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Il bluff degli “accordi” di Tunisi

Dietro le migrazioni contemporanee c’è semplicemente questo. Che fuggano dalla guerra, dalla crisi economica, dalla disoccupazione, dall’incertezza politica, i migranti affrontano rischi tali da rendere ridicole le misure di contenimento, sia in patria, sia nel canale di Sicilia o sulle nostre coste. E ciò rende in partenza un bluff gli “accordi” di Tunisi. Non si sa se il governo italiano abbia promesso soldi (Maroni nega…), ma è da escludere che un po’ di motoscafi veloci e di fuoristrada riescano laddove le passate mance a Gheddafi, Ben Ali ecc. hanno clamorosamente fallito. E se anche il governo di Tunisi si consolidasse, le partenze continueranno e il problema resterà. Un governo capace di ragionare politicamente avrebbe affrontato da sempre la questione strategica delle migrazioni, senza nascondersi dietro la truculenza, gli slogan razzisti e le proteste degli isolani preoccupati delle loro belle spiagge. Ma, lo ripetiamo, se Amato e Pisanu hanno fatto un buco nell’acqua, non si vede come possano fare qualcosa politici del calibro di Maroni e Cota.
La reazione della Lega agli sbarchi di queste settimane dimostra, a parte l’ottuso localismo, la pochezza delle sue proposte politiche. “Svuotare la vasca”, “chiudere i rubinetti” e così via, prima di essere slogan da bar della bassa padana, sono ammissioni d’impotenza. Chiudersi nel recinto mentale di una Padania immaginaria può servire per il momento a tener buono il proprio elettorato. Ma da domani, forse da queste stesse ore, rivela come la Lega non abbia nulla da proporre, salvo grottesche fughe in avanti (gli eserciti regionali!) a cui non credono nemmeno i suoi militanti.
Qual è allora la questione strategica? Semplicemente che la globalizzazione, compreso anche il ricorso sempre più ampio all’informatica, mobilita una gioventù insofferente dei propri tirannelli, della subordinazione economica a un occidente chiuso e propenso alle spinte neo-coloniali.
N on ci ricordiamo che, prima delle attuali sollevazioni, il Maghreb era la mecca delle maquilladoras, cioè delle imprese in subappalto che lavorano per le nostre economie, sfruttando lavoratori sottopagati? E perché questi giovani dovrebbero accettare le briciole da loro, quando, dall’altra parte, da noi, le stesse mansioni consentirebbero una sopravvivenza almeno decente?
Non è un caso che i giovani tunisini arrivati in queste settimane siano solo di passaggio in Italia e puntino alla Francia o all’Europa del nord. Non è solo una questione di lingua, ma di opportunità lavorative e chance di vita. E si noti che questo riequilibrio, economico prima che demografico, è già nei fatti. Le società meno ottuse l’hanno capito da sempre e, nonostante la fortezza Europa, cercano di integrare civilmente i lavoratori stranieri. Ma l’Italia, condizionata dalla Lega e da politici incredibilmente miopi (si pensi solo alle litanie di Rutelli sul “traffico di esseri umani” e sugli infami scafisti), no. L’Europa, dunque. Invece di piagnucolare sulla mancanza di “solidarietà” europea (senti chi parla!) nei respingimenti, un ceto politico lungimirante comincerebbe a pensare al Mediterraneo come spazio sociale ed economico comune, a investimenti che non siano mirati solo allo sfruttamento parossistico della forza lavoro. Al contempo, permetterebbe a queste intelligenze di accedere e circolare liberamente nel nostro paese. Ma per questo sarebbe necessario andare a fondo nella critica dei nazionalismi e smetterla, a destra e a sinistra, di bearsi con le sceneggiate a base di tricolori e inni di Mameli.  Ecco un bel compito per quello che resta della sinistra.

(da Liberazione del 7 aprile 2011)

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