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Università. Sulla “soglia” dell’autunno… con lo sguardo alla primavera

Una mobilitazione che, non finiremo mai di ricordarlo e soprattutto ricordarcelo, è stata capace di trascendere le specificità della lotta contro la legge Gelmini, spogliandosi di quel carattere fin troppo studentista che aveva, in gran parte, caratterizzato le mobilitazioni del 2008. Di quel movimento, di quell’Onda, abbiamo ritrovato, nei mesi passati, solo lo slogan: sei parole, “noi la crisi non la paghiamo”, che dicevano molto, che sollevavano contraddizioni evidenti, contraddizioni che quel movimento non si è impegnato, forse non ha voluto o saputo agire e che gli studenti dell’autunno 2010 non hanno ripreso durante i cortei come semplice slogan, ma nella pratica e nella concretezza dei percorsi di lotta da intraprendere.

Si è riusciti a socializzare la necessità di mettere in campo una lotta che, per essere potenzialmente efficace, andasse a svelare e colpire il sistema dal quale derivano questa e le precedenti riforme. Sullo sfondo la crisi del Capitale, la sua necessità, in Italia, di attaccare i residui del welfare, tagliando qua e là, per fare cassa e l’Università, non è che una voce nel bilancio sulla quale intervenire. Nel frattempo Marchionne e la nuova “guerra umanitaria” ci ricordano cosa significa “crisi” e cosa significa “capitalismo”.

Ma facciamo un passo indietro, torniamo all’Università ed alla mobilitazione che è stata.
Il 14 dicembre si è rivelato un tassello fondamentale del processo di lotta sviluppatosi durante l’autunno più caldo degli ultimi dieci anni; ma analisi di più ampio raggio ed una maggiore radicalità non ci hanno portati comunque al raggiungimento di alcuni degli obiettivi prefissatici. Il 23 dicembre, infatti, il ddl 1905 diventa Legge, non certo nel silenzio generale della maggioranza degli studenti, con una pacca sulla spalla del Presidente Napolitano a pochi che ancora una volta si sono arrogati il diritto di mettere a tacere quella rabbia e determinazione che la piazza aveva accolto. In pochi minuti, ammutolendoci di colpo.

“Fortunatamente” il testo della Legge 240, approvato in fretta e furia, dietro enormi sollecitazioni anche da parte della Confindustria1, presenta dei tratti incompiuti, delle falle che sono state immediatamente svelate e ritenute il  nuovo terreno di intervento da parte di molti collettivi universitari.

Naturalmente partiamo da un dato di fatto: la riforma è stata approvata, è legge e questa è sicuramente una sconfitta. Ma è necessario riuscire a trarre quelli che invece sono stati elementi assolutamente di avanzamento del movimento e, fin da subito, la nostra strada nella lotta universitaria, non può significare lavorare per ammorbidire l’applicazione della legge o, ancora peggio, partecipare ai lavori…
La strada da seguire è quella tracciata questo autunno, il nostro obiettivo è individuare tutti i metodi possibili che ci permettano di boicottare il pericolante percorso giuridico dell’ormai legge.

Passando ad analizzarne il contenuto, è facile identificare i punti deboli di questa riforma in cui tutto è ancora “da determinare/da prevedere/da introdurre” e il cui baricentro applicativo viene spostato dal Ministero ai singoli atenei posticipando, di conseguenza, l’attuazione di ben 47 decreti.
Insomma, la palla adesso passa agli atenei e quindi il nostro interlocutore non è più chiuso in un Palazzo, dietro centinaia di uomini delle forze dell’Ordine; è nelle nostre facoltà, si riunisce mensilmente, è fatto anche di quei docenti che la mattina arrivano in aula pretendendo di “trasmetterci” qualcosa.

In questo senso, margini per un intervento immediato si aprono in merito alla specifica questione della riscrittura, da parte di ogni Università, degli Statuti d’ateneo.

