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Coalizioni, partiti, elettori

Si sta consolidando, infatti, in particolare sul versante del centrosinistra un mutamento di fondo nel rapporto tra strutture politiche, opinione pubblica, orientamenti di voto.

Un mutamento che si colloca al di là della generica constatazione del “distacco” tra politica e società, così come questo è stato denunciato dalla vulgata corrente nel corso di questi anni, e della trasformazione dei partiti, così come questa si è realizzata almeno a partire dall’avvio della lunga “transizione italiana” a cavallo degli anni’90, dovuta alla caduta del muro di Berlino, alla necessità di applicare il trattato di Maastricht, a “Tangentopoli”, alla modifica del sistema elettorale avvenuta – è bene sempre ricordarlo – per via referendaria .

Una via, quella referendaria, ci sia consentito affermarlo per l’ennesima volta del tutto surrettizia, perché il suo utilizzo, nella fattispecie, ha imposto una “torsione” decisiva al sistema spostandolo sul terreno ritenuto, forzatamente, prioritario della governabilità quale fine considerato esaustivo dell’azione politica e mettendo in secondo piano quello della “rappresentatività”.

A questo modo si sono così poste le premesse per l’affermazione di quella “Costituzione materiale” oggi invocata per affermare una presunta supremazia dell’ “unto del signore” non solo rispetto al ruolo del Parlamento, ma anche rispetto alla “classica” divisione dei poteri , alla stessa Costituzione Repubblicana, al ruolo dello stesso Presidente della Repubblica.

Andando per ordine: l’analisi di Diamanti individua una volontà forte, espressa in particolare da elettori del centrosinistra da tempo delusi, emarginati, tentati dall’astensione, di votare, anziché un partito una coalizione ( nell’articolo si accenna al fatto che : i partiti di opposizione riescono ad essere competitivi quando si presentano in “coalizione”. Se interpretano, cioè, le elezioni in modo “semi” maggioritario); l’esito delle “primarie” del centrosinistra a Torino dovrebbe, invece, dimostrare come sia forte la volontà di partecipare soprattutto, ed essenzialmente, alla funzione di “governo” in luogo della articolazione della rappresentanza politica (una funzione di “governo” oltretutto rivolta ad una figura monocratica, con specifici poteri, come nel caso di un Sindaco eletto direttamente dai cittadini).

Sulla base di questa analisi i partiti oggi risulterebbero basati su di un “mix” di tre elementi: la personalizzazione della politica, il prevalere del principio ( e dell’obiettivo) della governabilità, la riduzione del confronto politico ad un profilo di semplificazione diremmo di tipo “bipolare”.

Escludendo così la partecipazione di base e il concorso degli iscritti alla costruzione degli organismi dirigenti (questo avviene anche, e in particolare, a sinistra, laddove la “costituzione materiale appare già imperante da tempo: nell’ultimo congresso di SeL non era consentito presentare mozioni alternative; nel congresso della FdS i delegati sono stati nominati “dall’alto”).

Emerge, così, l’ennesima anomalia italiana (una anomalia molto diversa da quella che si registrava quando nel nostro Paese agiva il più grande partito comunista d’Occidente, impedito ad accedere al governo da una tacita ma ben operante “conventio ad excludendum”): l’elettore risponde al profilo bipolare con un forte coinvolgimento sul terreno della personalizzazione della politica, nello stesso momento in cui le forze politiche se ne allontanano (è nato il “terzo polo”; a sinistra ci sono forti incertezze sullo schema di alleanze e le “primarie” sono invocate da chi pensa, non tanto proprio al profilo bipolare, ma soprattutto a “sparigliare” il proprio campo).

Insomma: personalizzazione e bipolarismo che pareva dovessero fondersi in una sola proposta politica, adesso tendono a divaricarsi e a contrapporsi nell’azione delle forze politiche e nel rapporto che queste cercando di stabilire con l’elettorato, al riguardo del quale sempre meno agisce la forza di un soggetto intermedio, un partito radicato sul territorio.

Questo dato pone un interrogativo di fondo, quello relativo alla costruzione di un impianto coalizionale coerente con le aspettative di larga parte dell’elettorato, tenendo conto della necessità di presentare programmi adeguati e non rischiare di finire nella fossa delle contraddizioni operative e del confronto stridente tra personalità.

Se, a destra, è possibile colmare questo divario che è andato formandosi attraverso la leadership personale che rappresenta il punto più efficace di saldatura in quell’ambito, a sinistra le cose si fanno più complicate: a patto che non si voglia tentare, come pure pare qualcuno intenda fare, di muoversi proprio sul terreno dell’avversario.

Tutto ciò avviene in un quadro reso ulteriormente complicato dalla crisi economica, che porta a contrapposizioni molto forti non riducibili all’interno di una omogeneizzazione sociale fondata, semplicisticamente, sull’individualismo consumistico e sull’adesione complessiva al liberismo, in una fase di abbassamento complessivo del tenore di vita per grandi masse di cittadini ( teniamo fuori da questo punti di analisi tantissime altre questioni pur tutte decisive, in particolare in riferimento al ruolo dello Stato, dell’Europa e della politica internazionale).

Per quel che riguarda i soggetti politici esistenti appare evidente che PD e SeL saranno costretti ad adeguarsi a questa omogeneizzazione nei rapporti sociali (scontando anche evidenti contraddizioni, ad esempio, sui temi etici vista l’articolazione culturale delle loro rispettive basi di riferimento) andando ad una alleanza fondata (come sta accadendo già nelle primarie per le amministrazioni locali) sulla competizione di leadership all’interno di un meccanismo maggioritario che costringerà comunque i loro esponenti all’alleanza con il centro.

Rimane aperto un grande spazio (ed in politica, si sa, il vuoto viene sempre, bene o male, riempito comunque): quello di una forza di sinistra autonoma, che prima costruisce la propria identità sui contenuti, afferma la sua autonomia, offre alla propria base sociale di riferimento un’idea di non “omogeneizzazione” anche attraverso una proposta di agire politico fondata sul collettivo e sull’esaltazione della rappresentatività e, di conseguenza, strutturata la propria soggettività valuta la prospettiva di una coalizione, finalizzata a seconda dei casi a contrastare l’avversario principale oppure a costruire una ipotesi di governo alternativo (nel suo articolo già citato Diamanti ricorda che le coalizioni possono essere costruite per tempi ed obiettivi limitati).

Esistono, nel portato storico della vicenda politica italiana, punti importanti di riferimento sotto questo aspetto; emerge la possibilità concreta di un divario secco tra offerta e domanda politica (come abbiamo cercato di analizzare descrivendo il meccanismo di coalizioni omogeneizzate politicamente e tenute assieme soltanto dal confronto sulla personalizzazione della politica); si aprono spazi diversi da quelli ristretti tra la scelta dell’adeguamento o del populismo.

Potrebbe essere il caso di cominciare a pensarci.

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