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Rispetto, non ipocrisia

Se il problema è quello del lavoro, o del lavoro dei giovani, alcuni dati indiscutibili sono:

  • la distribuzione del reddito peggiora costantemente e drammaticamente a sfavore del lavoro in tutti i paesi da trent’anni, in Italia in modo particolare; questo vuol dire che i redditi da capitale aumentano e i redditi da lavoro diminuiscono, sia che il reddito nazionale cresca, sia che rimanga stagnante: la produttività non c’entra;

  • la quota degli investimenti in rapporto al Pil oscilla da quarant’anni attorno al 18-20%: ciò significa che, se teniamo conto del dato sulla distribuzione, la parte dei profitti che si trasforma in nuovi investimenti si riduce anno per anno, anche se aumenta (come il reddito) in valore assoluto;

  • la spesa pubblica italiana dovrà ridursi di qualcosa come 40 miliardi di euro l’anno fino a quando il debito pubblico, da 120 che è adesso, diventerà il 60% del Pil.

 

A partire da questi dati, dal momento che il lavoro – dei giovani soprattutto, ma non solo, come è ovvio – o è lavoro privato, cioè proviene dagli investimenti delle imprese, o è lavoro pubblico, cioè deriva dalla spesa pubblica, come è possibile ottenere il risultato di un maggior lavoro, di un aumento dell’occupazione? Semplicemente non è possibile, se non si trasforma in variabile almeno uno, o due, o tutti e tre i dati. E allora:

    • o si modifica radicalmente la distribuzione del reddito,

    • o si assume il controllo della produzione,

    • o si rinuncia a ridurre il debito pubblico.

 

Se non si vuole cambiare nessuno di questi dati, allora la si smetta di dire che si vuole aumentare l’occupazione. Per rispetto dei ragazzi e delle ragazze.

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