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Punto sulle mobilitazioni studentesche e prospettive per l’autunno

Le lotte hanno dapprima riguardato i ricercatori, la cui indisponibilità a tenere l’attività didattica (già non dovuta per contratto e, quasi sempre, per nulla o pochissimo retribuita) ha fatto slittare l’inizio dei corsi, per poi estendersi agli studenti, dando luogo ad un ciclo di lotte che ha visto per 2-3 mesi le città tempestate di cortei selvaggi, blocchi di stazioni e di vie di comunicazione e occupazioni di facoltà. Il tutto è, infine culminato con le giornate del 14 dicembre a Roma, in cui vi sono stati intensi scontri con la polizia a Piazza del Popolo che hanno destato scalpore ed hanno avuto una certa rilevanza nel dibattito pubblico del paese, e del 22 dicembre.

Rispetto alle precedenti mobilitazioni, nulla è cambiato per quel che riguarda i tempi contingentati delle lotte che, per forza di cose, ricalcano quelli didattici. Tuttavia, questa volta si è prodotto, in maniera quasi naturale e spontanea, un incontro (non è il caso ancora di parlare di “saldatura”) quantitativamente e qualitativamente migliore, rispetto ai cicli di lotta passati, con gli altri soggetti in lotta; in particolar modo con i lavoratori, anch’essi impegnati in intense mobilitazioni in quel periodo. Da segnalare, in tal senso, la presenza degli studenti nelle mobilitazioni operaie di Fiom, Cobas e Usb nei primi mesi del 2011.

Tali dati sono importanti, ma ancora ampiamente insufficienti. Persiste, nelle avanguardie degli studenti che danno vita alle mobilitazioni, ancora una scarsa attitudine alla ricomposizione sociale (per non dire all’organizzazione!) e resta ancora irrisolto, e motivo di spaccature, il rapporto con i sindacati; ciò, naturalmente, ha motivazioni oggettive e soggettive che non è semplice indagare. Nel frattempo, tuttavia, varie centinaia di collettivi che si erano formati col movimento dell’“onda” hanno avuto la possibilità di svilupparsi, crescere e forgiarsi ulteriormente nella lotta, dando vita ad un’“inteligenza sociale diffusa” e ad un potenziale conflittuale di cui – chi si propone la ricostruzione di un soggetto organizzato orientato a modificare radicalmente l’esistente rovesciando i rapporti di proprietà – non può non tenere conto.

Dai punti d’incontro che vi sono stati con i lavoratori, si diceva, si deve ripartire. Tuttavia, questa volta gli studenti hanno il dovere di compiere molti passi avanti in tal senso, perché proseguire nell’autismo sostanziale non ha alcun senso. Lo scenario internazionale (con una seconda recessione dovuta questa volta al debito pubblico) e quello nazionale (con i vari appuntamenti di mobilitazione già in programma per l’autunno) incitano e, nel contempo, obbligano gli studenti a ridefinire il loro ruolo all’interno del quadro del conflitto sociale in Italia: da soggetto “sfuggente” – che talvolta riappare per breve periodo, concentra l’attenzione mediatica su di sé e poi svanisce – a soggetto che, al pari di tanti altri, contribuisce a costruire percorsi di lotta di lotta comuni ed avanzati e nuovi spazi del conflitto.

In tal senso, gli appelli per il 10 settembre da parte dell’esperienza “Roma bene comune” e per il 1 ottobre da parte dei “lavoratori autoconvocati” si configurano come occasioni da cogliere anche per gli studenti che fanno dell’autorganizzazione la loro modalità di agire politico.

Infatti, solo mettendo a disposizione di una più vasta unità delle lotte e ricomposizione sociale il proprio potenziale conflittuale possono ambire a migliorare l’istruzione universitaria in questo paese, segnando delle controtendenze rispetto alle politiche di aziendalizzazione degli ultimi 15-20 anni, lasciandosi finalmente alle spalle ingenui ed infantili “studentismi” che hanno determinato il puntuale arenamento e isolamento del movimento studentesco negli anni scorsi.

 

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