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Egitto. Le speranze tradite di Piazza Tahrir

 

Osama, designer cairota, circa due mesi fa ha creato delle etichette per promuovere le richieste della rivolta egiziana. Ha listato dieci domande e ha apposto accanto ad ognuna un cerchio vuoto da segnare a penna. Una x per ogni richiesta soddisfatta. Le etichette sono andate a ruba. Quello che Osama non si aspettava è che, a distanza di due mesi, avrebbe apposto sulla sua lista solo tre crocette. Richieste sostenute dalla protesta di Tahrir, come la sospensione dello stato di emergenza, il processo ai membri del regime, la restituzione del danaro pubblico rubato durante questi decenni, una nuova costituzione, la liberazione di tutti i prigionieri politici, sembrano ancora ben lontane dall’essere soddisfatte.

Intanto la scorsa settimama il Consiglio Supremo delle Forze Armate ha rilasciato la nuova dichiarazione costituzionale e il quadro di quella che sarà la corsa alle prossime elezioni parlamentari e presidenziali è diventato un po’ più chiaro. Inoltre, è stata ratificata anche la nuova legge sulla formazione dei partiti. Immediate, sono arrivate le reazioni di tutte le parti coinvolte nel discorso politico egiziano.

A costituzione sospesa, la dichiarazione (redatta da una commissione nominata dal Consiglio Supremo e scritta, comunque, sul modello della precedente costituzione) regolerà i rapporti tra i poteri politici fino alle  prossime elezioni parlamentari, previste per settembre. Sarà poi il nuovo parlamento a gestire la scrittura della carta costituzionale tramite una commissione costituente.

La dichiarazione, di 63 articoli, ingloba gli emendamenti approvati dal referendum del 19 marzo con il 77% di voti favorevoli. Lascia intatti alcuni elementi chiave della precedente costituzione -come l’articolo 2, che indica l’Islam come religione di stato e la shar’ia come fonte della costituzione. Inoltre, nelle parole del generale maggiore Shahin, la dichiarazione garantisce il passaggio di potere al futuro parlamento, la libertà di stampa e opinione e la tutela contro arresti ingiustificati.

Di pochi giorni fa anche la nuova legge che regola la formazione dei partiti. Nel testo si leggono alcuni cambiamenti rispetto alle procedure in forze sotto il regime di Mubarak. Per chiedere il riconoscimento come partito serviranno 5000 firme raccolte in almeno 29 province e le liste di nomi non saranno più presentate alla Commissione per gli Affari dei Partiti Politici, emanazione del Partito Nazional Democratico (PND ex-partito al potere), ma ad una semplice commissione legale. I partiti non potranno essere fondati, su base religiosa, razziale, di classe, sesso e lingua. Una volta emanato, il decreto ha aperto la corsa all’organizzazione delle nuove formazioni politiche in vista delle elezioni.

Nell’ultima settimana, molti raggruppamenti di diverso orientamento hanno annunciato l’intenzione di costituirsi come partiti. ‘Amr Hamzawi (ricercatore del Carnegie Endowment for Peace) ha annunciato la fondazione del Partito Social-Democratico Egiziano, una coalizione di attivisti politici, professori e vari intellettuali di orientamento liberal-democratico. Le linee guida del nuovo partito promuoveranno diritti democratici, giustizia sociale e unità nazionale inter-religiosa, al fine di costruire una società post-rivoluzionaria ancora in formazione. Anche una coalizione di supporter di Gamal Mubarak si è dichiarata pronta a formare un partito politico. Tra i fondatori, Magdy al-Kurdy, il leader del movimento popolare pro-Gamal, che ha sostenuto la candidatura presidenziale del figlio di Mubarak durante l’estate 2010. Nel frattempo, la Fratellanza Musulmana si sta organizzando per avviare il suo partito Giustizia e Libertà e sta preparando il lancio di nuovi organi di stampa, come un canale satellitare e un nuovo quotidiano. Anche la Jamaiyyat Islamiyya, dopo trent’anni di stallo, potrebbe tornare attiva sul fronte più apertamente politico. Inoltre, di ieri la notizia che il magnate delle telecomunicazioni Naghib Sawiris lancerà il suo Libero Partito Egiziano, a cui parteciperanno esponenti della cultura come Ahmad Fuad Nigm e Gamal al-Ghitani.

Se la Fratellanza Musulmana e il partito Wasat hanno commentato positivamente sia la dichiarazione costituzionale che la nuova legge sui partiti, molti altri gruppi politici hanno sollevato critiche pesanti. Le preoccupazioni maggiori sulla dichiarazione ruotano attorno all’articolo 56, che stabilisce il ruolo del Consiglio Supremo delle Forze Armate. Il controllo sul quadro politico egiziano resta saldamente in mano ai generali guidati da Tantawi, ex ministro della difesa sotto Mubarak. Non ci sarà alcun passaggio di potere a commissioni civili per questo periodo di transizione, come invece auspicato dai movimenti di attivisti.