L’articolo 2 al comma 1, afferma, infatti: “Le università statali, nel quadro del complessivo processo di riordino della pubblica amministrazione, provvedono, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, a modificare i propri statuti in materia di organi, nel rispetto dell’articolo 33 della Costituzione, ai sensi dell’articolo 6 della legge 3 maggio 1989, n. 168, secondo principi di semplificazione, efficienza ed efficacia”.

Ogni ateneo, quindi, dispone di sei mesi di tempo – più altri tre di proroga (Art 2 comma 6) – per poter riscrivere il proprio Statuto recependo le normative introdotte dalla Legge 240.

Il lavoro di riscrittura prevede la formazione di un nuovo organo, ovvero di una “commissione” dotata di questo unico e specifico incarico; dovrà essere composta da 15 membri: il Rettore, due rappresentanti degli studenti, 6 membri eletti dal Senato Accademico e 6 membri eletti dal Consiglio d’Amministrazione (Art. 2 comma 5). Se il nuovo Statuto non dovesse essere predisposto dall’Università entro i 6 mesi più 3 di proroga, sarebbe il Miur stesso ad intervenire nominando un’ulteriore commissione di 3 membri per apportare le dovute modifiche, revisionare il tutto in 120 giorni e pubblicarlo sulla Gazzetta Ufficiale (Art. 2 comma 7). Abbiamo tutti gli elementi, dobbiamo solo agire!

A Napoli, Firenze, Torino, Bologna, Pisa e Palermo, i collettivi universitari e gli studenti che hanno seguito la mobilitazione autunnale, hanno battuto strade molto simili con l’intento di boicottare la riforma, tenendo presente gli spazi aperti dalle “imperfezioni” della Legge stessa.

Interrompere le sedute dei Senati accademici e dei Consigli di Amministrazione, con l’intento di impedire la nomina dei componenti delle Commissioni per le modifiche statutarie; chiedere strumentalmente le dimissioni dei rappresentanti degli studenti, cosa che porterebbe ad allungare i tempi perché sarebbe necessaria la nomina di nuovi membri della commissione; nei casi in cui le università hanno accelerato i tempi di formazione, a Commissioni riunite, si è impedito che queste svolgessero le proprie sedute pensate esclusivamente per la riscrittura degli statuti.
Insomma, l’obbiettivo è quello di impedire che, nei tempi predisposti dalla legge, gli statuti vengano riscritti per recepire la legge.

Davanti alle prime mobilitazioni, nella maggior parte dei casi la questione è stata risolta “secondo principi di semplificazione, efficienza ed efficacia” a cui fa appello la Legge 240, ovvero invalidando le sedute interrotte e svolgendone delle altre secondo modalità “poco trasparenti”, a Torino invece, di fronte al tentativo degli studenti di bloccare i lavori della Comissione, la risposta istituzionale è stata esemplare .
Per impedire di bloccare per la seconda volta la seduta, il rettore ha disposto un ingente dispiegamento di  forze dell’ordine a barricare il rettorato.
Questo episodio è indubbiamente lo specchio dell’irrigidimento e chiusura istituzionale che tenta di ignorare le conseguenze nefaste di questa riforma, guardando solo all’immediata “messa a norma” dell’Università, scavalcando e ignorando ancora una volta le richieste di chi vive l’università.

È questo lo scenario che abbiamo davanti e che ci impone di non sottostare, ancora una volta, alle logiche di palazzo: l’opposizione reale, l’opposizione dal basso al Governo e agli istituti della governance delle università deve guadagnare terreno, generalizzando e ricucendo le lotte che ci aspettano e fonderle in un unico blocco che necessita di spazi di discussione e di confronto, di arricchimento e dibattito, di organizzazione e mobilitazione.

IL FUTURO NON E’ SCRITTO

28 marzo
rete delle realtà studentesche autorganizzate
www.red-net.it

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