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Crisi. Unica via la nazionalizzazione di banche, servizi, trasporti, energia e comunicazioni

La grande Crisi sta investendo la piccola Italia. Più del 2007, il 2011 sta diventando la crisi dell’Europa, colpendo prima la Grecia, poi l’Irlanda ed il Portogallo ed ora l’Italia e la Spagna. Governo e forze politiche di centro-destra e centro-sinistra, Confindustria, banche, Cgil, Cisl e Uil, affrontano questa fase con le solite parole d’ordine e con misure che colpiscono soprattutto i lavoratori, i disoccupati ed i pensionati. Misure che dovrebbero servire a rassicurare i mercati, ed invece stanno ottenendo il risultato contrario: i mercati, i grandi gruppi finanziari internazionali e i grandi speculatori percepiscono la debolezza del Paese e sembrano ancor più famelici.

Nessuno dice invece la cosa più ovvia e cioè che questa è una crisi sistemica e che quindi può essere affrontata soltanto rimettendo in discussione il sistema stesso. Se si vuole evitare il disastro e l’impoverimento collettivo, le misure da prendere sono quindi quelle di una immediata nazionalizzazione delle principali e strategiche attività finanziarie e produttive del paese, a cominciare dalle Banche, dai Servizi e dai Trasporti, dall’Energia e dalla Comunicazione.

Bisogna procedere poi ad una Superpatrimoniale che faccia restituire, a quel 10% di popolazione italiana che possiede il 50% della ricchezza del Paese, una quota rilevante dei suoi beni, per abbassare il debito e finanziare uno sviluppo che non può che essere orientato verso una riorganizzazione complessiva della produzione dal punto di vista quantitativo e qualitativo. Poi lotta all’evasione, blocco delle spese militari, piano di investimenti nello stato sociale e abbandono delle grandi opere.

E se questo vuol dire uscire dall’Euro, o sarebbe meglio dire dal Marco travestito da Euro, si esca dall’Euro. E se le borse reagiscono male, si chiudano temporaneamente e si proceda a bloccare la restituzione del debito. La cosa fondamentale è oggi fermare il massacro sociale che è stato indotto dall’accettazione acritica delle compatibilità economico-finanziarie dell’Euro da parte della politica e del sindacato concertativo.

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