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Da Reporter senza Frontiere al fascismo di Le Pen

Per Robert Ménard (Orano, 1953), piede nero (francese d´Algeria) e figlio di un fascista
commilitone di Jean-Marie Le Pen nell´OAS, è il traguardo di un percorso che lo riporta alle
origini, dalle quali probabilmente non si era mai allontanato se non tatticamente.
Spacciatosi per buona parte della sua vita come liberale, libertario e persona di sinistra,
Ménard aveva via via rotto gli argini, spostando RSF da una presunta origine liberal-
progressista verso un suprematismo occidentalista completamente identificato nella politica
di George Bush.
Nel corso di questi anni ha fatto parlare di sé per posizioni sempre più estreme, islamofobe,
omofobe, per la pena di morte e a favore della tortura. Oggi, dopo aver abbandonato RSF,
il libello “Vive le Pen”, a giorni in libreria a Parigi e firmato con la moglie, Emmanuelle
Duverger, vuole essere la risposta di estrema destra a “Indignez-vous!” (Indignatevi!) di
Stéphane Hessel. Nel pamphlet Ménard prova ancora a vendersi come paladino della
libertà d´espressione ma per denunciare stavolta la discriminazione da parte dei media e
della politica francese, in particolare di quelli di sinistra, contro l´estrema destra e la censura
contro le “idee” razziste e fasciste propagandate dal Front National. Furbo come una volpe
Ménard cita continuamente Voltaire (darebbe la vita per permettere al negazionista della
Shoah Robert Faurisson di dire la sua, sic) e non ammette ancora di voler entrare in politica
nel Front National ma ci gira intorno e sostiene di considerare giuste le motivazioni degli
elettori del FN oltre che il programma di quel partito.
Quella sul coming out fascista di Ménard, che di fronte alle crescenti polemiche in Francia
si è già dichiarato vittima di un “processo per eresia” da parte dei benpensanti di sinistra e
che sta impostando tutta la propaganda sulla denuncia dell´intolleranza contro di sé e contro
il FN, è una notizia di quelle imbarazzanti e di conseguenza i grandi giornali italiani finora la
stanno ignorando.
Per anni infatti “Reporter senza frontiere”, che si presentava come una ONG liberal-
democratica se non apertamente progressista, ha avuto entusiasta stampa sui grandi media
italiani che pendevano e pendono dalle labbra di questa organizzazione e dalle sue
denunce tralasciando il fatto che da più parti Ménard e RSF erano accusati di amnesie
selettive al momento di scegliere di quali casi occuparsi. Non importava quanto squilibrate
fossero le denunce contro violazioni della libertà d´espressione vere o presunte (tanta Cuba
e ancor di più Venezuela e niente Messico, Colombia o Honduras per semplificare). Tutto
quello che proveniva da RSF era preso e pubblicato come oro colato. Quei pochi studiosi
che in questi anni si sono permessi di far rilevare le crescenti incongruenze di tale
organizzazione e il fatto che questa fosse tutt´altro che neutra nel difendere la libertà di
stampa e d´espressione, sono stati puntualmente diffamati e demonizzati come pericolosi
estremisti.
La verità era però sotto gli occhi di chiunque volesse vederla. Mentre RSF contribuiva a
creare il caso Yoani Sánchez a Cuba (che per fortuna nessuno ha mai incarcerato, né
torturato), si disinteressava completamente a tutti i blogger che in decine di paesi sono
incarcerati e in qualche caso uccisi, ma hanno la sfortuna di vedere conculcati i loro diritti
da un governo autoritario vicino agli interessi degli Stati Uniti. Mentre in Venezuela RSF
schierava quotidianamente l´artiglieria contro il governo di Hugo Chávez, difendendo a
spada tratta anche media apertamente golpisti, come RCTV, nulla diceva dei giornalisti
ammazzati dalla dittatura hondureña di Roberto Micheletti. Mentre denunciava la mancanza
di libertà di espressione in Cina o in Iran teneva uno scrupoloso silenzio su casi come quello
dell´Iraq o di altri paesi “amici” del golfo persico e sugli attacchi deliberati ai media
commessi dalle truppe alleate che portarono per esempio alla morte del cameramen di
Tele5 José Couso.
Tutto ciò rispondeva ad una precisa logica economica e politica. E´ stato ripetutamente
denunciato e infine ammesso che Reporter senza Frontiere era finanziata, oltre che
direttamente dalla CIA, dalle più importanti fondazioni filo-repubblicane statunitensi, come
Freedom House o National Endowment for Democracy, in genere organiche al governo di
George Bush. Tali fondi non servivano per fomentare la libertà di espressione ma per
orchestrare vere e proprie campagne di disinformazione e diffamazione contro sgoverni
sgraditi nelle quali RSF è stata più volte presa con le mani nel sacco. Purtroppo, denunciare
come RSF non avesse in maniera terza a cuore la libertà di stampa, ma fosse uno
strumento per la politica di “regime change” bushiano, laddove l´eufemismo del cambio di
regime voleva dire cambiare un regime (autoritario o democratico poco importa) con uno
amico degli Stati Uniti, in genere autoritario, ha portato finora all´ostracismo di chi,
documentatamente, tali denunce presentava.
Ancor più difficile è stato far luce sulla sinistra figura dell´uomo simbolo di RSF, Robert
Ménard. Per anni tenutosi al coperto sotto la conveniente bandiera del politicamente
corretto, questo si era via via liberato di ogni remora. Nell´agosto 2007 la sua aperta difesa
dell´uso della tortura fu oggetto dell´ultima denuncia del grande Franco Carlini prima di
morire. Quella sulla tortura non era l´ultima ignominia di Ménard, omofobo, favorevole alla
pena di morte (salvo che in Cina) e islamofobo (vorrebbe privare i musulmani della
cittadinanza francese) come un Borghezio qualsiasi e nonostante citi Voltaire a ogni pié
sospinto.
A ben guardare non c´è nulla di strano nell´approdo di Ménard al Front National. Ma quelli
che l´hanno difeso ed esaltato in questi anni e hanno disdegnato i dubbi di chi avanzava
legittime preoccupazioni sul caso RSF, dovrebbero avere l´onestà intellettuale di non
negare questa informazione e, possibilmente, fare autocritica.
Gennaro Carotenuto su http://www.gennarocarotenuto.it

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