Per quanto riguarda la legge sulla formazione dei partiti, la Coalizione dei Giovani del 25 Gennaio ha subito dichiarato che la richiesta di 5000 firme per istituire un partito, a meno di sei mesi dal voto parlamentare, è irragionevole e pericolosa. I tempi tecnici di organizzazione non sono sufficienti. Il professor Samer Soliman, tra i membri fondatori del Partito Social-Democratico Egiziano, ha condannato la legge e la dichiarazione costituzionale in toto e, in una recente intervista, riportata dal quotidiano locale al-Masry al-Yowm, ha sollevato quello che, al momento, sembra il problema essenziale. “La nuova dichiarazione costituzionale è stata redatta da una commissione che non rappresenta le diverse fazioni politiche egiziane. Non c’è stata sufficiente trasparenza. La commissione avrebbe dovuto aprire al pubblico la discussione”. In una parola, la commissione, formata dal Consiglio Supremo per stendere la dichiarazione costituzionale, si è comportata come un custode della popolazione egiziana, senza aprire un confronto serio a cui tutti potessero partecipare.

L’atteggiamento paternalistico dell’esercito e del governo, che limita l’intervento della società civile nelle decisioni relative a questo periodo di transizione, è un problema sollevato anche da altri esponenti politici, come Muhammad el-Baradei, leader dell’Associazione Nazionale per il Cambiamento, e dall’ex-segretario generale della Lega Araba ‘Amr Musa, due dei possibili candidati presidenziali. In una recente intervista al London Middle East, Musa ha espresso preoccupazione sul modo in cui i generali egiziani stanno gestendo il periodo di transizione. La forma con cui il processo di transizione viene condotto è sostanza. Scrivere una nuova costituzione prima delle elezioni sarebbe stato più democratico, insiste el-Baradei in ogni sua dichiarazione.

Anche per queste ragioni, Muhammad el-Baradei ha deciso di non partecipare al colloquio di unità nazionale tenutosi la scorsa settimana e presieduto dal vice-primo ministro Yehia al-Gamal. All’incontro erano presenti varie forze politiche e figure pubbliche, ma molti -tra cui alcuni partiti e rappresentanti di organizzazioni della società civile e per i diritti umani, protagonisti della rivolta iniziata il 25 gennaio- sono rimasti esclusi. Fonti vicine a el-Baradei hanno definito il “colloquio” non ben pianificato e troppo esclusivo. Il giudice Hisham Bastawissy e lo stesso ‘Amr Musa hanno deciso invece di partecipare.

Resta alta, quindi, l’attenzione e la pressione su governo e forze armate da parte dei gruppi di attivisti, che hanno chiamato una nuova manifestazione per venerdì 8 aprile. La Coalizione dei Giovani della Rivoluzione, nella sua dichiarazione più recente, ha ricordato come quanto ottenuto finora sia frutto della pressione esercitata tramite le proteste. Quindi, ha deciso di proseguire con la serie di mobilitazioni settimanali, dando appuntamento a tutti gli egiziani ogni venerdì, finché le domande della rivolta non saranno soddisfatte per intero.

Una pressione che sembra necessaria soprattutto per portare a termine uno degli obiettivi fondamentali di venerdì scorso e del prossimo venerdì: il processo contro i principali membri del regime. Tra loro, non solo Mubarak, ma anche l’ex-portavoce del Parlamento Surur, accusato di essere il mandante della cosiddetta “battaglia dei cammelli” –quando supporter prezzolati di Mubarak hanno attaccato i manifestanti in piazza Tahrir lo scorso 2 febbraio-, Azmy, uno dei leader del PND, Sherif ex-segretario generale del PND e Habib al-‘Adly, ex-Ministro degli Interni -accusato, tra l’altro, di aver ordinato di sparare sui manifestanti, di aver volontariamente creato un vuoto di sicurezza ritirando la polizia dalle strade e liberando i detenuti da alcune carceri alla fine di gennaio e di essere il mandante di torture e omicidi di diversi membri dell’opposizione. Uno dei processi ad al-‘Adly, uomo simbolo del regime oppressivo che ha controllato il paese finora, è stato recentemente rimandato, sollevando non solo perplessità, ma anche rabbia.

L’attivismo politico egiziano, che ha aperto la strada alla rivolta iniziata il 25 gennaio, sembra quindi concentrarsi su istanze sensibili, attorno a cui trovare consenso. Ora che molti egiziani vogliono semplicemente tornare alla normalità, il rischio è che i giovani attivisti perdano completamente contatto con la maggioranza della popolazione.

* Nena News

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