentre per la prima volta si intravvede all’orizzonte la possibilità di avere, al pari di tutte o quasi le altre nazioni europee una soglia minima di 9 euro sotto cui non si possa andare nel definire il salario orario minimo, cosa che darebbe una bella spinta per ridurre il lavoro povero che riguarda oggi milioni di lavoratori e lavoratrici, Cgil, Cisl e Uil si mettono di traverso sostenendo che è sbagliato individuare una soglia e che deve essere la contrattazione, ovviamente gestita solo da loro, a stabilire il valore dei salari.

La motivazione addotta è che verrebbe lesa la loro funzione e soprattutto si metterebbero in difficoltà le imprese che si troverebbero a dover aumentare la voce di spesa per i salari dei lavoratori con conseguente riduzione degli utili. Insomma il sindacato è contrario ad una secca redistribuzione della ricchezza verso il fattore lavoro, sottraendolo al fattore capitale.

A coronamento di questa posizione si sostiene che sia giunto il momento di una normativa che, recependo l’accordo del 10 gennaio tra Cgil Cisl Uil e Confindustria, regoli la rappresentanza sindacale anche nel settore privato per fare in modo che solo i contratti firmati da loro siano considerati legittimi. Alla faccia del pluralismo e della democrazia.

Insomma se questo non è sindacalismo al servizio del capitale e delle imprese, ci spieghino come definirlo.

E soprattutto spieghino a noi, ai lavoratori sul tetto della Piaggio, ai milioni di lavoratori che tutti i giorni escono di casa per andare a guadagnarsi un salario incapace di garantirgli una vita dignitosa se è questo il sindacato che serve, se gli strumenti che mette in campo sono in grado di produrre quella inversione di tendenza necessaria a garantire potere contrattuale e diritti al mondo del lavoro, aggredire le disuguaglianze, assicurare pensioni adeguate e non erogate a fine vita, rimettere al centro il salario, sconfiggere la precarietà e la disoccupazione.

A noi sembra di no.

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