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Monti. Un governo per “la lotta di classe dall’alto”

1. Dal 14 dicembre dello scorso anno il governo Berlusconi era diventato l’ombra di se stesso. Allora era apparso a tutti evidente, a cominciare dalla stessa compagine governativa, che non c’era nessuna idea di come affrontare la fase acuta della crisi, di come riciclare un baraccone – a cui ha partecipato allegramente anche la Confindustria – nato solo per spartirsi i dividendi del bottino della spesa pubblica ma in evidente debito di ossigeno. Solo la campagna acquisti dei deputati era riuscita a prolungare un’agonia sempre più penosa.

 

Alla fine chi aveva il potere di decidere è intervenuto ed ha staccato la spina. Non parliamo di generici “poteri forti” ma della Unione Europea, della BCE, del FMI e dunque anche con il concorso dell’amministrazione Usa. Questo passaggio di fase è stato gestito con sapienza, esperienza ed estrema spregiudicatezza dal presidente Napolitano che ha saputo cuocere a fuoco lento Berlusconi. Il governo, infatti, non è caduto sotto la spinta di un forte movimento di massa o per l’efficacia di uno sfibrato antiberlusconismo, è caduto perché è emersa con forza la contraddizione tra il mantenimento di un blocco sociale forte elettoralmente ma debole strategicamente, inadeguato e ostativo alla dinamica mondiale della competizione globale che ormai non può più fare “prigionieri”, ovvero compromessi.

 

Un governo con priorità antagoniste

2. Questo salto qualitativo si è visto nella composizione, nel programma e nello stile del nuovo governo “tecnico” di Monti, il quale in modo “sobrio” e determinato, ha spiegato l’obiettivo strategico ed ha proposto un programma di intervento che integra con cura scelte sociali brutali ad una gestione e rappresentazione tesa ad apparire molto “equa”. Innanzitutto ci ha spiegato che ai mercati interessano più le prospettive che le contingenze, ovvero che sì, sono importanti le misure di riequilibrio del bilancio dello Stato, ma che sono assi più rilevanti le politiche di medio periodo – per i prossimi cinque/dieci anni – affinché vengano garantiti le rendite sui titoli investiti. Dunque sacrifici ma soprattutto riforme e stabilità politica, alla faccia dei bunga bunga di Stato.

 

Insieme ad una serie di misure in apparenza positive, sempre previa verifica, come gli annunciati tagli alle spese della casta politica, la lotta alla evasione, il coinvolgimento delle parti sociali, la salvaguardia per i vecchi contratti, l’uso degli ammortizzatori sociali ed infine la retorica su donne e giovani, Monti ha snocciolato una serie di interventi che mostrano la faccia feroce della Unione Europea e della lettera del 5 agosto di Draghi e Trichet. In primo luogo ci sarà la piena attuazione delle manovre fatte dal precedente governo e la conferma delle orride riforme della Gelmini, poi l’ennesima manomissione sulle pensioni, nonostante l’efficienza del sistema riconosciuta dallo stesso Monti nel suo intervento, la reintroduzione dell’Ici sulla prima casa, la riforma del mercato del lavoro definito duale, dove verrà eliminata la parte garantita del lavoro, introdotta la mobilità, confermata una politica infrastrutturale e ambientalmente devastante.

 

Non solo. Il tutto vedrà una privatizzazione generalizzata dei beni comuni, coinvolgendo i privati nella gestione dei servizi e delle opere e pubbliche e, soprattutto, senza fare la patrimoniale ma limitandosi ad un non meglio specificato monitoraggio sulle ricchezze. Infine viene confermato il ruolo da sub imperialista straccione dell’Italia negli interventi militari assieme alla NATO ed agli altri paesi Europei, a difesa naturalmente della “sicurezza” degli interessi nazionali e della stabilità. Bene, dunque, hanno fatto gli studenti a mobilitarsi il giorno di insediamento di Monti ed a manifestare contro le banche per il nefasto ruolo che svolgono.

 

Le conseguenze sui sindacati e i lavoratori

 

3. Il programma di Monti è un programma di seria lotta di classe dall’alto che segnerà le condizioni sociali del paese e soprattutto di quelli che Monti dice di tenere a cuore, ovvero i giovani e le donne. Su questa politica già si vedono i primi movimenti verso quel patto sociale o di cittadinanza che le parti sociali hanno evocato nell’incontro fatto prima dell’investitura formale del governo. La CGIL invoca la patrimoniale, le altre sigle reclamano maggiore equità fiscali, la Confindustria chiede la riduzione delle tasse per le imprese e la piena libertà nei licenziamenti individuali. Non è difficile prevedere che, se il governo Monti rimarrà in vita, si andrà verso la ripetizione dell’accordo del 1993 sulla concertazione, oggi ovviamente al ribasso, risultato devastante per i redditi e per l’occupazione.

Questa nuova fase di collaborazione di classe pone seri problemi al sindacalismo conflittuale ed indipendente che oggi coinvolge anche quella parte della CGIL in forte difficoltà con la segreteria della amuso. Non si può pensare ad un rilancio meccanicistico del conflitto. Dunque è necessario capire quali sono le nuove condizioni concrete in cui i sindacati di classe si troveranno a dover svolgere il loro ruolo, condizioni certo non favorevoli; sapere come affrontare una fase dove mobilità e licenziamenti saranno gli strumenti utilizzati per impedire le lotte; analizzare bene i punti di contraddizione e gli effetti delle future scelte di Monti e della politica complice che si prospetta con il nuovo patto sociale. Con Monti non vengono meno le ragioni del conflitto, anzi queste aumentano in rapporto diretto ad una crisi che per ora non ha vie d’uscita, ma che obbliga ad una ridefinizione strategica del ruolo del sindacato conflittuale nel mondo del lavoro e nella società nel suo complesso.

