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Il Pakistan sull’orlo del baratro. E noi?

 

I continui bombardamenti di droni statunitensi sul suolo sovrano del Pakistan erano visti al più come “eccessi” o “sbagli”. Che il Pakistan sia al centro dell’Asia, incastonato tra Cina, India e repubbliche ex sovietiche asiatiche (quindi Russia) e che la guerra in Afghanistan fosse una guerra “pakistana”, i più si sono rifiutati di capirlo. O meglio, il circo massmediatico ha chiesto ai propri “esperti” di non dirlo.

Qualche ribelle ovviamente si è sottratto alla consegna, ma in realtà Obama aveva già spifferato tutto durante la sua campagna elettorale, quando dichiarò che la guerra in Iraq era un affare secondario mentre quello principale era la guerra in “Af-Pak” (Afghanistan+Pakistan). Era quindi implicito che la strategia statunitense si stava spostando dal problema del “contenimento” della Cina (tra l’altro considerato un falso problema anche da falchi come Henry Kissinger) al “contenimento” della rinata Russia di Vladimir Putin.

Detto incidentalmente è assurdo che il nostro amato ma disgraziato Paese, di cui si vogliono festeggiare i 150 anni di esistenza politica unitaria, debba essere forzato a concentrarsi sul bunga-bunga mentre tutto intorno stanno accadendo queste cose. In confronto ballare sul Titanic mentre stava affondando era un atto di responsabilità. E, purtroppo, buona parte dell’irresponsabilità sta a sinistra.

Ma torniamo al Pakistan.

E vediamo, visto che ci si tiene tanto all’economia, alcune cifre.

Il debito totale del Pakistan ha raggiunto la cifra record di 117 miliardi di dollari. Come mai? Per quanto riguarda le critiche interne al mondo politico pakistano, perché il governo ha violato tutti i limiti imposti dal Fiscal Responsibility and Debt Limitation Act. Il debito pro-capite verso prestatori interni o internazionali è passato dalle 22.000 rupie (258 dollari) del 2008 (inizio del mandato del governo attualmente dimissionario) alle 57.000 rupie (670 dollari) di oggi, a fronte di un reddito annuo pro-capite di 89.000 rupie (1.040 dollari). Ovviamente la misura del disastro non si capisce con la media del pollo ma solo considerando che oltre il 40% dei 175 milioni di Pakistani vive sotto la soglia della povertà.

Ma come si è arrivati a ciò?

Risponderò con le parole dell’economista statunitense F. William Engdhal: perché col Washington Consensus, attraverso FMI e Banca Mondiale gli Stati Uniti hanno effettuato «la più grande rapina della storia del mondo, definita erroneamente come “Crisi di debito del Terzo Mondo”».

Se quella di Engdhal è una valutazione di sinistra, ecco allora servita quella di Herman Kahn, che è stato una delle menti chiave della strategia nucleare statunitense: «Gli Stati Uniti hanno bagnato il naso alla Gran Bretagna e a tutti gli altri imperi della Storia. Noi abbiamo messo a segno la più grande rapina mai fatta». Ed erano parole degli anni Settanta: il peggio doveva ancora venire.

E così è stato veramente: il servizio del debito pakistano negli ultimi cinque anni è salito del 43% per arrivare a 3,11 miliardi di dollari e ha risucchiato ogni risorsa, annullando pressoché tutti i progetti di sviluppo. Ma quell’agenzia di cravattari nota come Fondo Monetario Internazionale chiede di ridurre la spesa pubblica dato che rispetto al precedente anno fiscale il debito pubblico è salito del 16,6%: i soldi servono per pagare gli interessi agli strozzini, non per dare una speranza ai Pakistani.

Come se non bastasse, gli “aggiustamenti strutturali” imposti dall’FMI avevano già fatto piazza pulita del sistema pakistano d’istruzione pubblica, permettendo l’intrusione dell’Arabia Saudita che ha finanziato l’invasione di madrase fondamentaliste da dove sono tra l’altro usciti i ben noti Talebani, gli studenti coranici.

In compenso il Pakistan ha ricevuto pressione dai “partner” per mantenere basso il prezzo del suo petrolio dal primo di questo mese, nonostante che stia salendo in tutto il mondo.

Non è dunque sorprendente che le previsioni economiche si siano ridimensionate: crescita del PIL per il prossimo anno pari al 2,5% contro una previsione iniziale del 4,5%. Se si pensa a cosa sta invece succedendo in India e Cina è come parlare di recessione.

Con queste cifre il Pakistan sta diventando una delle aree più instabili del pianeta.

È da capire perché gli Stati Uniti abbiano avuto l’abilità di arrivare sul punto di alienarsi un alleato così strategico. La risposta, semplice ma credo del tutto sensata, è che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Ovvero, i vari fronti della strategia statunitense per mantenere l’egemonia mondiale e contrastare le pretese dei suoi competitor globali emergenti sono troppi e ormai se si tappa una falla se ne apre una più grande da un’altra parte.

Basti pensare che Mr. President ha dovuto regalare ai finanzieri statunitensi ben 13mila miliardi di dollari – «il più massiccio trasferimento di ricchezza a Wall Street in tutta la Storia», come spiega l’analista e docente di economia Michael Hudson – e che lo scorso mese si è dovuto prendere come capo di gabinetto William Daley, un “bankster” che proviene da JP Morgan, cioè da una banca così zeppa di titoli tossici da far venire i brividi.

Ciò vuol dire che ha bisogno del sostegno dei finanzieri pirati per sviluppare la sua politica di potenza (negli USA quella banca in effetti viene spesso chiamata “JP Pirate Morgan”).

Ed è comprensibile a fronte di una nuova stima del Nobel per l’economia Joseph Stiglitz che valuta in 6mila miliardi di dollari i costi per le sole due guerre asiatiche “ufficiali”, cioè Iraq e “Af-Pak”, in contrasto con alleati ormai riluttanti a sborsare quattrini per aiutare il centro dell’Impero, gli USA: ossia quel che sempre più a stento viene riconosciuto essere “il Paese indispensabile”, come lo definiva Madeleine Albright (che, ricorderò sempre ogni volta che parlo di lei, è quella signora, Segretaria di Stato del santificato presidente Clinton, che diceva che mezzo milione di bambini iracheni morti per l’embargo erano un prezzo giusto).

Si può pensare che di fronte a queste cifre (questa è l’economia che conta, l’altra è un “derivato”), per la superpotenza sarà più utile agire con mezzi più efficaci e più efficienti, come le destabilizzazioni, gli attentati, la creazione o il rilancio di nemici fantasma ma micidiali. Con reazioni analoghe.

D’altra parte più di venti anni fa gli strateghi della Rand Corporation avevano già capito che i conflitti moderni avrebbero usato un miscuglio di mezzi ipertecnologici e di mezzi premoderni, diciamo così “selvaggi”.

* Megachip

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