Per le forze della sinistra è il gioco dell’oca

4. Se nel mondo del lavoro e nella società gli effetti saranno pesanti dai prossimi mesi, sul piano delle scelte politica della sinistra questi già mostrano il loro effetto devastante. La speranza che la crisi di Berlusconi portasse rapidamente alle elezioni, e dunque ad un possibile rientro della sinistra nelle aule parlamentari, aveva già portato ad immaginarsi “variopinte” tattiche dalla partecipazione alle primarie del PD, agognate da Vendola, alle diversamente concepite proposte di “alleanza democratica” fatte dalle molteplice anime della Federazione della Sinistra. Tutto questo non senza effetti su quello che viene definito movimento, buona parte del quale nutriva pubbliche aspettative di nuovi scenari politici. Insomma durante il tentativo di raggiungere la vetta di un accordo politico tra forze della sinistra “radicale” con il centro sinistra ed il PD, l’ingresso di Monti ha trasformato la montagna in sapone facendo ruzzolare i partecipanti a valle in una sorta di gioco dell’oca dove si torna alla casella iniziale ed è tutto da rifare.  

 

Il problema serio è che quanto accaduto non è solo un rinvio degli eventuali accordi elettorali “contro la destra” al prossimo anno o nel 2013, ma una modifica dell’assetto del quadro politico italiano che sposterà ancora più al centro il suo asse e che renderà possibili alleanze fino a ieri da tutti rifiutate. La difficoltà verso il nuovo governo della IDV e di Di Pietro, stanno a dimostrare che la riorganizzazione europea e la crisi economica e finanziaria non permettono più alleanze spurie ed instabili e che le compatibilità devono essere totali e garantite nel momento della crisi.

 

A quello che rimane delle forze della sinistra si pone perciò – e prepotentemente – un problema strategico di ricostruzione laddove, ormai da anni, questa non ha osato sollevarsi dal falso pragmatismo della tattica. Questo scossone rischia di avere un effetto “collaterale” sul terreno della mera “rappresentazione” del conflitto sociale. Infatti la sconfitta del tatticismo può ingenerare improbabili svolte a sinistra e radicalizzazioni contingenti in attesa di sviluppi istituzionali che ricreino lo scenario precedente (l’alleanza con il Pd). E’ un ritorno al conflitto che contribuisce ad aumentare confusione e competitività in un ambito politico non certo in buona salute. Una verifica di questo scenario l’abbiamo avuta nella manifestazione del 15 Ottobre dove furbizie, interessi di bottega, incapacità politica e gestionale hanno ingenerato una infantile litigiosità e distrutto una opportunità di rilancio del movimento antagonista di massa in sintonia con le mobilitazioni avute in primo luogo in Europa.

 

 

I punti dirimenti e le proposte della Rete dei Comunisti

5. La Rete dei Comunisti ritiene che l’emergere delle questioni strategiche, pur in un quadro difficile e problematico, sia un fatto positivo in quanto mette tutti, allo stesso modo, di fronte alla realtà e allo spessore di quei nodi politici che non possono essere rinviati e dunque richiedono un conseguente impegno di qualità politica e di organizzazione.

La crisi attuale ingenera difficoltà ma anche opportunità che vanno colte sulla base della chiarezza e di una strategia di ricostruzione dei rapporti di forza delle classi subalterne del nostro paese in grado di contrastare uno sviluppo tutto incentrato sugli interessi dei capitali finanziari.

E’ sulla base di questo che si possono ricostituire prospettive unitarie, da curare con estrema attenzione e che abbiano alcuni elementi politici chiari alla loro base.

 

Il primo è la denuncia dell’Unione Europea che si svela rappresentante degli interessi esclusivi del capitale finanziario, che viene gestita da oligarchie che stanno erodendo gli stessi spazi democratici dei popoli europei. La crisi del debito sovrano e la “difesa” della forza dell’euro sono i pretesti che vengono usati per piegare i singoli paesi e la classe lavoratrice europea ai dettami mistici del mercato coinvolgendoli così dentro un conflitto di egemonia che vede la Germania e la Francia in prima fila. Non si può pensare di costruire un movimento politico di massa nel nostro paese senza essere chiari sulla natura di classe della Unione Europea.

 

L’altro dato dal quale è impossibile prescindere, è quello della totale indipendenza dal centro sinistra e dal PD. Questi sono soggetti che condividono ormai pienamente i processi di riorganizzazione produttiva, sociale politica ed istituzionale voluti dalla UE. Pensare di poter condizionare o fare tattica con queste forze significa semplicemente camminare con la testa rivolta agli anni ’90 ed ai primi del decennio, è un esercizio semplicemente masochistico anche per chi vuole perseverare in questa prospettiva.

 

In Italia si sta muovendo e organizzando un movimento contro il pagamento del debito, NO Debito, e per il rifiuto netto, senza se e senza ma, dei sacrifici imposti da qualsiasi governo; in questo senso ci si sta battendo anche per la democrazia chiedendo un referendum sulle politiche imposte dall’Unione Europea. La Rete dei Comunisti ritiene questa una strada corretta, appena iniziata ed ancora da costruire, con tutte le incognite di un processo che va però affrontato con coraggio e determinazione. La costruzione di un fronte politico e sociale che riconnetta le esperienze di classe e democratiche del nostro paese ci sembra la strada giusta da percorrere per ridare forza ed identità ai lavoratori ed alle classi subalterne del nostro paese.

La segreteria nazionale della Rete dei Comunisti

18 novembre 2011

 

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1 Commento


  • luigi cecchetti

    condivido sia l’analisi che le proposte. Bene!

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